● Quotidiana marginalità e nuovi soggetti
antiaccademici
Manet fa posare per la
prima volta, davanti all’entrata di un modesto cabaret,
Victorine-Louise
Meurent, che diventerà la sua modella preferita sino al 1875. La
quotidianità è riproposta in modo inaspettato; la donna è colta come di
sorpresa, mentre, con una dolce malinconia nello sguardo assorto, porta alla
bocca alcune ciliegie che trae da un cartoccio. Anche quest’opera di
Manet, come tutte le altre
di questi anni, verrà bocciata dalla critica, disorientata dal soggetto, nel 1863 in occasione della presentazione della
Cantante di
strada ( 1862 ) insieme ad altre tredici tele, presso la galleria Martinet. Le
reazioni saranno negative e scandalizzate quasi all’unanimità e avranno
conseguenze negative sull’invio della tela al Salon di quello stesso anno,
dove tutte
le opere di Manet verranno respinte.
Manet e
Gustave Doré presenteranno una petizione al Ministero
delle Belle Arti, ottenendo dall’imperatore
Napoleone III la creazione del
Salon des Refusés (dei rifiutati), con circa milleduecento opere, che,
seppure ritenuto una buona occasione per contrapporsi alla cultura
ufficiale, verrà ulteriormente esposto ai giudizi scatenati e divertiti
della critica.
Il ritratto di
Emile Zola testimonia del felice rapporto di stima reciproca che
intercorre - almeno inizialmente - tra il romanziere naturalista ed il
pittore. Zola mostra di apprezzare la battaglia di Manet per imporre
alla cultura ed al pubblico del tempo una nuova figuratività, un nuovo
gusto per una pittura antiaccademica, come anche
Baudelaire aveva
teorizzato. Egli annota nel romanzo, L'oevre, la scandalizzata
e infantile reazione di alcuni osservatori del Dejeuner sur l'herbe,
mettendo in ridicolo la pochezza dei loro giudizi. Certo il socialista
Zola
tende a leggere l'interesse giovanile di
Manet e degli impressionisti per i
soggetti quotidiani della città, come una forma indiretta di
impegno politico, come una corretta attenzione sociologica per i ruoli
sociali dimessi, che l'arte nobilita, infine come una reazione - nelle forme
e nei contenuti - alla cultura del Secondo Impero. Ma questa presunta
scelta sociologica sarà smentita, almeno parzialmente, dall'evoluzione
della poetica pittorica di Manet.
|
cst
E. Manet, Cantante di strada, 1862
|
E. Manet, Ritratto di Emile Zola, 1868
|
● La malinconia nella muta oscurità dei
volti femminili di Degas
Il mondo degli impressionisti aveva fissato il carattere
sempre mutevole e cangiante della realtà urbana, privilegiando le ricche e
festose sensazioni del plein air date soprattutto dagli esterni.
Tuttavia la lenta trasformazione del vivere urbano reca con sé anche
tracce diverse, meno seducenti che rilevano un diverso impatto
psicologico della società con la modernità.
Tra i referenti espressivi
che restituiscono il disagio
interiore dato dalla solitudine, dalla estraneità ai
ruoli ed alle maschere sociali assunte, dalla fissità di condizioni
di vita alienate....è senza dubbio interessante l'evoluzione della
pittura di Degas nel
trattamento dei volti femminili.
Il volto delle donne di Degas diventa progressivamente una
macchia di colore, che vela imperscrutabilmente sentimenti e
personalità, fino a suggerire dimensioni psicologiche oscure e
addirittura condizioni di vita patologiche.
Già la femminilità aristocratica o borghese dipinta negli anni '70 rivela
qualche segno della crisi: sono donne impassibili e aggraziate,
ma avvolte in scialli protettivi, difese da impenetrabili neri
abiti accollati, quelle che esprimono una muta solitudine nel
gruppo del 1876 La duchessa Montejasi Cicereale e
le figlie Elena e Camilla.
In altri casi con il viso rivolto verso una finestra,
le donne annullate da una evidente pena per la vita si confondono con
drammatici sfondi che si fanno talora graffianti, nei toni accesi dei rossi
e dei gialli ( Donna che si toglie un guanto,
1892 ) o sono attraversati da lampi di biacca (
La Melanconia, 1867 - 1870 ). Già nel
Ritratto di giovane donna in nero ( 1875 - 1878 )
ritroviamo qualcosa di enigmatico tanto da fare di questi personaggi
femminili quasi moderne sfingi, prive di sguardi ammiccanti, di relazioni
esterne, dalla personalità indecifrabile. Anche le sue
ballerine nascondono pian piano il loro volto e divengono
maschere oscure. La soprano
Rose Caron raffigurata in Donna che si toglie
un guanto , personaggio molto noto nella società del tempo,
perde ogni eco della sua notorietà e della sua bellezza, oscurata da uno
sfumato che ne elimina i tratti psicologici caratterizzanti.
Fino a cancellare ogni identità femminile nella sommaria
manipolazione della scultura in cera di Mme Salle
( del 1892 poi fusa in bronzo nel 1919 ) che mostra gli effetti di
una vera e propria deformazione del volto ( occhi gonfi e semichiusi,
naso irregolare ).
Degas vive con interesse il clima culturale del tardo positivismo, con gli
studi di Lombroso
sulle attitudini criminali legate a tare genetiche e quelli
sull'isteria di Charcot. Con
lo sguardo freddo del clinico indagatore osserva la malattia
dell'anima, la malinconia, di cui egli stesso era
vittima, e registra la
contorsione silenziosa di una donna in rosso afflosciata in una poltrona;
registra del resto i segni del disfacimento sui corpi e i
volti di ballerine e prostitute. Quell'atto
di sfregiare, annullare il volto
femminile sembra il riflesso di una concezione che fa corrispondere un
vizio interiore, un'aberrazione
dell'anima, alla deformità: le donne sono senza volto perché "perdere la
faccia" indica la perdita di pudore, regole, rispetto.
Lo
sfregio subito dai volti di
Degas è
l'inizio di un percorso segnato da un
parossistico accanimento sul corpo operato in modi e con intenti
diversi. Il contemporaneo
Medardo Rosso,
nel tentativo di restituire "l'impressione" generata dalla figura
nell'ambiente, slabbra la resa descrittiva dei corpi, disfatti in colate di
cera che assorbono il volto, diluendo i lineamenti nella materia morbida e
assorbente.
( parzialmente elaborato da G. Mori, Degas tra antico e moderno, Art e dossier n.204,
Giunti 2004 )
|
M
E. Degas, Malinconia, 1867 - 1870 |
E. Degas, Ritratto di giovane donna in nero,
1875 - 1878
|
co
E. Degas, La duchessa Montejasi Cicereale
e le figlie Elena e Camilla, 1876
|
gu
E. Degas, Donna che si toglie un guanto, 1892
|
ba
E. Degas, Scena di balletto, 1907
|
E. Degas, Testa di donna ( Mme Salle ) - 1892 -
1919 < fusione >
|
● In specchi opachi si spegne
la frenesia del vivere urbano
Manet
incarna la concezione di vita che sta alla base della visione del mondo
degli impressionisti, quella di una società che trae
dalle grandi conquiste della tecnica, da uno sviluppo industriale mai visto
fino ad allora e dalle sue capacità creative, una fiducia illimitata nel
progresso, inteso non solo come progresso materiale dell'umanità, ma
come realizzazione di quegli ideali liberali e civili che avevano
costituito la fondamentale aspirazione del secolo. Una concezione tendente «
ad accogliere incondizionatamente i dati di fatto della vita moderna,
a sentire con la sensibilità contemporanea, e a porsi con la natura in
quel gioioso, ottimistico rapporto che prende come un dono il gaio splendore
di questo mondo, e interpreta le forze sotterranee della natura,
che con la tecnica entrano in funzione nella vita contemporanea, come
amichevoli collaboratrici dell'umano progresso ».(
Haftmann ).
Proprio per questi motivi, nulla quanto l'ultima produzione di
Manet può darci la
percezione dell'improvviso e
angosciante senso di dubbio che negli anni intorno al 1880 investe - dalle
più intime radici - una tale concezione ottimistica della vita e della
sociatà.
Manet,
proprio nel più tragico incombere della sua mortale malattia, e quasi
incapace ormai di tenere in mano i pennelli, rivolse una richiesta - con una
lettera al sindaco di Parigi - perché il Consiglio gli concedesse,
attraverso una serie di composizioni da dipingersi nel rinnovato palazzo
municipale, di illustrare la
vita della città nei suoi vari aspetti : Paris-Halles, Paris-Chemins
de fer, Paris-Port, Paris-Souterain, Paris-Courses, Jardins,
ecc.; e, nel soffitto, una galleria dove far muovere tutti gli uomini di
ingegno « che abbiano contribuito o contribuiscano alla grandezza di
Parigi ».
L'ultimo capolavoro di
Manet
Il Bar alle Folies Bergère presentato al Salon
nel 1882, avrebbe potuto far parte di questo immenso affresco
della vita parigina : ma Manet vi aveva lavorato in condizioni quasi
disperate. L'atroce malattia che gli veniva paralizzando le membra lo aveva
obbligato, negli ultimi tempi, ad abbandonare quasi del tutto la pittura a
olio, e lo aveva indotto a dedicarsi, per un minimo dispendio di energia
fisica, ai disegni e ai pastelli del suo ultimo periodo, di una morbidezza e
di una grazia inarrivabili, nei quali, con acuta, sensibilità, egli sembra
avvertire il divario crescente fra il mondo della sua creazione e quello
reale. Quest'uomo che aveva detto un giorno a Zola di adorare il
mondo e di trovare « des voluptés secrètes dans les delicatesses
parfumées des soirées », si sentiva ormai sfuggire quella pienezza
rigogliosa di vita che egli amava, e cercava nel suo giardino di
Versailles, nei fiori, nelle giovani bellissime donne che lo circondavano,
suggestioni di vita sempre più intense, più pungenti e più irreali.
Il Bar alle Folies Bergère
fu dipinta - a prezzo di sacrifici inenarrabili - in studio e si basa
sui ricordi delle lunghe ore passate dall'autore, già malato, nel celebre
caffè-concerto. La nuova sensibilità di
Manet
raggiunge qui un'indicibile altezza di canto e una
totale pregnanza di significato, tanto da potersi interpretare
come documento della sensibilità
di un preciso momento storico ( quello che con l'inizio degli
anni '80 coincide con la crisi dell'impressionismo ) e non
solo come la tappa finale delle'evoluzione estetica del pittore. La
sconcertante intensità delle immagini porta l'osservatore in una sfera
emotiva che va ben oltre l'oggetto rappresentato.
Suzon,
l'avvenente ragazza del bar, ha
qualcosa di inerte nella sua conturbante bellezza: grande e
voluttuosa, i suoi incantevoli occhi pervinca sono spenti, per la
fatica o per la noia, sotto la frangia dei capelli biondi. Ogni
più piccolo particolare del quadro contribuisce a creare un'atmosfera
evanescente dove la vita
della sala rimane estranea alla sensibilità della ragazza, pur
rispecchiandosi brulicante di forme e di movimento.
Le bottiglie, gli ornamenti, i fiori che circondano la
ragazza e l'emozione di
quell'incredibile specchio posto di dietro a lei, che ripropone,
in un fantasmagorico moltiplicarsi di luci, lei stessa che parla con
un cliente, la folla dei tavolini del bar, l'animazione eccitante della
grande città, contribuiscano ad amplificare
l'espressione del volto della
ragazza, che è quella
di una assenza, di un vuoto; e a fare di questa immagine,
intensamente naturalistica, qualcosa di irreale, di fantomatico, un sogno a
occhi aperti.
Non c'è, a questa data, nella produzione degli altri
pittori impressionisti, un quadro che riesca a suggerirci con altrettanta
forza emozionale il disfarsi
della aitante sicurezza di una società, ancora improntata
esternamente da raffinata eleganza, disinvolta spigliatezza e
cultura cosmopolita, elementi che fecero di Parigi in quegli anni il vero
centro ecumenico del vivere civile. Ma un'analisi, anche superficiale, delle
opere e delle vicende dei pittori impressionisti negli anni successivi al
1880 non può lasciare dubbi sul
nuovo e diverso riflettersi nei singoli artisti di una realtà in evidente
processo di disgregazione. Spinti, o dall'inquietudine della
propria natura, o da una dolorosa percezione del male recondito che mina la
società, o da un bisogno invincibile di solitudine e di isolamento, gli
impressionisti sono d'ora in avanti portati a vivere, ciascuno a suo
modo, una crisi di valori che ben presto doveva scoppiare in forme
aperte e lancinanti, creando il terreno sul quale si sarebbe sviluppata
l'arte contemporanea.
( da L'arte moderna, Fratelli Fabbri editori,
vol.1, 1967 - 1975, pp. 1-2 )
|
FB
E. Manet, Le bar aux Folies-Bergère, 1882
|
Anche nei due interni raffigurati nelle opere di
Caillebotte (
In un caffè, 1880 ) e di
Toulouse-Lautrec
( M. Boileau Au Cafe
Hart, 1890 ) l'impianto strutturale sfrutta abilmente lo
spazio di fondo per ricreare l'atmosfera in cui si cala la
rappresentazione dei due personaggi. Il grande specchio si presta
molto bene alla tecnica di rappresentazione quasi fotografica della realtà,
impiegata da Cailelbotte,
per duplicare, in un gioco di immagine riflesse, di ombre, di
abiti indolentemente appesi alle pareti, la sensazione di estraneità
dell'avventore, poco decoroso nella sua postura, al clima
sonnolento di un caffé parigino, dove pare sospesa ogni tensione
vitale.
Più animata l'atmosfera che si respira dietro al tavolo di
M. Boileau Au Cafe
Hart, tra lo splendere delle luci e l'animato conversare
di ricchi borghesi disposti ai tavoli. In questo caso a evidenziare la
dolorosa contraddizione che connota la condizione del personaggio
centrale è la tecnica graffiante di
Lautrec -
di tipo litografico, molto lontana dal naturalismo e quasi espressionistica
nei suoi effetti. Si supera in tal modo la possibile stereotipia
del soggetto ( il solitario ed attempato avventore ) in
un'interpretazione che coglie la forza incalzante e dolorosa della
realtà direttamente osservata, fino a farne un emblema tragi-comico
dell'evanescenza del vivere umano.
|
caf
G. Caillebotte, In un caffè, 1880
|
Henri de Toulouse-Lautrec, M. Boileau Au Cafe
Hart, 1890
|
● Le solitudini dell'alcolismo
Così Philippe
Ariès ci informa nel capitolo "Il gusto dell'alcol, una nuova
realtà" sull'abuso di bevande alcoliche, vero vizio sociale, che
ha assunto nell'Ottocento forme diverse , tutte legate comunque al degrado
dell'esistenza e dei rapporti sociali.
|
"Ubriacarsi può costituire un piacere; ma il più delle volte si tratta di
un gesto rivelatore di una difficoltà a vivere. È significativo che
con il XIX secolo si assista alla nascita dell'alcolismo e alla
comparsa della figura del
bevitore solitario. Una nuova calamità attorno alla quale si
accendono violente polemiche. Con ampiezza di argomenti, i membri delle
classi dominanti, valendosi dell'appoggio della medicina, pongono in
relazione la propensione all'alcol con l'immoralità della classe operaia.
Per sconfiggere la nuova pestilenza che getta il disordine nella famiglia,
contravviene al ferreo principio del risparmio, favorisce il calo
demografico, accelera la degenerazione della razza, rinfocola la discordia
sociale, attenta alla dignità patria, è opportuno in primo luogo operare
una moralizzazione del proletariato. Si organizza una campagna
antialcolica, a partire dal 1873 vengono create delle leghe che fanno
affidamento sulla scuola, la caserma, la città-giardino, l'inquadramento dei
divertimenti operai, e, soprattutto, sull'azione moralizzatrice della
donna. Più sotterraneamente questa campagna prende di mira
l'alcolismo mondano.
L'assenzio, in particolare, desta preoccupazione.
Lesivo alle cellule cerebrali, fattore di
epilessia, rischia di saccheggiare, al pari della sifilide sua alleata, il
patrimonio genetico delle classi dominanti. L'uomo rispettabile che beve
smodatamente fra le luci del caffè offre, inoltre, uno spettacolo degradante
che non deve assolutamente divenire consueto.
Il movimento operaio, a partire dal 1890,
rilancia la campagna orchestrata dai notabili; sulle basi tuttavia
di una totalmente diversa analisi del male, le cui cause sono ora
individuate nella miseria del proletariato. Il che non incide sulla
vivacità dell'impegno contro l'alcolismo. In questi ambienti, la droga
sempre più diffusa è accusata di far da freno alla organizzazione dei
lavoratori; la si vede come il nuovo oppio del popolo. Nel momento in cui si
allenta la presa della religione, subentra l'alcol come elemento di
confusione della coscienza, che blocca lo sviluppo della lotta di
classe. Anche qui, alla donna è affidato un ruolo moralizzatore. L'operaia
ha il compito di convertire il marito alla temperanza.
( da Ph. Ariès, G. Duby, La vita privata, L'Ottocento, Laterza, 1988,
pp. 461-462
)
|
C'è una certa continuità nel ritrarre pittoricamente il
tema del solitario consumatore di assenzio, o comunque di alcoolici (
vino, birra ), con referenti di significato abbastanza
costanti facilmente percepibili. A prescindere dagli atteggiamenti e dai
contesti che possono differenziare oggettivamente le situazioni ( la
strada per Il bevitore di assenzio di Manet , il bar per i
soggetti di Degas e
Van Gogh,
il chiuso di una stanza per le opere di
Toulouse-Lautrec
) le rappresentazioni contengono un dato convergente.
Il bere conduce, più o meno volontariamente, alla perdita di contatti e
di sensibilità per la realtà esterna, rinchiudendo il singolo nel suo
microcosmo, dove stenta ad elaborarsi un rilancio della volontà,
dove domina la fissità di sguardi nel vuoto, testimonianza di
sconfitte esistenziali e spesso di degrado sociale.
Quando Manet dipinge
nel 1858 Il Bevitore di assenzio,
pensa a Charles Baudelaire.
Ha conosciuto il poeta dal comandante Lejosne, uomo di cultura che riunisce
nel suo salotto le menti illuminate dell'epoca. E sicuramente sotto il suo
influsso che egli non si accontenta unicamente di proclamare la verità
del soggetto preso dal vivo e descritto nel proprio ambiente, la
strada. Vi introduce, anche altre dimensioni:
la degradazione, il vizio, la
miseria. L'infelice e disgraziato alcoolista che dipinge è
l'opposto di ciò che la pittura accademica individua come modello. Il suo
uomo, con cappello a cilindro e ampio mantello, non sta appoggiato sull'anca
come i modelli professionisti del suo studio; anzi, le sue gambe sono
messe in modo bizzarro e infondono una sensazione di malessere. In
effetti, l'accentuato realismo della scena, sottolineato dall'aspetto
miserevole della figura addossata al muro e dalle tonalità scure, è
contraddetto dall'assenza di partecipazione emotiva, anche per il
rifiuto di aggiungere particolari connotanti la scena. Infatti l'evocazione
minuziosa del dettaglio avrebbe invitato ad una ricostruzione coinvolgente e
troppo emotiva della situazione ritratta.
Degas realizza
L'assenzio nel 1876
L'opera appartiene al momento saliente
dell'impressionismo: due anni dopo la prima mostra presso il fotografo
Nadar. Benché si
tratti di un quadro impressionista è lontanissimo dai motivi festosi e dalle
gamme di colore squillanti impiegati da altri artisti del periodo. Lo spazio
di Degas, benché sia uno spazio concreto, ed esistenziale, non è naturale,
ma uno spazio psicologico e sociale.
La realtà urbana ( il
quadro è ambientato sulla ferrasse del Café Nouvelle-Athènes, in
Piace Pigalle, dove si riunivano i pittori impressionisti ) viene
riproposta senza "metterla
in posa",
senza cioè una
mediazione pittorica, che tenti di interpretarla, ma cogliendola piuttosto
di nascosto con l'occhio di un osservatore disincantato ma attento.
Nell'angolo del locale siedono immobili di fronte alle loro bevande un uomo
ed una donna ( per Degas hanno posato due amici: l'attrice Ellen Andrée
e il pittore Marcel Desboutin ) indifferenti l'uno
all'altra, assorti nei propri pensieri, abbrutiti dalla vita e dall'
alcool. La scena ha una sua consueta verosomiglianza: lei è una povera
prostituta dalle vesti falsamente lussuose, lui un clochard, dedito al
vizio.
Il dramma nasce dall' assenza di ogni atteggiamento teatralmente
drammatico, dall'emarginazione dei protagonisti, dal loro
decentramento scenico. E' una tranche de vie,
secondo l'indirizzo della narrativa naturalistica francese del secondo
Ottocento. L'occhio dello spettatore si posa fuggevolmente su un angolo
del caffè, dove casualmente si sta consumando il dramma umano di due
sconosciuti. A rafforzare l'idea di casualità dell'inquadratura
contribuisce l'impianto prospettico a zig-zag, la linea del tavolino in
primo piano, condotta in diagonale a sinistra, ripresa e continuata dal
giornale arrotolato intorno al bastone e sospeso fra i due tavoli è
bruscamente tagliata da quella degli altri tavolini, fino a perdersi oltre
il limite destro dove continua lo spazio. Cosicché sentiamo che
questo angolo non è che un
frammento qualsiasi della vita di tutta la grande città.
|
E. Manet, Il bevitore d'assenzio, 1858 - 1859
|
as
E. Degas, L'assenzio, 1876
|
Le opere di
Van Gogh e di
Toulouse-Lautrec
nascono in un contesto artistico segnato dal postimpressionismo e
puntano in modo diverso a
caratterizzare la psicologia dei personaggi, colti in momenti di
profonda solitudine.
Van Gogh
a Parigi diventa un assiduo frequentatore di
locali, cabaret e ristoranti popolari: seduto a un tavolo di “café” lo
ritrae Toulose-Lautrec
nel 1887. All’inizio di quell’anno frequenta assiduamente “Le
Tambourin”, sul Boulevard de Clichy, dove mangia gratis; il locale
era gestito da un’ex modella di Degas, l’italiana Agostina Segatori
con
cui van Gogh ha una breve relazione. In quel periodo Vincent decora le
pareti del locale con dipinti suoi e stampe giapponesi che si procura nella
bottega di Samuel Bing in rue de Provence.
Così si esprime a proposito del genere del ritratto
"Ciò che mi appassiona più di
tutto nel mio mestiere è il ritratto, il ritratto moderno. Lo
cerco attraverso il colore, e non sono certamente il solo a cercarlo in
questa strada […] vorrei fare dei ritratti che alla gente di un
secolo più tardi sembrino come delle apparizioni. Quindi non cerco più
niente attraverso la rassomiglianza fotografica, ma attraverso la nostra
espressione dei sentimenti, usando come mezzo di espressione e di
esaltazione del carattere la tecnica e il gusto moderno del colore […]".
Qui la figura delicata di
Agostina Segatori evoca, attraverso l’uso del colore e del
disegno finemente tracciato, lo stile delle xilografie giapponesi,
che tanto affascinavano Van Gogh, il quale, ad Anversa, tra il 1885 e il
1886, e poi a Parigi, aveva iniziato a collezionarle, organizzando
addirittura delle esposizioni nei caffè. Sullo sfondo del dipinto, sulla
parte destra, se ne intravedono alcune appese ad una parete del caffè Le
Tambourin.
Lo sguardo della donna, che siede solitaria
davanti ad un boccale di birra, appare più profondo e consapevole
rispetto a quelli vuoti e persi della bevitrice di assenzio
di Degas o della triste
figura femminile di Toulouse
Lautrec (
I postumi di una sbornia
); personaggi questi incapaci di evocare realtà altre rispetto alla
nuda contingenza del presente.
I postumi di una sbornia
è un'opera emblematica di una condizione sociale e
morale degradata. La donna proletaria che cerca
scampo nella bottiglia a una
squallida esistenza quotidiana (soggetto tra i più rappresentati
e rappresentativi della pittura francese a partire dagli anni Settanta
dell'Ottocento) diventa il simbolo di un'intera classe minacciata dal
pericolo dell'alienazione sotto il peso dei ritmi serrati e delle
condizioni lavorative disumane imposte dalla nascente civiltà industriale. A
posare per il disegno di Lautrec fu la sua amante di allora,
Suzanne Valadon, poi
nota come pittrice di talento e madre di
Maurice Utrillo.
|
V. Van Gogh, Agostina Segatori al Café du
Tambourin, 1887
|
sbor
Henri de Toulouse-Lautrec. I postumi di una
sbornia , 1887-1889
|
Henri de Toulouse-Lautrec , A La Mie (1891)
Analoga scena di squallore proletario, reso più
evidente da una fattura volutamente dozzinale cui concorrono la pennellata
sciatta e la pessima qualità del supporto cartaceo Contrariamente
all'impressione di immediatezza e spontaneità esecutiva che ne trae lo
spettatore, l'opera è nata da un attento lavoro preparatorio e nel solco
tracciato da precisi modelli. Lo dimostrano sia l'esistenza di una
fotografia che ritrae la medesima scena del dipinto, scattata su richiesta
dello stesso Lautrec
che intendeva servirsene come punto di partenza e termini di confronto per
il suo lavoro, sia l'innegabile influenza di opere come
L'assenzio di Edgar
Degas, del 1876, o come
I bevitori di assenzio
di Jean-Francois Raffaélli,
del 1881. Il nome del locale che dà il titolo al dipinto è anche un
gioco di parole basato sull'identica pronuncia di "A La Mie"
(Alla Mollica) e "a l'amie" (all'amica).
|
alM
Henri de Toulouse-Lautrec, A La Mie, 1891 |
Jean-Francois Raffaelli, I bevitori di assenzio,
1881 |
● Disarmonia esistenziale nei luoghi di
intrattenimento
Il segno ed il colore dell'arte di
Toulouse Lautrec possiedono un carattere
di incisiva espressività, capace di evidenziare la personalità
dei personaggi ritratti, che vengono sintetizzati in "tipi", protagonisti
indiscussi del mondo dei locali di Montmartre. Prevalgono, nella produzione
dell'autore, la caricatura, lo schizzo, il dinamismo delle scene di massa,
una rappresentazione a
volte disarmonica della realtà, del tutto affrancata dalle regole della pittura
tradizionale, a tratti persino violenta, un'esplosione di segni e colori,
volti a denunciare la decadenza ed il degrado
più che l'effervescenza del divertimento.
Le opere di
Toulouse Lautrec sono
caratterizzate da una
nota amaramente ironica e da
una fredda
negatività esistenziale, che emerge paradossalmente dalle
fisionomie distratte o sfigurate dalla noia dei frequentatori dei locali
notturni di Parigi. L'autore è del tutto lontano dalla
partecipazione emotiva a questi drammi ed è piuttosto lo spettatore ad essere
partecipe della tensione delle opere, rimanendone coinvolto
psicologicamente.
|
MG
H. Toulouse Lautrec, Moulin de la Galette, 188
|
Henri de Toulouse-Lautrec. Moulin Rouge, 1892 -
1893
|
● La progressiva de-rappresentazione della
dimensione urbana del vivere
Per concludere il discorso sull'importanza che
l'ambiente urbano parigino ha avuto per l'impressionismo e la sua
visione della vita, dobbiamo ora analizzare più da vicino il momento
di cesura ( attorno al 1880 ) che segna una crisi
irreversibile di tutto quel mondo, con l'abbandono progressivo delle
certezze teoriche maturate negli anni '60, espresso dai felici sodalizi di
Monet e Renoir impegnati ad Argenteuil. L'abbandono di precise certezze (
il valore del plein air, la visione festosa e disincantata del vivere nelle
periferie parigine, le sensazioni calde di luce e calore... ) si legge nell'isolamento
di molti protagonisti di quella felice stagione artistica, ma
soprattutto dal maturare di nuovi linguaggi, che progressivamente
spogliano il realismo ed il naturalismo della sua pregnanza rappresentativa.
L'ottava mostra degli impressionisti del 1886 è dominata da
La grande jatte di
Seurat,
che segnerà la definitiva dissoluzione del gruppo, ormai
scavalcato dal nuovo orientamento del puntinismo di
Seurat e
Signac,
difforme dall'ideale di arte fenomenica degli impressionisti.
Il concetto di
de-rappresentazione è stato impiegato per la pittura di
Cezanne da due
filosofi, Maurice Merleau-Ponty
e Jean-François Lyotard,
che analizzano il rapporto tra arte e psicanalisi in questo artista. Con il
termine de-rappresentazione si indica una rivoluzione formale
nel modo di dipingere, negando ad esempio le leggi della prospettiva
geometrica - legate ad una razionalizzazione del pensiero posto a
disciplinare, con leggi matematiche la percezione visiva - per una
prospettiva vissuta nei rigori volumetrici, nelle proprietà plastiche
intrinseche di linee, superfici e tonalità di colore. Una ricerca
pittorica intesa dunque a sottrarsi ad una delle categorie dominanti
del pensiero occidentale: quella della rappresentazione del reale per
una tensione esasperata alla realizzazione dell'irrealtà che sta sotto,
più forte e prepotente del reale.
L'ultimo Monet -
che conclude la sua produzione con il ciclo delle ninfee - si affianca a
Cezanne in questa
fuga dalla città come terreno
della rappresentazione, per immergersi in esperienze di
studio delle forme nella purezza della natura, destinato a fondare i
presupposti dell'arte moderna.
Si può intuire in Rue Mosnier imbandierata il lento superamento
- sul piano tematico - delle festanti
e dinamiche atmosfere di Rue Montorgueil,
presente in alcuni famosi quadri di
Manet del 1878. Qui
la presenza della folla è come svanita nel nulla: solo
qualche carrozza, l'avanzare faticoso di un mutilato, la scia dei vessilli
svolazzanti, l'ombra che sommerge il fondo della strada. Si percepisce in
questo quadro un'assenza ed un vuoto d'animazione, che la ricerca
formale sugli effetti della luce, che si stempera sui muri delle case, non
fa che acuire.
Cezanne,
nato ad Aix-en-Provence e parigino solo per la
frequentazione dell'ambiente culturale della capitale, porta avanti le sue
ricerche sul paesaggio con una esigenza sempre più viva di
razionalizzazione, imponendo ordine e stabilità ai piani visivi,
sbarazzandosi ben presto del rassicurante studio tonale del plein air,
coltivato negli anni '60 e '70 sotto la guida di
Pissarro.
In La casa di Zola a Médan ( 1880 ) si
riconosce già la pennellata direzionale, che colloca i segni su linee
parallele, esprimendo le sensazioni visive attraverso chiazze di luce
colorata. Esse hanno il compito di produrre una più completa
definizione spaziale del complesso abitativo immerso nel verde della
vegetazione, rispecchiata nella luce delle acque.
Ancora più simmetrica è la scomposizione spaziale di
L'Estacque a villa d'If
( 1884 ), dove sono rintracciabili tre piani prospettici
chiaramente isolabili, scanditi con un preciso criterio: colline
boscose e case in primo piano, il mare restrostante, la
montagna al di sopra della quale è il cielo. E' definitivamente
superato lo spazio aperto, mobile ed indistinto degli impressionisti.
I paesaggi di Cezanne
- tutti rivolti all'approfondimento dell'intima essenza della natura,
che assume stabilità e durata solo nel respiro assicuratele dall'arte,
segnano un netta discontinuità. Si esaurisce per la prima
volta quel legame intenso, che aveva unito gli impressionisti ai soggetti
urbani ed a quelli della banlieu parigina, dove la presenza umana faceva
percepire la continuità di un'atmosfera di vita, comunque rappresentabile
efficacemente abbandonandosi alla pura sensazione atmosferica. Ora lo
sguardo si distanzia, producendo geometriche astrazioni degli spazi:
la pittura abbandona dunque la rappresentazione.
Infine, quando la figura umana riappare in un contesto
di relazioni ( Due giocatori di carte,
1893 - 1896 ) Cezanne
, sempre attento ai valori formali e spaziali, più che non alla psicologia
dei personaggi, ci lascia intuire un momento di limpida e totale
concentrazione, icone enigmatiche immerse nella solenne riflessione del
gioco, che è la forma più semplice della razionalità contadina e
non una manifestazione della psicologia dell'uomo di città. Il quadro è
infatti ambientato nella sua tenuta di Jas de Bouffan presso Aix -en-Provence
e negli interni delle fattorie circostanti, dove alcuni contadini hanno
posato per la realizzazione del quadro, presente in almeno cinque versioni.
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rM
E. Manet, Rue Mosnier imbandierata, 1878
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P. Cezanne, La casa di Zola a Médan, 1880
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Est
P. Cezanne, L'Estacque a villa d'If, 1884
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P. Cezanne, Due giocatori di carte, 1893 - 1896 |