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Le fazioni all'interno del comune.

La lontana origine dei termini guelfi e ghibellini

 

Guelfi e ghibellini   - Sono queste le fazioni politiche attive nelle regioni settentrionali e centrali dell'Italia nei secoli XIII, XIV e XV. Nel loro significato originario i termini indicavano le fazioni sorte durante la lotta per il trono del Sacro romano impero tra le due principali dinastie, i Welfen ( da cui il nome di guelfi ) duchi di Sassonia e Baviera, e gli Hohenstaufen, duchi di Svevia, dal cui castello di Waiblingen derivò il nome di ghibellini. 

La corona imperiale era stata riconquistata dagli svevi con Corrado III che ebbe la meglio su Guelfo VI, genero di Lotario e insieme duca di Sassonia e di Baviera..  Nel decenni successivi la parte ghibellino - sveva venne sempre più identificandosi con un orientamento politico ostile a ogni ingerenza papale e ispirato a una sorta di nascente sentimento nazionale tedesco; i guelfi, invece, erano favorevoli a una politica di intesa con il papato, sulla linea del concordato di Worms che nel 1122 aveva posto fine a mezzo secolo di contrasti tra imperatori e pontefici romani (noti sotto il nome di "lotta delle investiture" con riferimento alla pretesa, degli uni e degli altri, di controllare le nomine vescovili).

Federico Barbarossa, dopo avere regolato le questioni tedesche , discese più volte in Italia.  L’intera scena politica italiana fu dominata allora, per quasi tutta la seconda metà dei XII secolo, dai suoi tentativi di ricondurre i comuni sotto il diretto governo dell'imperatore-, le città dei Centro e Nord Italia si divisero in favorevoli e contrarie.  Non si parlava ancora di città guelfe e città ghibelline; ma la tradizione di molte di esse cominciò a fissarsi proprio in quei decenni, anche in relazione alle scelte di campo delle città vicine e avversarle. 

Ma verso la metà dei Duecento, sull'esempio di Firenze, l'adozione del nome guelfo o ghibellino, sia da parte delle fazioni in lotta per il potere all'interno delle città, sia da parte delle singole città nella definizione della propria linea politica, prese a diffondersi, anche se, per lungo tempo, nella pianura padana si mantenne l'uso delle espressioni "parte della Chiesa" e "parte dell'Impero". Per la verità, sarebbe possibile fare un elenco dei diversi nomi con cui furono, all'inizio, variamente indicate le fazioni in lotta.  Solo i termini "guelfi" e "ghibellini", proprio perché collegati a collocazioni politiche che andavano al di là delle questioni locali, riuscirono a sopravvivere e a durare per secoli.

L'Italia medievale fu lacerata da aspri conflitti politici e militari tra i seguaci delle due fazioni. In generale, le grandi famiglie appoggiarono i ghibellini, mentre le città sostennero i guelfi. Infine la divisione fu geografica: i nobili nella maggior parte dei comuni del Nord parteggiarono per i ghibellini, quelli delle regioni centrali per i guelfi. Pisa, Verona e Arezzo erano roccaforti ghibelline, al contrario di Bologna, Milano e, soprattutto, Firenze, guelfe. A Firenze la lotta tra le fazioni sfociò in una guerra civile che divampò per oltre dieci anni, sino a quando, nel 1266, i ghibellini furono mandati in esilio

Palazzi medioevali con le caratteristiche case-torre in un affresco di di Giotto ( Storie di san Francesco ). Le torri in città testimoniano della diffusa conflittualità tra le varie famiglie della nobiltà inurbata che ben presto si schierarono con una delle due parti.

La miniatura ci presenta un ben noto caso di fuoruscitismo, verificatosi in Firenze nel 1301. Corso Donati, capo della fazione politica dei guelfi neri, cacciato dalla città rientra con l'aiuto di alcuni potenti e libera prigionieri politici dalle prigioni, dando inizio ad una violentissima settimana di persecuzioni contro l'altra fazione, quella dei guelfi bianchi, che lo ha cacciato. D a allora egli spagroneggia nella città fino al 1308, anno in cui viene ucciso nel corso di una violenta rissa.

L'evoluzione del fenomeno delle fazioni

Nel secolo XIV, dopo che il potere imperiale aveva perduto il primato in Italia, il conflitto degenerò in scontri tra fazioni politiche locali che cercavano di trarre profitto da pregiudizi tradizionali o ereditari. Nel 1334 papa Benedetto XII proibì, pena sanzioni ecclesiastiche, che le parti allora in lotta potessero chiamarsi ancora guelfi e ghibellini, anche se non mancarono fazioni che si appropriarono di queste due nomi sino a tutto il XVI secolo. Durante il Risorgimento italiano i due termini furono ripresi per indicare i sostenitori di un atteggiamento politico favorevole o contrario al papato (rispettivamente neoguelfi e neoghibellini).

 

F. S. Altamura - I funerali di Buondelmente ( 1860 )

"La mattina di Pasqua Bondelmonte che veniva in centro dal quartiere d'Oltrarno, vestito nobilmente di nuovo, di roba tutta bianca e in su uno palafreno bianco" giunto ai piedi del palazzo Vecchio fu assalito da Schiatta degli Uberti, Mosca dei lamberti e Lambertuccio Amidei, quindi colpito a morte..." ( G. Villani )

La raffigurazione ottocentesca richiama un grave fatto di sangue accaduto nel 1216 a Firenze, ricordato anche nella Nuova Cronica di Giovanni Villani. Si tratta di una catena di episodi che culminò con l'uccisione di Buondelmonte Buondelmonti, nobile cittadino fiorentino, ucciso per non aver rispettato il fidanzamento con una giovane di casa Amidei e di averle preferito una donna di casa Donati.  Il Villani individua questo fatto come "cagione e cominciamento delle maledette parti guelfa e ghibellina in Firenze ". 

Naturalmente il fatto di sangue è solo un episodio di un'ostilità ben più radicata tra famiglie fiorentine legate variamente ai conflitti tra Papato ed Impero, che attraversavano il periodo tra alto e basso medioevo. L'omicidio di Buondelmonte servì a dividere decisamente in "parti" tutte le famiglie nobili fiorentine Dalla fine degli anni Trenta del 1200 le parti si chiameranno guelfa e ghibellina.

Dante Alighieri nel canto VI del Paradiso mette in bocca a Giustiniano questa condanna dei ghibellini e dei guelfi, colpevoli di perseguire fini particolari sotto le insegne dell'Impero e del papato.

faccian li Ghibellin, faccian lor arte / sott'altro segno, ché mal segue quello / sempre chi la giustizia e lui diparte;  /  e non l'abbatta esto Carlo novello  /  coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli  /  ch'ha più alto leon trasser lo vello.  /  Molte fiate già pianser li figli  /  per la colpa del padre e non si creda  /  che Dio trasmuti l'arme per i suoi gigli.

Gli artigli sono quelli dell'aquila, simbolo dell'Impero, e i gigli sono quelli di Carlo II d'Angiò.

 

Le lotte in Firenze tra Guelfi e Ghibellini nell'età di Federico II.

 

Le lotte tra guelfi e ghibellini in Firenze si collegarono presto, in modo più diretto, con le vicende italiane, dominate, per tutto il secondo quarto dei XIII secolo, dalle iniziative politiche di Federico Il, impegnato nella restaurazione dell'autorità imperiale nell'Italia centrosettentrionale e duramente in contrasto con il papato.  A lui s'opposero violentemente molti comuni, sia toscani sia padani, mentre altri si legarono alla sua parte, spesso rinnovando, gli uni e gli altri, le posizioni assunte all'epoca di suo nonno, il Barbarossa.

Federico II, all'inizio del suo regno, era stato chiamato "il Ghibellino" e "il Guelfo" Ottone IV di Brunswik che, con esito infelice, gli aveva conteso la corona.  Ghibellini, così, furono chiamati coloro che erano dalla parte di Federico Il e guelfi i loro avversari.  Federico II, che allora era stato sostenuto dal papa Innocenzo III, ruppe poi con i papi successivi: ghibellini furono, allora, i suoi sostenitori e guelfi i sostenitori dei suo nuovo nemico, il papato.  Così venne fissandosi una tradizione politica, guelfa o ghibellina, propria delle città, secondo il prevalere, all'interno, di questa o quella fazione e delle conseguenti scelte di "politica estera".

Conviene seguire lo sviluppo delle lotte politiche in Firenze dopo la nascita delle fazioni.  Intanto perché in questa città nacquero, quasi certamente, i nomi 'delle due parti: fiorentine sono, infatti, le più antiche attestazioni loro fra il 1239 e il 1242. Un' altra buona ragione di questa scelta è nel fatto che le vicende fiorentine ci consentono di cogliere con chiarezza l'intreccio tra lotte interne e avvenimenti esterni.  Proprio la ripresa dell'azione di Federico Il in Toscana e di là dagli Appennini, con la vittoria imperiale di Cortenuova (1237), sembra aver contribuito a fare esplodere nuovamente i contrasti interni che si erano per un paio di decenni raffreddati dopo l'assassinio di Bondelmonte nel 1216, tanto che Firenze poté riprendere, con guerre contro Pisa e Siena, la sua politica d'espansione regionale.

Dal 1236 riprendono le " battaglie interne ".  Dalle povere notizie dei più antichi cronisti «è da ora che ha inizio il triste spettacolo dell'abbattimento dei palazzi e delle torri e si fanno tali vuoti da modificare Il panorama urbanistico cittadino» . 

Firenze - Palazzo di parte guelfa

L’odio tra le fazioni e le casate acquista un carattere nuovo, pur senza perdere quelli precedenti: la passione politica. Guelfi e ghibellini intrecciano più stretti legami con le realtà politiche di riferimento; ai vincoli politici s'uniscono anche interessi economici concreti: promesse imperiali, possibilità aperte dal papato.  Inoltre, le due parti si organizzano, come imitando la struttura del comune, ma anche seguendo l'organizzazione delle consorterie signorili, con "capitani", "consigli", formazioni armate: tutte realtà istituzionali distinte dalle istituzioni comunali.   L’esilio, coatto o volontario, della parte perdente, creando il fenomeno del fuoruscitismo, contribuisce alla "internazionalizzazione" delle lotte di fazione.

Così, all'inizio del 1249, Federico II,  nettamente prevalente in Italia, e in specie in Toscana, mandò a Firenze il proprio figlio naturale Federico d'Antiochia alla testa un corpo di cavalieri tedeschi.  Questo intervento decise le sorti delle lotte cittadine e i guelfi furono costretti a lasciare Firenze per rifugiarsi a Caprona, Montevarchi e altri borghi incastellati del contado; da questi luoghi essi erano in grado di costringere i ghibellini a una dispendiosa guerra di logoramento, i cui oneri furono alimentati da un impopolare accrescimento del carico fiscale: così il Popolo reagì nel 1250, arrivando a estromettere i nobili ghibellini dal governo del comune.

La morte improvvisa di Federico II, nel dicembre del 1250, provocò un rapido declino della forza dei ghibellini.  All'inizio dei 1251 gli esiliati guelfi rientrarono in Firenze; nel luglio dello stesso anno i ghibellini furono banditi dal nuovo regime, chiamato dai cronisti del Primo popolo.  Questo, tuttavia, non era un governo di parte guelfa, ma perseguiva una specie di equidistanza tra le due fazioni, tant’è che presto i ghibellini furono riammessi in città e venne fissato un limite di altezza per tutte le torri, di qualsiasi casata.

Nell'età successiva, che vede Dante testimone degli scontri sempre più duri tra fazioni, il partito imperiale svevo finirà con il fare cattiva prova prima con la morte a Benevento di Manfredi e quindi con il tentativo fallito di Corradino. Il partito guelfo intanto si scinde nelle altre due fazioni dei Bianchi e dei Neri               ( corrispondenti alle famiglie dei Cerchi e dei Donati ) e Dante è vittima del tentativo di Bonifacio VIII di controllare direttamente la città di Firenze tramite la parte dei Neri ( aiutata da Carlo di Valois ). Nel 1300 il poeta deve affrontare l'esilio per non subire la condanna a morte. I Guelfi Neri, espressione della ricca borghesia fiorentina, alleata con il Pontefice romano prenderanno  stabilmente il potere in Firenze nel XIV secolo.  

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