G. Francesco Maia Materdona (14)

     L’attrice regina

    

         Questi, o bella istriona, onde tu cingi
         fianco e crin, regi ammanti, aurati serti,
         mostrano ai guardi alteri, agli atti esperti,
        ch'esser devresti tal, qual ti dipingi.

 

           Stringer con quella mano, onde tu stringi

        un finto scettro, un vero scettro merti;

        t'ammirano i teatri e stanno incerti

        se vanti i veri regni o se li fingi.

 

           Sii pur finta reina: or se le vere

       cangiasser col tuo stato i regi onori,

       quanto gir ne porian ricche ed altere!

 

          Ch'è gloria assai maggior d'alme e di cori

       reggere il fren, che in testa e 'n braccio avere

       cerchio e verga real di gemme e d'ori.

 


 

Un confronto tra verità e finzione, da cui – come sempre – è la seconda a uscire vincitrice, in un ambito in cui arte e vita più che mai si confondono: il teatro. La bella istriona, l’attrice che recita sulla scena la parte della regina, suscita negli spettatori un’ammirazione tale da farli dubitare che la finzione sia realtà (stanno incerti se vanti i veri regni o se li fingi). E la finta reina, con la sua potere di soggiogare i sentimenti del pubblico, conquista una gloria assai maggior di quella che viene dal possesso di una vera corona d’oro.

 

Giovan Francesco Maia Materdona nacque a Mesagne (Brindisi) nel 1590.

Poeta marinista, ebbe successo con le Rime, pubblicate a Venezia nel 1629 e poi ristampate a Milano, Napoli e Genova. In prosa sono le Lettere di buone feste, prontuario di lettere di auguri (Roma 1624, Venezia 1644). Poco dopo la morte di Giambattista Marino, alla cui commemorazione presenziò, ebbe in sogno una visione del caposcuola cinto dalle fiamme infernali, che lo esortava a non seguire il suo esempio e a volgersi alla religione. Profondamente colpito, prese gli ordini sacri e, arsi tutti i componimenti profani ancora inediti, attese alla composizione di un voluminoso trattato edificante, L'utile spavento del peccatore (Roma 1659, Venezia 1665 e 1671), di 907 fitte pagine, interessante per il vigore appassionato dello stile e le parti di analisi poetico-letteraria contenutevi. Prima celebre, negli ultimi anni della sua vita riuscì a far perdere di sé ogni traccia, tanto che la data della sua morte non è conosciuta.

 

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