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L'altro volto della modernità: solitudini ed estraneità
alla vana frenesia del vivere parigino

● Quotidiana marginalità e nuovi soggetti antiaccademici

Manet
fa posare per la prima volta, davanti all’entrata di un modesto cabaret, Victorine-Louise Meurent, che diventerà la sua modella preferita sino al 1875. La quotidianità è riproposta in modo inaspettato; la donna è colta come di sorpresa, mentre, con una dolce malinconia nello sguardo assorto, porta alla bocca alcune ciliegie che trae da un cartoccio. Anche quest’opera di Manet, come tutte le altre di questi anni, verrà bocciata dalla critica, disorientata dal soggetto, nel 1863 in occasione della presentazione della Cantante di strada ( 1862 )  insieme ad altre tredici tele, presso la galleria Martinet. Le reazioni saranno negative e scandalizzate quasi all’unanimità e avranno conseguenze negative sull’invio della tela al Salon di quello stesso anno, dove  tutte le opere di Manet verranno respinte. Manet e Gustave Doré presenteranno una petizione al Ministero delle Belle Arti, ottenendo dall’imperatore Napoleone III la creazione del Salon des Refusés (dei rifiutati), con circa milleduecento opere, che, seppure ritenuto una buona occasione per contrapporsi alla cultura ufficiale, verrà ulteriormente esposto ai giudizi scatenati e divertiti della critica.
Il ritratto di Emile Zola testimonia del felice rapporto di stima reciproca che intercorre - almeno inizialmente - tra il romanziere naturalista ed il pittore. Zola mostra di apprezzare la battaglia di Manet per imporre alla cultura ed al pubblico del tempo una nuova figuratività, un nuovo gusto per una pittura antiaccademica, come anche Baudelaire aveva teorizzato. Egli annota nel romanzo, L'oevre, la scandalizzata e infantile reazione di alcuni osservatori del Dejeuner sur l'herbe, mettendo in ridicolo la pochezza dei loro giudizi. Certo il socialista Zola tende a leggere l'interesse giovanile di Manet e degli impressionisti per i soggetti quotidiani  della città, come una forma indiretta di impegno politico, come una corretta attenzione sociologica per i ruoli sociali dimessi, che l'arte nobilita, infine come una reazione - nelle forme e nei contenuti - alla cultura del Secondo Impero. Ma questa presunta scelta sociologica sarà smentita, almeno parzialmente, dall'evoluzione della poetica pittorica di Manet.
 

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E. Manet, Cantante di strada, 1862

 




E. Manet, Ritratto di Emile Zola, 1868

 

● La malinconia nella muta oscurità dei volti femminili di Degas

Il mondo degli impressionisti aveva fissato il carattere sempre mutevole e cangiante della realtà urbana, privilegiando le ricche e festose sensazioni del plein air date soprattutto dagli esterni. Tuttavia la lenta trasformazione del vivere urbano reca con sé anche tracce diverse, meno seducenti che rilevano un diverso impatto psicologico della società con la modernità.
Tra i referenti espressivi che restituiscono il disagio interiore dato dalla solitudine, dalla estraneità ai ruoli ed alle maschere sociali assunte, dalla fissità di condizioni di vita alienate....è senza dubbio interessante l'evoluzione della pittura di Degas nel trattamento dei volti femminili. Il volto delle donne di Degas diventa progressivamente una macchia di colore, che vela imperscrutabilmente sentimenti e personalità, fino a suggerire dimensioni psicologiche oscure e addirittura condizioni di vita patologiche.
Già la femminilità aristocratica o borghese dipinta negli anni '70 rivela qualche segno della crisi: sono donne impassibili e aggraziate, ma avvolte in scialli protettivi, difese da impenetrabili neri abiti accollati, quelle che esprimono una muta solitudine nel gruppo del 1876 La duchessa Montejasi Cicereale  e le figlie Elena e Camilla.

In altri casi con il viso rivolto verso una finestra, le donne annullate da una evidente pena per la vita si confondono con drammatici sfondi che si fanno talora graffianti, nei toni accesi dei rossi e dei gialli (  Donna che si toglie un guanto, 1892 ) o sono attraversati da lampi di biacca ( La Melanconia, 1867 - 1870 ). Già nel Ritratto di giovane donna in nero ( 1875 - 1878 ) ritroviamo qualcosa di enigmatico tanto da fare di questi personaggi femminili quasi moderne sfingi, prive di sguardi ammiccanti, di relazioni esterne, dalla personalità indecifrabile. Anche le sue ballerine nascondono pian piano il loro volto e divengono maschere oscure. La soprano Rose Caron raffigurata in Donna che si toglie un guanto , personaggio molto noto nella società del tempo, perde ogni eco della sua notorietà e della sua bellezza, oscurata da uno sfumato che ne elimina i tratti psicologici caratterizzanti.
Fino a cancellare ogni identità femminile nella sommaria manipolazione della scultura in cera di Mme Salle ( del 1892 poi fusa in bronzo nel 1919 ) che mostra gli effetti di una vera e propria deformazione del volto ( occhi gonfi e semichiusi, naso irregolare ).
Degas vive con interesse il clima culturale del tardo positivismo, con gli studi di Lombroso sulle attitudini criminali legate a  tare genetiche e quelli sull'isteria di Charcot.  Con lo sguardo freddo del clinico indagatore osserva la malattia dell'anima, la malinconia, di cui egli stesso era vittima, e registra la contorsione silenziosa di una donna in rosso afflosciata in una poltrona; registra del resto i segni del disfacimento sui corpi e i volti di ballerine e prostitute. Quell'atto di sfregiare, annullare il volto femminile sembra il riflesso di una concezione che fa corrispondere un vizio interiore, un'aberrazione dell'anima, alla deformità: le donne sono senza volto perché "perdere la faccia" indica la perdita di pudore, regole, rispetto.
Lo sfregio subito dai volti di Degas è l'inizio di un percorso segnato da un parossistico accanimento sul corpo operato in modi e con intenti diversi. Il contemporaneo Medardo Rosso, nel tentativo di restituire "l'impressione" generata dalla figura nell'ambiente, slabbra la resa descrittiva dei corpi, disfatti in colate di cera che assorbono il volto, diluendo i lineamenti nella materia morbida e assorbente.

( parzialmente elaborato da G. Mori, Degas tra antico e moderno, Art e dossier n.204, Giunti 2004 )
 




M
E. Degas, Malinconia, 1867 - 1870



E. Degas, Ritratto di giovane donna in nero, 1875 - 1878

 




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E. Degas, La duchessa Montejasi Cicereale
e le figlie Elena e Camilla, 1876
 

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E. Degas, Donna che si toglie un guanto, 1892
 







ba
E. Degas, Scena di balletto, 1907
 



E. Degas, Testa di donna ( Mme Salle ) - 1892 - 1919 < fusione >

 

● In specchi opachi si spegne la frenesia del vivere urbano

Manet incarna la concezione di vita che sta alla base della visione del mondo degli impressionisti, quella di una società che trae dalle grandi conquiste della tecnica, da uno sviluppo industriale mai visto fino ad allora e dalle sue capacità creative, una fiducia illimitata nel progresso, inteso non solo come progresso materiale dell'umanità, ma come realizzazione di quegli ideali liberali e civili che avevano costituito la fondamentale aspirazione del secolo. Una concezione tendente « ad accogliere incondizionatamente i dati di fatto della vita moderna, a sentire con la sensibilità contemporanea, e a porsi con la natura in quel gioioso, ottimistico rapporto che prende come un dono il gaio splendore di questo mondo, e interpreta le forze sotterranee della natura, che con la tecnica entrano in funzione nella vita contemporanea, come amichevoli collaboratrici dell'umano progresso ».( Haftmann ).

Proprio per questi motivi, nulla quanto l'ultima produzione di Manet può darci la percezione dell'improvviso e angosciante senso di dubbio che negli anni intorno al 1880 investe - dalle più intime radici - una tale concezione ottimistica della vita e della sociatà. Manet, proprio nel più tragico incombere della sua mortale malattia, e quasi incapace ormai di tenere in mano i pennelli, rivolse una richiesta - con una lettera al sindaco di Parigi - perché il Consiglio gli concedesse, attraverso una serie di composizioni da dipingersi nel rinnovato palazzo municipale, di illustrare la vita della città nei suoi vari aspetti : Paris-Halles, Paris-Chemins de fer, Paris-Port, Paris-Souterain, Paris-Courses, Jardins, ecc.; e, nel soffitto, una galleria dove far muovere tutti gli uomini di ingegno « che abbiano contribuito o contribuiscano alla grandezza di Parigi ».

 L'ultimo capolavoro di Manet Il Bar alle Folies Bergère presentato al Salon nel 1882, avrebbe potuto far parte di questo immenso affresco della vita parigina : ma Manet vi aveva lavorato in condizioni quasi disperate. L'atroce malattia che gli veniva paralizzando le membra lo aveva obbligato, negli ultimi tempi, ad abbandonare quasi del tutto la pittura a olio, e lo aveva indotto a dedicarsi, per un minimo dispendio di energia fisica, ai disegni e ai pastelli del suo ultimo periodo, di una morbidezza e di una grazia inarrivabili, nei quali, con acuta, sensibilità, egli sembra avvertire il divario crescente fra il mondo della sua creazione e quello reale. Quest'uomo che aveva detto un giorno a Zola di adorare il mondo e di trovare « des voluptés secrètes dans les delicatesses parfumées des soirées », si sentiva ormai sfuggire quella pienezza rigogliosa di vita che egli amava, e cercava nel suo giardino di Versailles, nei fiori, nelle giovani bellissime donne che lo circondavano, suggestioni di vita sempre più intense, più pungenti e più irreali.

Il Bar alle Folies Bergère fu dipinta - a prezzo di sacrifici inenarrabili - in studio e si basa sui ricordi delle lunghe ore passate dall'autore, già malato, nel celebre caffè-concerto. La nuova sensibilità di Manet raggiunge qui un'indicibile altezza di canto e una totale pregnanza di significato, tanto da potersi interpretare come documento della sensibilità di un preciso momento storico ( quello che con l'inizio degli anni '80 coincide con la crisi dell'impressionismo ) e non solo come la tappa finale delle'evoluzione estetica del pittore.  La sconcertante intensità delle immagini porta l'osservatore in una sfera emotiva che va ben oltre l'oggetto rappresentato.

Suzon, l'avvenente ragazza del bar, ha qualcosa di inerte nella sua conturbante bellezza: grande e voluttuosa, i suoi incantevoli occhi pervinca sono spenti, per la fatica o per la noia, sotto la frangia dei capelli biondi. Ogni più piccolo particolare del quadro contribuisce a creare un'atmosfera evanescente dove la vita della sala rimane estranea alla sensibilità della ragazza, pur rispecchiandosi brulicante di forme e di movimento.

Le bottiglie, gli ornamenti, i fiori che circondano la ragazza  e l'emozione di quell'incredibile specchio posto di dietro a lei, che ripropone, in un fantasmagorico moltiplicarsi di luci, lei stessa che parla con un cliente, la folla dei tavolini del bar, l'animazione eccitante della grande città, contribuiscano ad amplificare l'espressione del volto della ragazza, che è quella di una assenza, di un vuoto; e a fare di questa immagine, intensamente naturalistica, qualcosa di irreale, di fantomatico, un sogno a occhi aperti.

Non c'è, a questa data, nella produzione degli altri pittori impressionisti, un quadro che riesca a suggerirci con altrettanta forza emozionale il disfarsi della aitante sicurezza di una società, ancora improntata esternamente da raffinata eleganza,  disinvolta spigliatezza e  cultura cosmopolita, elementi che fecero di Parigi in quegli anni il vero centro ecumenico del vivere civile. Ma un'analisi, anche superficiale, delle opere e delle vicende dei pittori impressionisti negli anni successivi al 1880 non può lasciare dubbi sul nuovo e diverso riflettersi nei singoli artisti di una realtà in evidente processo di disgregazione. Spinti, o dall'inquietudine della propria natura, o da una dolorosa percezione del male recondito che mina la società, o da un bisogno invincibile di solitudine e di isolamento, gli impressionisti sono d'ora in avanti portati a vivere, ciascuno a suo modo, una crisi di valori che  ben presto doveva scoppiare in forme aperte e lancinanti, creando il terreno sul quale si sarebbe sviluppata l'arte contemporanea.

( da L'arte moderna, Fratelli Fabbri editori, vol.1, 1967 - 1975, pp. 1-2 )
 

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E. Manet, Le bar aux Folies-Bergère, 1882
 

Anche nei due interni raffigurati nelle opere di Caillebotte ( In un caffè, 1880 ) e di Toulouse-Lautrec ( M. Boileau Au Cafe Hart, 1890 ) l'impianto strutturale sfrutta abilmente lo spazio di fondo per ricreare l'atmosfera in cui si cala la rappresentazione dei due personaggi. Il grande specchio si presta molto bene alla tecnica di rappresentazione quasi fotografica della realtà, impiegata da Cailelbotte, per duplicare, in un gioco di immagine riflesse, di ombre, di abiti indolentemente appesi alle pareti, la sensazione di estraneità dell'avventore, poco decoroso nella sua postura, al  clima sonnolento di un caffé parigino, dove pare sospesa ogni tensione vitale.

Più animata l'atmosfera che si respira dietro al tavolo di
M. Boileau Au Cafe Harttra lo splendere delle luci e l'animato conversare di ricchi borghesi disposti ai tavoli. In questo caso a evidenziare la dolorosa contraddizione che connota la condizione del personaggio centrale è la tecnica graffiante di Lautrec - di tipo litografico, molto lontana dal naturalismo e quasi espressionistica nei suoi effetti. Si supera in tal modo la possibile stereotipia  del soggetto ( il solitario ed attempato avventore ) in un'interpretazione che coglie la forza incalzante e dolorosa della realtà direttamente osservata, fino a farne un emblema tragi-comico dell'evanescenza del vivere umano.
 

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G. Caillebotte, In un caffè, 1880
 


Henri de Toulouse-Lautrec, M. Boileau Au Cafe Hart, 1890
 

● Le solitudini dell'alcolismo

Così Philippe Ariès ci informa nel capitolo "Il gusto dell'alcol, una nuova realtà" sull'abuso di bevande alcoliche, vero vizio sociale, che ha assunto nell'Ottocento forme diverse , tutte legate comunque al degrado dell'esistenza e dei rapporti sociali.

 


"Ubriacarsi può costituire un piacere; ma il più delle volte si tratta di un gesto rivelatore di una difficoltà a vivere. È significativo che con il XIX secolo si assista alla nascita dell'alcolismo e alla comparsa della figura del bevitore solitario. Una nuova calamità attorno alla quale si accendono violente polemiche. Con ampiezza di argomenti, i membri delle classi dominanti, valendosi dell'appoggio della medicina, pongono in relazione la propensione all'alcol con l'immoralità della classe operaia. Per sconfiggere la nuova pestilenza che getta il disordine nella famiglia, contravviene al ferreo principio del risparmio, favorisce il calo demografico, accelera la degenerazione della razza, rinfocola la discordia sociale, attenta alla dignità patria, è opportuno in primo luogo operare una moralizzazione del proletariato. Si organizza una campagna antialcolica, a partire dal 1873 vengono create delle leghe che fanno affidamento sulla scuola, la caserma, la città-giardino, l'inquadramento dei divertimenti operai, e, soprattutto, sull'azione moralizzatrice della donna. Più sotterraneamente questa campagna prende di mira l'alcolismo mondano. L'assenzio, in particolare, desta preoccupazione. Lesivo alle cellule cerebrali, fattore di epilessia, rischia di saccheggiare, al pari della sifilide sua alleata, il patrimonio genetico delle classi dominanti. L'uomo rispettabile che beve smodatamente fra le luci del caffè offre, inoltre, uno spettacolo degradante che non deve assolutamente divenire consueto.

Il movimento operaio, a partire dal 1890, rilancia la campagna orchestrata dai notabili; sulle basi tuttavia di una totalmente diversa analisi del male, le cui cause sono ora individuate nella miseria del proletariato. Il che non incide sulla vivacità dell'impegno contro l'alcolismo. In questi ambienti, la droga sempre più diffusa è accusata di far da freno alla organizzazione dei lavoratori; la si vede come il nuovo oppio del popolo. Nel momento in cui si allenta la presa della religione, subentra l'alcol come elemento di confusione della coscienza, che blocca lo sviluppo della lotta di classe. Anche qui, alla donna è affidato un ruolo moralizzatore. L'operaia ha il compito di convertire il marito alla temperanza.

( da Ph. Ariès, G. Duby, La vita privata, L'Ottocento, Laterza, 1988, pp. 461-462 )
 

C'è una certa continuità nel ritrarre pittoricamente il tema del solitario consumatore di assenzio, o comunque di alcoolici ( vino, birra ), con referenti di significato abbastanza costanti facilmente percepibili. A prescindere dagli atteggiamenti e dai contesti che possono differenziare oggettivamente le situazioni ( la strada per Il bevitore di assenzio di Manet , il bar per i soggetti di Degas e Van Gogh, il chiuso di una stanza per le opere di Toulouse-Lautrec ) le rappresentazioni contengono un dato convergente.
Il bere conduce, più o meno volontariamente, alla perdita di contatti e di sensibilità per la realtà esterna, rinchiudendo il singolo nel suo microcosmo, dove stenta ad elaborarsi un rilancio della volontà, dove domina la fissità di sguardi nel vuoto, testimonianza di sconfitte esistenziali e spesso di degrado sociale.

Quando Manet dipinge nel 1858 Il Bevitore di assenzio,  pensa a Charles Baudelaire. Ha conosciuto il poeta dal comandante Lejosne, uomo di cultura che riunisce nel suo salotto le menti illuminate dell'epoca. E sicuramente sotto il suo influsso che egli non si accontenta unicamente di proclamare la verità del soggetto preso dal vivo e descritto nel proprio ambiente, la strada. Vi introduce, anche altre dimensioni: la degradazione, il vizio, la miseria. L'infelice e disgraziato alcoolista che dipinge è l'opposto di ciò che la pittura accademica individua come modello. Il suo uomo, con cappello a cilindro e ampio mantello, non sta appoggiato sull'anca come i modelli professionisti del suo studio; anzi, le sue gambe sono messe in modo bizzarro e infondono una sensazione di malessere. In effetti, l'accentuato realismo della scena, sottolineato dall'aspetto miserevole della figura addossata al muro e dalle tonalità scure, è contraddetto dall'assenza di partecipazione emotiva, anche per il rifiuto di aggiungere particolari connotanti la scena. Infatti l'evocazione minuziosa del dettaglio avrebbe invitato ad una ricostruzione coinvolgente e troppo emotiva della situazione ritratta.

Degas realizza L'assenzio nel 1876
L'opera appartiene al momento saliente dell'impressionismo: due anni dopo la prima mostra presso il fotografo Nadar. Benché si tratti di un quadro impressionista è lontanissimo dai motivi festosi e dalle gamme di colore squillanti impiegati da altri artisti del periodo. Lo spazio di Degas, benché sia uno spazio concreto, ed esistenziale, non è naturale, ma uno spazio psicologico e sociale. La realtà urbana ( il quadro è ambientato sulla ferrasse del Café Nouvelle-Athènes, in Piace Pigalle, dove si riunivano i pittori impressionisti ) viene riproposta senza "metterla in posa", senza cioè una mediazione pittorica, che tenti di interpretarla, ma cogliendola piuttosto di nascosto con l'occhio di un osservatore disincantato ma attento. Nell'angolo del locale siedono immobili di fronte alle loro bevande un uomo ed una donna ( per Degas hanno posato due amici: l'attrice Ellen Andrée e il pittore Marcel Desboutin indifferenti l'uno all'altra, assorti nei propri pensieri, abbrutiti dalla vita e dall' alcool. La scena ha una sua consueta verosomiglianza: lei è una povera prostituta dalle vesti falsamente lussuose, lui un clochard, dedito al vizio.
Il dramma nasce dall' assenza di ogni atteggiamento teatralmente drammatico, dall'emarginazione dei protagonisti, dal loro decentramento scenico. E' una tranche de vie secondo l'indirizzo della narrativa naturalistica francese del secondo Ottocento. L'occhio dello spettatore si posa fuggevolmente su un angolo del caffè, dove casualmente si sta consumando il dramma umano di due sconosciuti. A rafforzare l'idea di casualità dell'inquadratura contribuisce l'impianto prospettico a zig-zag, la linea del tavolino in primo piano, condotta in diagonale a sinistra, ripresa e continuata dal giornale arrotolato intorno al bastone e sospeso fra i due tavoli è bruscamente tagliata da quella degli altri tavolini, fino a perdersi oltre il limite destro dove continua lo spazio. Cosicché sentiamo che questo angolo non è che un frammento qualsiasi della vita di tutta la grande città.
 



E. Manet, Il bevitore d'assenzio, 1858 - 1859
 


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E. Degas, L'assenzio, 1876
 

Le opere di Van Gogh e di Toulouse-Lautrec nascono in un contesto artistico segnato dal postimpressionismo e puntano in modo diverso a caratterizzare la psicologia dei personaggi, colti in momenti di profonda solitudine.

Van Gogh a Parigi  diventa un assiduo frequentatore di locali, cabaret e ristoranti popolari: seduto a un tavolo di “café” lo ritrae Toulose-Lautrec nel 1887. All’inizio di quell’anno frequenta assiduamente “Le Tambourin”, sul Boulevard de Clichy, dove mangia gratis; il locale era gestito da un’ex modella di Degas, l’italiana Agostina Segatori con cui van Gogh ha una breve relazione. In quel periodo Vincent decora le pareti del locale con dipinti suoi e stampe giapponesi che si procura nella bottega di Samuel Bing in rue de Provence.
Così si esprime a proposito del genere del ritratto "Ciò che mi appassiona più di tutto nel mio mestiere è il ritratto, il ritratto moderno. Lo cerco attraverso il colore, e non sono certamente il solo a cercarlo in questa strada […] vorrei fare dei ritratti che alla gente di un secolo più tardi sembrino come delle apparizioni. Quindi non cerco più niente attraverso la rassomiglianza fotografica, ma attraverso la nostra espressione dei sentimenti, usando come mezzo di espressione e di esaltazione del carattere la tecnica e il gusto moderno del colore […]". Qui la figura delicata di Agostina Segatori evoca, attraverso l’uso del colore e del disegno finemente tracciato, lo stile delle xilografie giapponesi, che tanto affascinavano Van Gogh, il quale, ad Anversa, tra il 1885 e il 1886, e poi a Parigi, aveva iniziato a collezionarle, organizzando addirittura delle esposizioni nei caffè. Sullo sfondo del dipinto, sulla parte destra, se ne intravedono alcune appese ad una parete del caffè Le Tambourin.
Lo sguardo della donna, che siede solitaria davanti ad un boccale di birra, appare più profondo e consapevole rispetto a quelli vuoti e persi della bevitrice di assenzio di Degas o della triste figura femminile di Toulouse Lautrec (
I postumi di una sbornia ); personaggi questi  incapaci di evocare realtà altre rispetto alla nuda contingenza del presente.
I postumi di una sbornia è un'opera emblematica di una condizione sociale e morale degradata. La donna proletaria che cerca scampo nella bottiglia a una squallida esistenza quotidiana (soggetto tra i più rappresentati e rappresentativi della pittura francese a partire dagli anni Settanta dell'Ottocento) diventa il simbolo di un'intera classe minacciata dal pericolo dell'alienazione sotto il peso dei ritmi serrati e delle condizioni lavorative disumane imposte dalla nascente civiltà industriale. A posare per il disegno di Lautrec fu la sua amante di allora, Suzanne Valadon, poi nota come pittrice di talento e madre di Maurice Utrillo.
 


V. Van Gogh, Agostina Segatori al Café du Tambourin, 1887
 


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Henri de Toulouse-Lautrec. I postumi di una sbornia , 1887-1889
 


Henri de Toulouse-Lautrec , A La Mie
(1891)

Analoga scena di squallore proletario, reso più evidente da una fattura volutamente dozzinale cui concorrono la pennellata sciatta e la pessima qualità del supporto cartaceo Contrariamente all'impressione di immediatezza e spontaneità esecutiva che ne trae lo spettatore, l'opera è nata da un attento lavoro preparatorio e nel solco tracciato da precisi modelli. Lo dimostrano sia l'esistenza di una fotografia che ritrae la medesima scena del dipinto, scattata su richiesta dello stesso Lautrec che intendeva servirsene come punto di partenza e termini di confronto per il suo lavoro, sia l'innegabile influenza di opere come L'assenzio di Edgar Degas, del 1876, o come I bevitori di assenzio di Jean-Francois Raffaélli, del 1881. Il nome del locale che dà il titolo al dipinto è anche un gioco di parole basato sull'identica pronuncia di "A La Mie" (Alla Mollica) e "a l'amie" (all'amica).
 





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Henri de Toulouse-Lautrec, A La Mie, 1891


Jean-Francois Raffaelli, I bevitori di assenzio, 1881

● Disarmonia esistenziale nei luoghi di intrattenimento

Il segno ed il colore dell'arte di Toulouse Lautrec possiedono un carattere di incisiva espressività, capace di evidenziare la personalità dei personaggi ritratti, che vengono sintetizzati in "tipi", protagonisti indiscussi del mondo dei locali di Montmartre. Prevalgono, nella produzione dell'autore, la caricatura, lo schizzo, il dinamismo delle scene di massa, una rappresentazione a volte disarmonica della realtà, del tutto affrancata dalle regole della pittura tradizionale, a tratti persino violenta, un'esplosione di segni e colori, volti a denunciare la decadenza ed il degrado più che l'effervescenza del divertimento.
Le opere di Toulouse Lautrec  sono caratterizzate da una nota amaramente ironica e da una fredda negatività esistenziale, che emerge paradossalmente dalle fisionomie distratte o sfigurate dalla noia dei frequentatori dei locali notturni di Parigi. L'autore è del tutto lontano dalla partecipazione emotiva a questi drammi ed è piuttosto lo spettatore ad essere partecipe della tensione delle opere, rimanendone coinvolto psicologicamente.
 


MG
H. Toulouse Lautrec, Moulin de la Galette, 188



Henri de Toulouse-Lautrec. Moulin Rouge, 1892 - 1893


● La progressiva de-rappresentazione della dimensione urbana del vivere

Per concludere il discorso sull'importanza che l'ambiente urbano parigino ha avuto per l'impressionismo e la sua visione della vita, dobbiamo ora analizzare più da vicino il momento di cesura ( attorno al 1880 ) che segna una crisi irreversibile di tutto quel mondo, con l'abbandono progressivo delle certezze teoriche maturate negli anni '60, espresso dai felici sodalizi di Monet e Renoir impegnati ad Argenteuil. L'abbandono di precise certezze ( il valore del plein air, la visione festosa e disincantata del vivere nelle periferie parigine, le sensazioni calde di luce e calore... ) si legge nell'isolamento di molti protagonisti di quella felice stagione artistica, ma soprattutto dal maturare di nuovi linguaggi, che progressivamente spogliano il realismo ed il naturalismo della sua pregnanza rappresentativa.
L'ottava mostra degli impressionisti del 1886 è dominata da La grande jatte di Seurat, che segnerà la definitiva dissoluzione del gruppo, ormai scavalcato dal nuovo orientamento del puntinismo di Seurat e Signac, difforme dall'ideale di arte fenomenica degli impressionisti.


Il concetto di de-rappresentazione è stato impiegato per la pittura di Cezanne da due filosofi, Maurice Merleau-Ponty e Jean-François Lyotard,  che analizzano il rapporto tra arte e psicanalisi in questo artista. Con il termine de-rappresentazione si indica una  rivoluzione formale nel modo di dipingere, negando ad esempio le leggi della prospettiva geometrica - legate ad una razionalizzazione del pensiero posto a disciplinare, con leggi matematiche la percezione visiva - per una prospettiva vissuta nei rigori volumetrici,  nelle proprietà plastiche intrinseche di linee, superfici e tonalità di colore. Una ricerca pittorica intesa  dunque a sottrarsi ad una delle categorie dominanti del pensiero occidentale: quella della rappresentazione del reale per una tensione esasperata alla realizzazione dell'irrealtà che sta sotto, più forte e prepotente del reale.
L'ultimo Monet  - che conclude la sua produzione con il ciclo delle ninfee - si affianca a Cezanne in questa fuga dalla città come terreno della rappresentazione,  per immergersi in esperienze di studio delle forme nella purezza della natura, destinato a fondare i presupposti dell'arte moderna.

Si può intuire in Rue Mosnier imbandierata il lento superamento - sul piano tematico - delle festanti e dinamiche atmosfere di Rue Montorgueil,  presente in alcuni famosi quadri di Manet del 1878. Qui la presenza della folla è come svanita nel nulla: solo qualche carrozza, l'avanzare faticoso di un mutilato, la scia dei vessilli svolazzanti, l'ombra che sommerge il fondo della strada. Si percepisce in questo quadro un'assenza ed un vuoto d'animazione, che la ricerca formale sugli effetti della luce, che si stempera sui muri delle case, non fa che acuire.

Cezanne,  nato ad Aix-en-Provence e parigino solo per la frequentazione dell'ambiente culturale della capitale, porta avanti le sue ricerche sul paesaggio con una esigenza sempre più viva di razionalizzazione, imponendo ordine e stabilità ai piani visivi, sbarazzandosi ben presto del rassicurante studio tonale del plein air, coltivato negli anni '60 e '70 sotto la guida di Pissarro.
In  La casa di Zola a Médan ( 1880 ) si riconosce già la pennellata direzionale, che colloca i segni su linee parallele, esprimendo le sensazioni visive attraverso chiazze di luce colorata. Esse hanno il compito di produrre una più completa definizione spaziale del complesso abitativo immerso nel verde della vegetazione, rispecchiata nella luce delle acque.
Ancora più simmetrica è la scomposizione spaziale di
 L'Estacque a villa d'If  ( 1884 ), dove sono rintracciabili tre piani prospettici chiaramente isolabili, scanditi con un preciso criterio: colline boscose e case in primo piano, il mare restrostante, la montagna al di sopra della quale è il cielo. E' definitivamente superato lo spazio aperto, mobile ed indistinto degli impressionisti.
I paesaggi di Cezanne - tutti rivolti all'approfondimento dell'intima essenza della natura, che assume stabilità e durata solo nel respiro assicuratele dall'arte, segnano un netta discontinuità. Si esaurisce per la prima volta quel legame intenso, che aveva unito gli impressionisti ai soggetti urbani ed a quelli della banlieu parigina, dove la presenza umana faceva percepire la continuità di un'atmosfera di vita, comunque rappresentabile efficacemente abbandonandosi alla pura sensazione atmosferica. Ora lo sguardo si distanzia, producendo geometriche astrazioni degli spazi: la pittura abbandona dunque la rappresentazione.

Infine, quando la figura umana riappare in un contesto di relazioni ( Due giocatori di carte, 1893 - 1896  ) Cezanne , sempre attento ai valori formali e spaziali, più che non alla psicologia dei personaggi, ci lascia intuire un momento di limpida e totale concentrazione, icone enigmatiche immerse nella solenne riflessione del gioco, che è la forma più semplice della razionalità contadina e non una manifestazione della psicologia dell'uomo di città. Il quadro è infatti ambientato nella sua tenuta di Jas de Bouffan presso Aix -en-Provence e negli interni delle fattorie circostanti, dove alcuni contadini hanno posato per la realizzazione del quadro, presente in almeno cinque versioni.
 

rM
E. Manet, Rue Mosnier imbandierata, 1878
 


P. Cezanne, La casa di Zola a Médan, 1880
 

Est
P. Cezanne, L'Estacque a villa d'If, 1884
 







P. Cezanne, Due giocatori di carte, 1893 - 1896

 

 

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