● Le premesse di Matisse e Marquet
Henri Matisse
apre e domina una situazione di ricerca, caratteristica dei
primissimi anni del Novecento, che verrà poi scavalcata dalle soluzioni
cubiste picassiane nel 1907. L'autore appare legato per certi versi alla
cultura figurativa del simbolismo. Altri aspetti della sua pittura appaiono
decisamente innovativi verso esiti tipicamente novecenteschi.
Della congiuntura simbolista l'epoca di Matisse mantiene i
caratteri iconici già visti, mira cioè a una
figurazione generalizzata molto
sagomata ( che punta ancora sul tratto deciso della forma )
simile a tutte le forme di disegno regressivo (dei bambini o dei "non
acculturati"): un arte quasi popolare ispirata alle stampe, alle
xilografìe.
E sempre di "quella congiuntura precedente persiste anche la volontà di
istituire una scienza autonoma del colore, svincolandolo da intenti
di atmosfera locale. Ritorna il dilemma se giungere, a tale
scienza cromatica, attraverso la via seuratiana
del "dividere", o quella gauguiniana dell'unificare e del
campire à plat: vedremo che un simile dilemma tormenta Matisse e
i suoi compagni fino almeno al 1905, quando scelgono la via dell'unificazione,
più consona agli intenti generali di astrazione, più decisa a rompere con il
colore locale, più economica dal punto di vista della tecnica esecutiva.
Dove invece
Matisse e compagni rompono con i programmi simbolisti, è nei vari
aspetti in cui viene propriamente chiamato in causa il simbolo, cioè un
rimando evocativo a qualcosa di ulteriore e di sfuggente.
L'arte simbolista è decisamente rivolta a
fini diversi dall'attenzione per il reale: il segno stilizzato, vuole "evocare"
sintonizzandosi con entità altre, mitiche o magiche non presenti sulla tela.
L'intera generazione
fauve-espressionista
opera su una linea totalmente laica e immanente, nel senso che
le icone e le campiture cromatiche non vogliono rimandare a null'altro che a
sé stesse, "esprimere" un proprio dramma interamente presente,
terreno, disperato, non alleviabile ed esprimibile attraverso
richiami esterni o dall'alto di raffinati riferenti culturali. Tutto ciò
provoca alcuni notevoli mutamenti, sia sul piano iconico che su quello
cromatico.
Le immagini non sono più al servizio di una componente psicologia evocativa,
ma intendono appunto "esprimere" alcuni stati d'animo generali della
condizione umana attraverso figure ridotte all'essenziale.
Le figure non verranno riplasmate, come faranno i Cubisti, ma
semplificate, deformate o annullate in quasi invisibili
sagome scure nei paesaggi. E' questa una delle componenti
propriamente espressioniste di una simile situazione generale di
transizione. E anche la
scienza del colore,
cioè le vaste campiture compatte, si carica di una
violenza analoga, propria di chi deve rovesciare ogni sua furia su un uso
del colore che resta tuttavia ancora di appoggio,
destinato appunto a campire gli
spazi definiti da contorni lineari; è questa propriamente la
componente
fauve.
L'incontro fra l'accesa cromia fauve e l'iconicità espressionista
significa violenza, accanimento contro miseri resti, fustigati
nell'atto stesso In cui non vi si crede più.
Matisse è il capofila di
tutta questa situazione fauve-espressionista in quanto la
rappresenta nei suoi pregi e nei suoi limiti, nei passi avanti e nelle
impasses rispetto alla ricerca successiva. Nello stesso tempo però c'è
in lui una parte eccedente, per così dire, di pregi individuali, non
riscontrabili nei suoi compagni di strada, che lo rendono disponibile ad
esiti più avanzati.
( Liberamente elaborato da R.Barilli, L'arte contemporanea,
Da Cézanne alle ultime tendenze, Feltrinelli, 1984 )
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ND
H. Matisse, Notre-Dame, 1902
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H. Matisse, Percorso nel Bois de Boulogne,
1902
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H. Matisse, I giardini del Luxembourg, 1901 -
1902
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H. Matisse, Mare a Collioure, 1906
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H. Matisse, Veduta di Collioure, 1906
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H. Matisse, Veduta di Collioure, 1908
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Uno sguardo ai comprimari francesi dell'esperienza
fauve permette di constatare che gli elementi presenti in loro sono gli
stessi già visti in Matisse, ma su scala più ridotta e semplificata, senza
le sue sottigliezze e se si vuole le sue ambiguità, che però fungono anche
da aperture verso situazioni posteriori.
Albert Marquet,
il compagno ( assieme a
Rouault )
nella frequentazione dell'atelier di
Moreau, sceglie univocamente il tema del paesaggio e la
tecnica dell'à plat, dopo una brevissima tentazione divisionista.
Data la specializzazione del paesaggio,
l'à plat non trova le
occasioni architettoniche presenti in Matisse, cioè quelle
sapienti intelaiature, quinte, balaustre che distribuiscono nello spazio i
vari piani ( si consideri una veduta di Notre Dame,
1904, tanto più povera che non le analoghe vedute parigine
di Matisse).
Inoltre l'à plat di
Marquet
coagula in maggior grado le indicazioni atmosferiche; l' artista è
bravissimo nel lasciar filtrare gli effetti fenomenici pur in un colore
denso e impastato. I densi e morbidi strati di pasta cromatica sono poi
spesso vivacizzati da orli scuri, robusti, che intervengono per insinuare
distanza tra i vari piani. Fanno parte di questo sistema di
"respingenti" anche le sagome, altrettanto scure e perentorie, delle
figurine, anche se queste non assurgono mai a compiti strutturali, a
differenza di quanto avviene in
Matisse.
( Liberamente elaborato da R.Barilli,
L'arte contemporanea, Da Cézanne alle ultime tendenze, Feltrinelli, 1984 )
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Ma
A. Marquet, Notre-Dame, 1904
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A. Marquet, Giorno piovoso a Parigi, 1904
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Marquet,
Quai des Augustins sotto la neve , 1906
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Marquet,
Le Pont neuf, 1906
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● L'esperienza londinese di Derain
"Il gran torto
di tutti i pittori è di aver voluto rendere l'effetto ottimale della natura
e di non pensare che una semplice composizione di luci può
metterci nella stessa disposizione d'animo di un paesaggio".(
A. Derain )
André Derain
si distinse nel gruppo dei fauves ( Belve ), caratterizzato
dall'uso dei forti colori, superando la lezione dell'
impressionismo francese e soprattutto di
Monet.
Egli sfrutta con molta accortezza tutte le possibilità decorative del
colore, in quanto organizzatore del proprio spazio e capace di
trasfigurare della realtà. I soggetti prediletti sono quelli
londinesi e soprattutto il Tamigi, di cui mostra la particolare
atmosfera ed animazione. Dal 1904 al 1907 durante numerosi soggiorni
londinesi
Derain preparò una serie di tele ispirate ai paesaggi della città,
che risentono almeno all'inizio dell'influenza di
Turner e di
Monet.
Nella tecnica matura le campiture corpose di colore forte e puro
testimoniano una nuova percezione della realtà. Non più il
vedutismo leggero ed atmosferico
degli Impressionisti, ma stati d'animo forti e ben connotati, ove il
colore è energia ulteriore che sa ormai esprimersi autonomamente.
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A. Derain, Ponte di Blackfrias a Londra, 1906
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D
A. Derain, Il Palazzo del Parlamento, 1906
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A. Derain, Ponte di Westminster, 1906 |
A. Derain, Veduta del Tamigi, 1906 |
A. Derain, iL Parlamento di notte, 1906
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A. Derain, Veduta del Tamigi, 1906
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● Il periodo fauve di Braque.
La fase
precubista di
Georges Braque
comprende l'attività del trienno 1905 - 1907. Una corretta
contestualizzazione dell'espressione di
Braque deve
tener conto di una tendenza che si delinea
all'interno del gruppo dei fauves
e prosegue in una direzione cubista attraverso una netta
rivoluzione linguistica, non in totale discontinuità tuttavia con le
premesse postimpressioniste e simboliste. E in questo contesto
che va interpretato il passaggio di
Braque,
tra il 1907 e il 1908 al cubismo con il
riassorbimento di alcune
componenti fauve nel cubismo stesso.
Dopo una prima produzione impressionista e postimpressionista, in gran parte
distrutta dall'artista,
Braque,
poco più che ventenne, dipinge alcune opere assai vicine a quelle di
Dufy e
Friesz,
suoi compagni di studi all'Accademia di Le Havre,
che hanno conosciuto
Matisse,
aderendo alle nuove indicazioni della sua pittura. Braque, intanto,
stabilitesi a Parigi dal 1900, ha conosciuto le opere degli
impressionisti e dei postimpressionisti, e in particolare di
Cézanne.
Nel 1905 in occasione della prima mostra del gruppo fauve al
Salon d'Automne di Parigi
Braque rimase entusiasta delle opere qui esposte.
Insieme a Friesz, Braque trascorre, nella primavera del 1906, un periodo ad
Anversa. L'impiego di una
gamma cromatica
violenta e antinaturalistica, la pennellata veloce e sommaria, il
ribaltamento prospettico ottenuto collegando, in una rappresentazione
bidimensionale, una banchina in primo piano con le barche e le
case al di là del Porto di Anversa. Emergono
un netto taglio dei piani,
ottenuto attraverso un prolungamento di linee portanti (la
balaustra, la riva sull'altra sponda, gli alberi e il pavese
delle barche) e la presenza discontinua di tratti di colore puro di
derivazione neoimpressionista. Questi ultimi sono probabilmente già
suggeriti da Matisse,
i cui quadri Braque ha osservato con entusiasmo al Salon d'Automne del 1905.
Una maggiore solidità
costruttiva, all'interno del fauvisme, è comunque riconosciuta al
gruppo di Le Havre, costituito appunto da
Dufy,
Friesz e
Braque, che
si differenzia dalla componente
più "espressionista" di
Matisse,
Derain e
Vlaminck, in questi
ultimi due derivata in gran parte da van Gogh.
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A
G. Braque, Il porto di Anversa, 1905
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G. Braque, Il porto di Anversa, 1906 |
E nei paesaggi di La Ciotat e
dell'Estaque - in Provenza -dove si reca tra il
1906 e il 1907, che si realizza, tra le memorie della presenza di
Cézanne,
la visione più
solare di
Braque.
Ampie stesure di colore "a plat", ombre azzurre e violette, contorni
blu scuro, i profili delle colline e i tronchi d'albero, che si risolvono in
un linearismo ritmico e decorativo, rivelano anche l'influenza di
Gauguin e
del gruppo di Pont-Aven, in particolare di certi dipinti di
Sérusier.
La Piccola baia a
La Ciotat, del 1907, è considerato il gioiello del periodo
fauve di
Braque. E evidente il riferimento alla personalissima interpretazione
del pointillisme di Signac,
presente in Lusso, calma e voluttà
di Matisse,
del 1904: un elemento che quest'ultimo, nel 1907, ha già superato. Ma
Braque
preferisce il puro studio di paesaggio. Da Lusso,
calma e voluttà Braque riprende puntualmente le ampie macchie di rosa e
di giallo nel ciclo, presenti anche in molti studi di Collioure, e
l'elemento dell'albero, "portante" nell'architettura del quadro.
Nell'artista è già avvenuto rincontro con
Cézanne, ma dettato più da ragioni tematiche ( l'attenzione per il
paesaggio e gli spazi della natura ), che da effettiva sintonia stilistica (
Paesaggio dell'Estaque , 1906 ). Egli
distende in superficie ciò che
Cézanne
scala in profondità: basti vedere come emergono Ì contorni, con netta
prevalenza sulle magre stesure, e come tendono oltretutto ad arricciarsi,
con un ricordo, anche qui, dell'arabesco simbolista. |
E
G. Braque, Srada all'Estaque, 1906
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G. Braque, Paesaggio all''Estaque, 1906
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C
G. Braque, Il porto di La Ciotat, 1907
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G. Braque, Villaggio presso Ciotat, 1907
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● Il protoespressionismo di Vlaminck
Una forte componente espressionista si trova in
Vlaminck.
Qui di colpo c'è tutta la possibile regressione a una figurazione
per nulla decorativa, con feroce distillazione di uno stato
d'animo di rivolta, di protesta anarchica, di aggressività,
accompagnato a una cromia
altrettanto violenta e spavalda. Prevale l'accento
fauve, intollerante dei riferimenti naturalistici, decisa a
proporsi come relazionalità e autonomia di "valori". Basti considerare le
foglie rosse spiritate della Riva della Senna a
Carrière-sur-Seine (1906). Nel loro andamento sinuoso, come in
genere nell'arricciamento di zolle, solchi, tronchi è evidente il ricordo
dei modi spiraliformi di Van Gogh, così
come in Matisse
si registra di continuo la presenza dell'arabesco gauguiniano;
ma in entrambi i casi
interviene l'effetto novecentesco della sospensione e della
riduzione, per cui quei tratti curvilinei perdono ogni potenziale
mistico, diventano elementi costruttivi, anche se di una
costruttività molto elementare. ( Barilli )
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M. de
Vlamink, La Senna presso Pecq, 1906
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V
M. de
Vlamink, Riva della Senna a Carrière-sur-Seine, 1906
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