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La città logorata, consunta e apocalittica: Egon Schiele e Ludwig Meidner.

● Povertà, miseria e fragilità nella città di Egon Schiele

Egon Schiele
nacque nel 1890 a Tulln, in Austria. Figlio di un capostazione delle ferrovie dell'impero austro ungarico, a quindici anni restò orfano del padre che soffriva di disturbi mentali. Nel 1906 si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Vienna e nel 1907 conobbe Gustav Klimt che lo stimolò nel miglioramento della tecnica del segno e del contorno e lo introdusse nel Wiener Werkstätte ( Vienna Workshop ), fondato nel 1903. Schiele, che considerò Klimt suo padre spirituale, si formò anche nell’ambito della pittura di Hodler e sviluppò, ben presto, uno stile del tutto personale. Nel 1909 lasciò l'Accademia di Vienna e fondò, con altri artisti, il Neukunstgruppe. Nel 1912, accusato di aver sedotto una minorenne e, in seguito al ritrovamento di "disegni pornografici" nel suo appartamento, fu arrestato e detenuto per tre giorni. La dichiarata convivenza con la modella Wally Neuzil e i suoi dipinti e disegni di ragazze minorenni lo mantennero sempre ai margini dalla società tradizionale austriaca. Schiele morirà in miseria, molto precocemente, nel 1918.

Svincolato dall'appartenenza a una precisa corrente, si pone sulla linea di sviluppo dell'espressionismo, forse più degli stessi pittori della Brucke. Partito dal decorativismo di Klimt, approfondisce le possibilità dell'impiego della linea nella stilizzazione costante delle forme della realtà.
La linea diviene il mezzo più efficace per rendere il suo 'io' altamente tormentato, in una visione del mondo in cui
tutto è destinato alla decadenza, in cui, anzi, 'tutto è morto", come dice lui stesso.
Schiele è  sopratutto un grafico, più che un colorista; anche se sarebbe errato credere che il colore sia soltanto un riempimento aggiuntivo di un campo delineato dal solo disegno. Se è vero che il contorno è usato non in funzione rappresentativa, ma espressiva, è anche vero che i pochi colori che Schiele, stende, ora morti, ora vivaci, acquistano valore drammatico nella reciproca contrapposizione.

Negli autoritratti l'artificio delle pose e delle inquadrature, le amputazioni, l'enfasi del nudo, della magrezza e della smorfia funzionano come una provocazione: il pubblico è costretto a  vedere, anche senza averne l'intenzione, l'autorivelazione dell'artista e dei suoi vizi solitari, mentre l'artista esibendo la sua carne, denuncia la condizione di tutti. E' il tema della fragilità umana e del panico  che invade l'involucro gracile del corpo, delle sue metamorfosi, talvolta nelle forme dell'orrore e della follia: una ricerca di identità che si consuma tra i due estremi del male psichico e del male sociale.
 

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Egon Schiele, Autoritratto con le dita aperte, 1911
 




Egon Schiele, L'abbraccio, 1917
 

Anche la città di Schiele è sotto il segno della fragilità. I  suoi uomini sono logorati e consunti, l'ambiente in cui vivono la loro esistenza - i vani, le case, le città - è misero e povero, minaccia di cadere in rovina, come inospitale è la natura priva di qualsiasi forma vitale. Come per Munch la città diventa allegoria della condizione umana, nel senso che esprime una valenza ulteriore degli spettri visionari, di fragilità e consunzione, che si accaniscono contro l'artista.

Durante la primavera del 1911 si traferisce in Boemia a Krumau con la diciassettenne compagna Wally Neuzil, già modella di Klimt, che diventa protagonista di molti dipinti e disegni erotici coevi. In questo periodo la produzione di Schiele vede la realizzazione di numerosi paesaggi urbani della cittadina, colta da particolari angolazioni. Ben presto, però, la comunità di Krumau non approva l'anticonformismo della loro relazione e il fatto che Schiele si avvalga di giovani modelle per i suoi nudi. La coppia è così costretta a lasciare il paese e si trasferisce a Neulengbach, tranquillo paese di estrazione rurale vicino al mondo artistico della capitale viennese.

Krumau
è la cittadina boema dove era nata la madre ma anche la città dove il padre malato aveva tentato il suicidio. Con i suoi tetti aguzzi e le anse tortuose della Moldava (
Paesaggio con fiume. Veduta di Krumau ) è molto amata da Schiele  con le sue case di legno, con i suoi tetti che si intersecano a gabbia con i comignoli. Eppure questo attaccamento non impedisce che si ripresentino gli spettri del passato a perseguitare il suo animo e il suo sguardo. Così Krumau diviene La città morta a cui sono dedicati molti melanconici dipinti dal 1910 in poi. Si tratta di paesaggi a incastro di tasselli colorati e sghembi, svuotati irrimediabilmente di ogni presenza viva. Le poche sagome umane di Periferia ( 1918 ) sembrano esigue impotenti marionette in preda all'opprimente presenza di un paesaggio urbano, che incombe enorme ed onnipotente sulle loro povere vite.

Anche Vienna verrà interpretata come città popolata da ombre minacciose: la sua inquietudine ha incrinato il rapporto con la città: "Com'è orrendo, qui! (...) A Vienna ci sono ombre. La città è nera e tutto è fatto meccanicamente".
Di qui la decisione di fuggire a Neulengbach.

 

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E. Schiele, La città morta ( Krumau ), 1910
 






E. Schiele, Periferia, 1914




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E. Schiele, Paesaggio con fiume. Veduta di Krumau,  1916

 


E. Schiele, Periferia, 1918

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E. Schiele, La città che sale, 1915
 


E. Schiele, Paesaggio di una piccola città, 1920
 

● La città apocalittica di Ludwig Meidner

Ludwig Meidner
, scrittore, poeta e pittore, è l'artista che coglie in modo decisamente drammatico il linguaggio espressionista, ormai intrecciato a quello cubista, collegandolo alla protesta politica e sociale, nella sua breve fase dei paesaggi "apocalittici" (1913). Presente nel movimento "I patetici", un gruppo presentato dalla galleria Sturm nel novembre 1912, militante di sinistra, Meidner si colloca ormai fuori dalla ideologia "borghese" della prima avanguardia con la sua tematica urbana. Alcuni accenti sul fascino della "notte della metropoli" hanno ancora la poesia del sogno espressionista. Ma la deformazione e il dinamismo delle sue città sconvolte da incendi, rivolte, cataclismi della natura e della guerra insieme, assumono un tono tragico e premonitore del tutto nuovo, negativo nei confronti dell'uomo e non della metropoli, «la nostra patria, che amiamo infinitamente». Dal punto di vista iconografico, le figure che spesso giganteggiano in primo piano sullo sfondo urbano, colto da un punto di vista rialzato, si collegano alle finestre di Boccioni; ma diverso è il rapporto tra la figura e l'ambiente, che non si compenetrano e, anzi, si contrappongono con violenza, mentre la smorfia amara sul volto e la tensione nervosa delle braccia e delle mani è ancora tutta espressionista.

( da J. Nigro Covre, Espressionismo, Art e Dossier n°127, Giunti, 1997 )

 


Ludwig Meidner, Io e la città, 1913
 




Ludwig Meidner, Paesaggio apocalittico, 1913


Ludwig Meidner, Apocalisse, 1913





Ludwig Meidner, L'ultimo giorno, 1913

 

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