Giacomo Lubrano      

    PER LE CAPELLIERE POSTICCE

 

            Stolida frode, Ipocrisia fallita,

        crede spuntar la falce anco a' Destini.

        Con avanzi di tombe acconcia i Crini,

        scapiglia morti ad abbellir la vita.

 

           Ostenta più d'un'Ecuba marcita

        in bionde fila d'òr trecce di Frini:

        più d'un calvo Titon a' cranii alpini

        d'Euriali e Nisi innesta ombra fiorita.

 

           Lusso a che fingi? Vanità che speri?

       se porgi in mano a le Fortune infide

       di venali bugie ciuffi non veri?

 

          Non se ne sdegna Cloto, anzi sorride,

       che mieter possa apocrifi Cimieri,

       senza aguzzar le forfici omicide.

 

 

La moda delle parrucche, vana finzione di giovinezza, è fatta oggetto di una macabra satira: i capelli posticci sono avanzi di tombe, e non serviranno ad ingannare la Parca – che anzi sorriderà della possibilità di impadronirsi gli apocrifi cimieri   senza bisogno di usare le forbici. Il sonetto, dal contenuto moraleggiante di ispirazione controriformista, è tipicamente barocco nella forma (con un susseguirsi di personificazione e antonomasia, che utilizzano immagini del mondo classico con gusto anticlassico) e nelle tematiche: l’inganno dell’apparenza, lo scorrere del tempo, l’incombere inesorabile della morte.

 

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