La cultura della finzione nei canzonieri dell'età barocca

 

“La civiltà barocca… non ha una sua fede, una sua certezza. La sua unica fede è forse quella nella validità di una tecnica sempre più perfezionata. La sua unica certezza è nella coscienza dell’incertezza di tutte le cose, dell’instabilità del reale, delle ingannevoli parvenze, della relatività dei rapporti tra le cose” (G. Getto, La polemica sul barocco , in Letteratura e critica nel tempo, Milano 1969).
 

Alla crisi delle certezze tradizionali, e al vuoto inquietante che porta con sé, la civiltà barocca risponde con la cultura della finzione. L’ambivalenza del termine è profonda: da un lato, nella sua radice latina (fingere = plasmare, creare, costruire) è creatività, arte, gioco fantastico, innovazione; dall’altro è menzogna, perdita del senso di realtà e di verità nel vivere, artificio ingannevole mirato a occultare ciò che non si vorrebbe vedere – la vanità dell’esistenza, lo scorrere inesorabile del tempo, l’incombere della morte. 
 

Nelle tematiche dei canzonieri barocchi emerge, pienamente consapevole di sé, la cultura della finzione in tutte le sue valenze  e sfumature. Fingere è l’essenza dell’agire umano: nell’amore (gioco di inganni tra gli amanti, per cui nulla è come appare), nell’apparire ( a moda vana maschera contro l’invecchiamento),  nell’arte (gara vittoriosa contro la Natura), negli artifici della tecnologia che entrano nell’uso quotidiano e che si fanno metafora della condizione umana ( la lente, l’orologio…).

 

Una ricognizione delle occorrenze in questa area semantica all’interno della produzione lirica dell’età barocca porta a emergere la cultura della finzione nei diversi ambiti dell’agire umano:

 

-         nell’amore, gioco di bugie tra gli amanti, per cui nulla è come appare

 

-         nel costume sociale, con la percezione di una realtà interamente costituita di menzogna, e con il gusto del finto nella moda, vano inganno al tempo e alla morte

 

-         nelle arti: l’arte, da imitazione della natura, diventa gara aperta, in cui è la finzione a risultare vittoriosa

 

-         negli artifici della tecnologia: l’ordigno che entra nell’uso quotidiano (come l’orologio e l’occhiale) si fa metafora della condizione umana.

 

 
Un'antologia di testi
 

* AA.VV. Poesie dell'età barocca

     Brignole Sale 3

    

       1    Chi nel regno almo d'Amore

       2 brama l'ore - trar serene

       3 fuor di pene,

       4 d'una sola amante stolto

       5 non si chiami;

       6 molte n'ami, - ma non molto.

       7    *Finga* pene per ciascuna,

       8 ma nessuna - abbia la palma

       9 d'arder l'alma;

      10 talor esca in mezzo al viso

      11 breve pianto,

      12 ma fra tanto - in cor sia riso.

      13    La modesta, se ti scaccia,

      14 tu procaccia - che l'audace

      15 ti dia pace;

      16 se la bianca ti beffeggia,

      17 la brunetta

      18 per vendetta - e tu vagheggia.

      19    Quando vede donna bella

      20 che sol ella - nel tuo petto

      21 ha ricetto;

      22 in trofeo, meschin, ti mena,

      23 flagellato,

      24 condannato - a vil catena.

      25    Ma se scorge che tu scaltro,

      26 tosto ad altro - amabil volto

      27 sarai vòlto,

      28 non si mostra più severa,

      29 ma pietosa,

      30 amorosa, - lusinghiera.

      31    Quel van titolo di fede,

      32 che ognun chiede - e ognun desia,

      33 è pazzia.

      34 A vestirsi è fede avezza

      35 di candore,

      36 ch'è il colore - di sciocchezza.

 

 

* AA.VV. Poesie dell'età barocca

     G.Battista 6

    

       1    Nice, qualora il suo pensier mi spiega,

       2 ogni parola è di bugie vestita;

       3 quando ella mi discaccia, allor m'invita,

       4 e quando mi minaccia, allor mi prega.

       5    Ora pietà promette, ora la nega,

       6 ed ora m'abbandona, ora m'aita;

       7 mesta e lieta mantiene a me la vita,

       8 e mi discioglie allor quando mi lega.

       9    Dopo tante menzogne, alfin m'induce

      10 a non amarla più giusto furore,

      11 benché beltà celeste in lei riluce.

      12    Poi dico: - Il non amarla è grave errore;

      13 ché se la veritate odio produce,

      14 dritto è che la *bugia* produca amore. -

 

* AA.VV. Poesie dell'età barocca

     Maria Materdona 14

    

       1    Questi, o bella istriona, onde tu cingi

       2 fianco e crin, regi ammanti, aurati serti,

       3 mostrano ai guardi alteri, agli atti esperti,

       4 ch'esser devresti tal, qual ti dipingi.

       5    Stringer con quella mano, onde tu stringi

       6 un finto scettro, un vero scettro merti;

       7 t'ammirano i teatri e stanno incerti

       8 se vanti i veri regni o se li *fingi*.

       9    Sii pur finta reina: or se le vere

      10 cangiasser col tuo stato i regi onori,

      11 quanto gir ne porian ricche ed altere!

      12    Ch'è gloria assai maggior d'alme e di cori

      13 reggere il fren, che in testa e 'n braccio avere

      14 cerchio e verga real di gemme e d'ori.

 

 

 

* LUBRANO, G. Sonetti 3&
Per le capelliere posticce
 


       1     Stolida frode, Ipocrisia fallita,

       2 crede spuntar la falce anco a' Destini.

       3 Con avanzi di tombe acconcia i Crini,

       4 scapiglia morti ad abbellir la vita.

       5    Ostenta più d'un'Ecuba marcita

       6 in bionde fila d'òr trecce di Frini:

       7 più d'un calvo Titon a' cranii alpini

       8 d'Euriali e Nisi innesta ombra fiorita.

       9    Lusso a che fingi? Vanità che speri?

      10 se porgi in mano a le Fortune infide

      11 di venali *bugie* ciuffi non veri?

      12    Non se ne sdegna Cloto, anzi sorride,

      13 che mieter possa apocrifi Cimieri,

      14 senza aguzzar le forfici omicide.

 

 

* MARINO, G.B. La Galeria 138

    

    Maddalena piangente di La Cangiasi.

       1     Finta dunque è costei? chi credea mai

       2 animati i color', vive le carte?

       3 Finta certo è costei, ma con tal *arte*,

       4 che l'esser dal parer vinto è d'assai.

       5    Oh di che dolce pianto umidi i rai

       6 al Ciel, dov'è di lei la miglior parte,

       7 volge, e le chiome intorno ha sciolte e sparte,

       8 altrui bella cagion d'eterni lai!

       9    Oh come in atto e languida, e vivace,

      10 dove manca a le labra, aver spedita

      11 par negli occhi la lingua, e parla, e tace.

      12    E par tacendo dir, ‘Già spirto e vita

      13 diemmi il Pittor, ma l'anima fugace

      14 fe' poi da me col mio signor partita’.

 

 

* AA.VV. Poesie dell'età barocca

     G.Battista 8

    

       1    Scrivo talor che m'avviluppa un laccio,

       2 narro talor che mi saetta un guardo;

       3 ma favoloso è del mio sen lo 'mpaccio

       4 e dell'anima mia mentito il dardo.

       5    Crede altri già ch'io ne' martir mi sfaccio,

       6 e che di fiamme in un torrente io ardo;

       7 ma quel foco ch'io mostro è tutto ghiaccio,

       8 e 'l martir che paleso anco è *bugiardo*.

       9    Tra gli scherzi acidali onesto ho il core,

      10 ed al garrir di questa penna giace

      11 sordo il pensier, che non conosce amore.

      12    Cantò Pale Marone e 'l dio del Trace,

      13 né vincastro trattò, rozzo pastore,

      14 né brando fulminò, guerriere audace.

 

*      MARINO, G.B. La Galeria 426 

       

      Rafaello Gualterotti.

         1       Dipinse RAFAELLO,

         2 io RAFAEL novello anco dipingo;

         3 e ben col suo pennello

         4 la mia penna gareggia. Ei finse, io *fingo*;

         5 se non che 'l mio dipingere è di quello

         6 più durabile e bello:

         7 ché facondo Pittor discopro e mostro

         8 mille colori in un oscuro inchiostro.

 

* AA.VV. Poesie dell'età barocca

     F.Meninni 9

    

       1    Sol menzogne ravviso ovunque il guardo

       2 de l'intelletto e de le luci io giro.

       3 Se d'un nume terren la reggia io guardo,

       4 mille di falsità ritratti io miro;

       5    se 'l piè talor entro i musei ritardo,

       6 iperboli dipinte i lini ammiro;

       7 lusinghiera beltà viso bugiardo

       8 m'addita, allor che a vagheggiarla aspiro.

       9    Turba di fole entro i licei dimora,

      10 né di finte apparenze è 'l cielo avaro,

      11 quando a l'iride un arco il Sol colora.

      12    Ma che giova schernir gli altri che alzâro

      13 trono superbo a la *bugia*, se ancora

      14 bugie da Febo, io che ragiono, imparo?

 

*      MARINO, G.B. La Galeria 582 

       

      La Vacca di Mirone.

         1       A quel bel marmo bianco

         2 da dotta man scolpito

         3 manca sol il muggito.

         4 Né mancheria quest'anco,

         5 se non fusse il timore

         6 d'offender lo Scultore;

         7 ché *finger* una cosa

         8 di senso e d'alma priva,

         9 e farla parer viva,

        10 è maggior magistero

        11 che far il vivo, e 'l vero.

 

* G.LUBRANO,  Sonetti   31

   

       L'occhialino

       1     Con qual magia di cristallina lente

       2 picciolo *ordigno*, Iperbole degli occhi,

       3 fa che in punti di arene un Perù fiocchi,

       4 e pompeggi da grande un schizzo d'Ente?

       5    Tanto piacevol più, quanto più mente:

       6 minaccia in poche gocce un mar che sbocchi:

       7 da un fil, striscia di fulmine che scocchi:

       8 e giuri mezzo tutto un mezzo niente.

       9    Così se stesso adula il Fasto umano,

      10 e per diletto amplifica gl'inganni,

      11 stimando un Mondo ogni atomo di vano.

      12    O Ottica fatale a' nostri danni!

      13 Un Istante è la vita; e 'l senso insano

      14 sogna, e travede Eternità negli anni.

 

 

* AA.VV. Poesie dell'età barocca

     Ciro di Pers 18

    

       1    Nobile *ordigno* di dentate rote

       2 lacera il giorno e lo divide in ore,

       3 ed ha scritto di fuor con fosche note

       4 a chi legger le sa: SEMPRE SI MORE.

       5    Mentre il metallo concavo percuote,

       6 voce funesta mi risuona al core;

       7 né del fato spiegar meglio si puote

       8 che con voce di bronzo il rio tenore.

       9    Perch'io non speri mai riposo o pace,

      10 questo, che sembra in un timpano e tromba,

      11 mi sfida ognor contro all'età vorace.

      12    E con que' colpi onde 'l metal rimbomba,

      13 affretta il corso al secolo fugace,

      14 e perché s'apra, ognor picchia alla tomba.

 

** AA.VV. Poesie dell'età barocca

     G.Battista 14

    

       1    Questa di man germana opra guerriera,

       2 se di zolfi nitrosi accende il seno

       3 ed a piombo pennuto allenta il freno,

       4 fulmine par della tonante sfera.

       5    Svena in mezzo al fuggir partica fèra,

       6 benché rapida il piè scorni il baleno,

       7 e di sùbita morte atro veleno

       8 porta ne' globi alla volante schiera.

       9    Erutta il tuono e partorisce il lampo,

      10 fa d'estinti guerrieri il suol fecondo

      11 e di vermiglio umor lastrica il campo.

      12    Lascia, o Morte, la falce, inutil pondo,

      13 e con l'*ordigno*, a cui non giova scampo,

      14 dal mondo impara a fulminare il mondo.

 

  tasso -Canto 16 - Gerusalemme liberata

      

             I due guerrier, poi che dal vago obietto

             rivolser gli occhi, entràr nel dubbio tetto.

         8       Qual Meandro fra rive oblique e incerte

             scherza e con dubbio corso or cala or monta,

             queste acque a i fonti e quelle al mar converte,

             e mentre ei vien, sé che ritorna affronta,

             tali e più inestricabili conserte

             son queste vie, ma il libro in sé le impronta

             (il libro, don del mago) e d'esse in modo

             parla che le risolve, e spiega il nodo.

         9       Poi che lasciàr gli aviluppati calli,

             in lieto aspetto il bel giardin s'aperse:

             acque stagnanti, mobili cristalli,

             fior vari e varie piante, erbe diverse,

             apriche collinette, ombrose valli,

             selve e spelonche in una vista offerse;

             e quel che 'l bello e 'l caro accresce a l'opre,

             l'arte, che tutto fa, nulla si scopre.

        10       Stimi (sì misto il culto è co 'l negletto)

             sol naturali e gli ornamenti e i siti.

             Di natura *arte* par, che per diletto

             l'imitatrice sua scherzando imiti.

             L'aura, non ch'altro, è de la maga effetto,

             l'aura che rende gli alberi fioriti:

             co' fiori eterni eterno il frutto dura,

             e mentre spunta l'un, l'altro matura.

       

 

 

 LUBRANO, G. Sonetti  24

    

    Stravaganze del lusso nel dar varie tinte di colori alle
    sete

       1     Per dar più volti a un vomito filato

       2 di sozzi Vermi, adultera colori

       3 Camaleonte l'Arte; e al monte, al prato,

       4 ruba macchie di marmi, arie di fiori.

       5    Ruba riflessi d'onde al Mare irato;

       6 ruba da solfi e bronzi anco gli orrori;

       7 ruba le vampe al foco, e ruba al Fato

       8 di barbaro velen flebili umori.

       9    Tanta è la simpatia oggi col finto,

      10 che un fil di verità non hanno i nastri;

      11 e sfoggia più, chi di *menzogne* è cinto.

      12    Ma scopriranno al fri vindici gli Astri,

      13 fra le ceneri sorde, al Fasto estinto,

      14 che son d'un color solo e Scettri, e Rastri.

 

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