[Pur di raggiungere la regina
Ginevra, moglie di re Artù, che è stata rapita con uno stratagemma dal
malvagio Meleagant, Lancillotto accetta di salire sulla «carretta»,
coprendosi di un indelebile marchio d'infamia].
La carretta serviva allora a ciò a cui
servono oggi le gogne, e in ogni città, ove ora ve ne sono più di tremila,
non ve n'era a quei tempi che una, ed era un castigo riservato, come sono
ora le gogne, a tutti gli omicidi e ai masnadieri, a quelli che erano vinti
in campo, e ai ladri che avevano rubato gli averi altrui con l'astuzia o li
avevano estorti con la violenza lungo la via.
Chi era trovato in colpa era messo sulla carretta e condotto per
tutte le strade; perdeva ogni onore, e non era più ascoltato in una
corte, né onorato né bene accolto. Dato
che a quel tempo le carrette erano tali, ed erano strumenti d'infamia,
si cominciò a dire: «Quando vedrai una carretta. e la incontrerai, fatti
il segno della croce e ricordati di Dio, affinché male non te ne incolga».
Il
cavaliere, a piedi, senza lancia, cammina dietro alla carretta, e
vede un nano sopra le
stanghe di essa, che teneva in mano, come un conduttore di carretta, una
lunga verga. E il cavaliere
dice al nano: - Nano, in nome di Dio, dimmi se tu hai visto passare
di qui la mia signora. la regina.
Il vile nano, di ignobile origine, non gliene volle dare alcuna notizia, ma
gli disse:
- Se vuoi salire sulla carretta che io conduco potrai sapere prima di
domani ciò che è accaduto alla regina.
Il
cavaliere prosegue per la sua strada, e non vi sale, per il momento; per
sua disgrazia lo fece, e per sua disgrazia ebbe vergogna, tanto da
non volere subito salirvi, poiché riconoscerà poi di essersi condotto
male; ma la Ragione,
che è lontana da Amore, gli
dice che si guardi bene dal salire, e lo ammaestra e lo ammonisce a non fare
e a non intraprendere,nulla da cui riceva onta o biasimo.
Ragione, che osa dirgli questo, non sta nel suo cuore, ma nella
bocca; ma Amore, che è chiuso nel suo cuore, gli
comanda e gli ingiunge di salire subito sulla carretta.
Amore lo
vuole, ed egli vi sale, poiché non gli importa dell'onta, dal momento che
Amore glielo comanda e lo vuole.
(Dopo
avere superato duri ostacoli e pericolose avventure, Lancillotto
combatte con Meleagant, che
teneva prigionieri, con Ginevra,
molti dei sudditi di re Artù
).
Lancillotto
allora considera una grande onta e una grande
vergogna per lui il fatto di avere per un gran pezzo avuto la peggio - ben
lo sa - nella battaglia, così che odia se stesso: se ne sono
accorti tutti quanti. Salta
allora indietro e fa un giro, e mette Meleagant fra sé e la torre, a tutta
forza. E Meleagant, volgendosi
dall'altra parte, si difende molto bene; e Lancillotto gli corre addosso e
lo urta con tanta violenza, con tutto il peso del corpo, con tutto lo scudo,
mentre cerca di voltarsi dall'altra parte, che lo fa tutto barcollare due
volte o più, e gli reca molto tormento; e gli
crescono la forza e l'ardimento, poiché Amore gli dà grande aiuto,
e lo aiuta il fatto che non odiava nessuna cosa al mondo come colui che
contro di lui combatteva. Amore
e un odio mortale, così grande che fino ad ora non ve ne fu uno
tale, lo fanno così fiero
e coraggioso che Meleagant
non lo disprezza affatto, ma molto lo teme, poiché non aveva mai incontrato
né conosciuto un cavaliere così valoroso,
e nessun cavaliere lo aveva tanto tormentato e danneggiato come fa quello.
Si allontana ben volentieri da lui, si scosta e si tiene in disparte,
poiché teme i suoi colpi e li evita. E
Lancillotto non lo minaccia, ma, combattendo, lo caccia verso la torre,
sulla quale stava affacciata la regina...
Molte volte lo combatteva così vicino alla torre che era costretto a
fermarsi, perché non la avrebbe più vista se fosse avanzato ancora di un
passo. Così Lancillotto molto
spesso lo conduceva indietro e avanti dovunque gli piacesse, e tuttavia si
arrestava davanti alla regina, sua dama, che gli ha nel cuore quella
fiamma, a causa della quale egli la va così guardando; e
quella fiamma lo rendeva così ardente d'ira contro Meleagant che lo poteva
trascinare e cacciare dovunque gli piacesse!
Lo
trascinava come un cieco e come un malato, suo malgrado.
Il
re vede che suo figlio è giunto a tal punto che non cerca
più di resistere e non si difende: se ne affligge e ne prova pietà: vi
porterà rimedio, se può. Ma
era necessario pregare la regina, se voleva ottenere questo.
Cominciò allora a dirle:
- Signora, io vi ho molto amata e molto servita e onorata, da quando vi
ho sotto la mia protezione; non c'è nessuna cosa, che io sapessi fare, che
io non l'abbia fatta, purché vedessi in essa il vostro onore.
Rendetemene ora il guiderdone".
Ma vi voglio chiedere un dono che voi non dovreste concedere, se non
me lo faceste per amore. Io vedo bene che in questa battaglia senza dubbio mio figlio
ha la peggio, ma non vi prego punto perché me ne rincresca, ma soltanto affinché
Lancillotto, che ha la possibilità di farlo, non lo uccida.
Neppure voi dovete desiderarlo, non perché egli non abbia agito
male verso di
voi e verso di lui, ma per amor mio, e per vostra cortesia, ditegli, ve
ne prego, che si astenga dal ferirlo. Così
mi potrete ricambiare i miei servigi, se vi erano graditi.
-
Caro sire, io lo farò volentieri, per la vostra preghiera - dice la
regina. - Se io avevo un odio mortale verso vostro figlio, che
non amo punto, voi mi avete servita così bene che, per farvi piacere,
io desidero vivamente che
si astenga dal colpirlo.
Queste
parole non furono punto pronunciate a voce bassa, e Lancillotto e
Meleagant le udirono.
Colui
che ama è molto ubbidiente, e fa subito e volentieri, quando è un
innamorato devoto, ciò che sa che piace alla sua donna.
Era naturale quindi che Lancillotto, che amava più di Piramo - posto
che qualcuno potesse amare più di lui - facesse questo.
Lancillotto udì le parole [della regina]; e dopo che l'ultima parola
le fu uscita dalla bocca, dopo che essa ebbe detto: «Dal momento che voi
volete che egli si astenga dal colpirlo, io pure lo desidero», Lancillotto,
per nessuna cosa al mondo, non lo avrebbe toccato e non si sarebbe mosso,
anche se quegli avesse dovuto ucciderlo.
Non lo tocca e non si muove; e quello lo colpisce per quanto può, reso
pazzo dall'ira e dalla vergogna quando ode che è giunto al punto che si
debba pregare in suo favore. E
il re, per
rimproverarlo, è disceso giù dalla torre; se ne è andato sul luogo della
battaglia e dice ora a suo figlio:
- Come? E’ forse bello che egli non ti tocchi e che tu lo colpisca?
Tu sei ora troppo crudele e feroce, tu sei ora troppo valoroso male a
proposito E noi sappiamo con tutta certezza che egli è superiore a te.
Disse allora Meleagant al
re:
- Forse voi siete accecato! A parer mio, voi non vedete nulla. E’ cieco colui che
mette in dubbio che io sia superiore a lui.
- Cerca dunque uno - dice il re - che ti creda!
Tutta questa gente sa bene se tu dici la verità o se menti.
Conosciamo bene la verità.
Il re dice allora ai suoi baroni
che tirino indietro suo figlio. E
quelli non indugiano per nulla; subito ubbidiscono all'ordine, e tirano
indietro Meleagant.
[La vittoria di Lancillotto
rende la libertà a tutti i prigionieri, che acclamano il loro salvatore
, gli fanno grandi feste.
Solo la regina, incomprensibilmente, si mostra nei suoi confronti
dura sprezzante].
Là
vi fu molta gioia e vi fu molta ira, perché coloro che sono stati liberati
si sono tutti abbandonati alla gioia; ma Meleagant e i suoi non hanno nulla
di cui possano compiacersi, anzi sono pensierosi, abbattuti e mesti.
Il re se ne torna dalla piazza, e non vi lascia punto Lancillotto,
ma lo porta con
sé; ed egli lo prega che
lo conduca dalla regina.
- Io - dice il re - non mi oppongo; poiché mi sembra cosa ben conveniente a
farsi; e vi mostrerò
insieme anche il siniscalco
Keu, se lo ritenete opportuno.
Poco manca che Lancillotto cada ai suoi piedi, tanta è la gioia che ne ha.
Subito il re lo condusse
nella sala, ove si era recata la regina,
che lo attendeva. Quando la
regina vede il re che tiene Lancillotto per mano, si alza in piedi
davanti a lui e assume
un'aria corrucciata:
abbassa la testa e non dice una parola.
- Signora, ecco qui Lancillotto - dice il re - che viene a vedervi: questo
vi deve piacere molto ed
essere molto gradito.
- A me?
Sire, a me ciò non può far piacere; non mi importa nulla di
vederlo.
- Oh! Signora
- dice il re, che era molto nobile e cortese - di dove avete voi tratto
questo sentimento? Certo voi
avete troppo disprezzo verso un uomo che vi ha tanto
servito, da mettere spesso per voi la
sua vita in mortale pericolo in questo viaggio, e vi ha
liberata e difesa da mio figlio Meleagant, il quale vi ha riconsegnato con
molta ira.
- Sire, in verità egli ha perduto il suo tempo: io
infatti non negherò che non gliene serbo punto gratitudine.
Eccovi Lancillotto
tutto triste, e le
risponde molto umilmente, come si conviene a un fino amante :
- Signora, certo mi dolgo di ciò,
ma non oso domandare perché.
Lancillotto si sarebbe
molto lamentato se la regina
l'avesse ascoltato; ma, per farlo soffrire e per confonderlo, essa non
gli vuole rispondere una sola parola, anzi è entrata in una camera.
E Lancillotto la accompagna fino alla porta cogli occhi e col cuore;
ma per gli occhi la via fu breve, giacché la camera era troppo vicina: essi
sarebbero entrati dietro di lei molto volentieri, se avessero potuto.
Il cuore, che è un signore e un padrone più
potente ed ha possibilità molto maggiori, è passato oltre, dietro di lei,
e gli occhi sono rimasti fuori, pieni di lacrime, insieme al corpo.
E
il re, parlandogli in disparte, disse a Lancillotto:
- Lancillotto, io mi meraviglio molto, e mi domando che cosa sia questo, e da
che derivi il fatto che la regina non vi possa vedere e non vi voglia
parlare. Se essa era solita
parlare con voi, non avrebbe dovuto ora opporvi un rifiuto, né respingere
le vostre parole, dopo quello che avete fatto per lei.
Ora ditemi, se lo sapete, per qual causa, per quale colpa essa vi ha
fatto questa accoglienza.
- Sire, in questo momento non me lo aspettavo; ma a lei non piace vedermi né
ascoltare le mie parole: ciò mi addolora e mi dispiace molto.
- Certo - dice il re - essa ha torto, giacché voi
vi siete messo in avventura per lei, fino a rischiare la morte.
[La
notizia della morte di Lancillotto getta però Ginevra
nello sconforto].
Il
pensiero della sua crudeltà e della sua durezza, e il fatto che veglia e
digiuna, la rendono molto triste e scura in volto; raduna insieme tutte le
sue colpe, e tutte le ritornano davanti.
Tutte le ricorda, e dice spesso:
- Ah! Me infelice!
Che cosa mi venne in mente, quando il mio
amico venne davanti a me, che io non mi degnai di fargli festa, e non lo
volli nemmeno ascoltare! Quando
gli negai il mio sguardo e le mie parole, non agii da folle?
Da folle? Anzi
agii - così mi aiuti Iddio - da perfida e da crudele.
Io pensai di fare ciò per gioco, ma lui non la prese in questo
senso, e non me lo ha punto perdonato.
Nessuno all'infuori di me gli ha dato il
colpo mortale, per quanto io so.
Quando egli venne davanti a me ridente, e pensava che io gli avrei
fatto gran festa, e che lo guardassi, ed io non lo volli affatto vedere, non
fu dunque per lui un colpo mortale? Quando
non volli parlargli, in quell'istante gli strappai il cuore e insieme la
vita. Questi
due colpi mortali lo hanno ucciso, mi sembra; non lo hanno ucciso altri
soldati di ventura.
Ah, Dio! Potrò
io trovare il modo di riscattare questo assassinio, questo
peccato? In nessun modo: prima
saranno seccati tutti i fiumi, e il mare sarà prosciugato. Ah!
Sventurata me! Come mi sarei consolata, e come mi
sarebbe stato di grande conforto se una volta, prima che fosse morto,
l'avessi tenuto fra le mie braccia!
Come? Certo, tutto nudo,
essendo io nuda, affinché avessi più agio di amarlo.
Dato che egli è morto, io sono veramente
molto cattiva, se non procuro di morire.
Non mi deve dunque esser di peso la vita se io sono viva dopo la sua
morte, dal momento che nulla mi conforta, se non il dolore che io soffro per
lui? Poiché di questo provo conforto dopo la sua morte, certo
sarebbe stato molto dolce, se egli fosse stato in vita, quel male di cui ho
ora grande desiderio. Malvagia
è colei che preferisce morire che soffrire del male per il suo amico.
Ma certo a me dà molto conforto farne lungo compianto.
Preferisco vivere e soffrire gli assalti del dolore che morire ed
avere pace.
[Ma
la notizia era falsa e Ginevra, incontrando nuovamente Lancillotto, si
mostra adesso benevola, spiegandogli le ragioni della precedente ostilità.
I due giungono finalmente alla realizzazione dei loro desideri].
La
regina, allora, non lasciò punto cadere i suoi occhi verso terra, ma l'andò
a prendere con gioia, e gli fece onore quanto poteva, e lo fee e
sedere al suo fianco. Poi
parlarono a loro piacere di tutto quello che a loro piacque, e non mancava
loro la materia, perché Amore
ne dava loro in abbondanza.
E quando Lancillotto vede la gioia di lei, poiché non dice nulla che
molto non piaccia alla regina, allora, a bassa voce, le disse:
- Signora, io mi domando, meravigliato, perché avant 'ieri, quando mi
vedeste, mi faceste così cattivo viso e non mi diceste neppure una parola:
per poco voi non mi deste la morte, ed io non ebbi l'ardire di
domandarvene la causa, come faccio ora.
Signora, io sono pronto a fare ammenda, purché mi diciate qual è la
mia colpa, per la quale sono stato molto afflitto.
E la
regina gli risponde:
- Come? Non
aveste voi vergogna della carretta, e non esitaste? Vi saliste molto a malincuore, poiché esitaste per lo spazio
di due passi. Per questo, in
verità, non voW parlarvi né rivolgervi lo sguardo.
- Un'altra volta Iddio mi conceda - dice
Lancillotto - di guardarmi da tale misfatto, e che Dio non abbia pietà di
me se voi non aveste pienamente ragione.
Signora, in nome di Dio, ricevetene subito da me l'ammenda, e se voi
già me lo volete perdonare, in nome di Dio, ditemelo.
- Amico,
consideratevi del tutto assolto - dice la regina - in modo completo; io vi
perdono ben volentieri.
- Signora - egli dice - io
vi ringrazio; ma non vi posso dire qui tutto ciò che
vorrei; volentieri vi parlerei con più agio, se fosse possibile.
E la regina gli mostra una finestra, con l'occhio, non col dito, e dice:
- Venite a parlarmi a quella finestra questa notte, quando tutti qua
dentro dormiranno, e verrete attraverso quel verziere . Voi non potrete
entrare né essere accolto qua dentro; io sarò dentro e voi fuori, e qua
dentro non potrete arrivare. Ed
io non potrò arrivare fino a voi se non con la bocca o con le mani; e,
se vi piace, fino a domani io rimarrò per amore verso di voi.
Noi non potremmo riunirci insieme, poiché nella mia camera, davanti
a me, giace Keu, il siniscalco, che langue per le piaghe di cui è coperto.
E l'uscio non resta punto aperto, ma è ben chiuso e ben custodito.
Quando voi verrete, guardate che nessuna spia vi sorprenda.
- Dama - egli dice - qualora io possa farlo, non mi vedrà nessuna spia che
pensi male o che dica male di noi.
Così concludono il loro incontro, e si separano molto lietamente.
(Lancillotto)
si finge stanco e si fa condurre a letto; ma non ebbe certo tanto caro il
suo letto da riposarvi per nessuna cosa al mondo: non avrebbe potuto né
l'avrebbe osato, e non avrebbe voluto averne né l'ardimento né la
possibilità.
Si alzò molto presto e pian piano, e
questo non gli fu punto difficile, perché non lucevano né la luna né le
stelle, e nella casa non c'era né una candela né una lampada, né una
lanterna che ardesse. Agì
con tanta prudenza, che nessuno se ne accorse, ma tutti credevano che
dormisse nel suo letto per tutta la notte. Senza compagnia e senza guida
se ne va molto rapidamente verso il verziere, poiché non cercò qualcuno
che lo accompagnasse, e fu fortunato, perché nel verziere da poco era
caduto un pezzo di muro. Passa
sveltamente attraverso quella breccia, e tanto cammina che giunge alla
finestra, e se ne sta là tanto tranquillo, che non tossisce né starnuta,
finché non venne la regina, vestita di una candida camicia; non vi aveva
messo sopra né una tunica né una cotta, ma un corto mantello ch’è
scarlatto e di marmotta.
Quando Lancillotto vede la regina che si appoggia alla finestra, che era
sbarrata da grossi ferri, la saluta con un dolce saluto.
Essa gliene rende subito un altro, poiché essi
erano pieni di desiderio, egli di lei ed essa di lui.
Non parlano e non discutono di cose scortesi o tristi.
Si avvicinano l'uno all'altra, e si tengono ambedue per mano.
Rincresce loro a dismisura di non potersi riunire insieme, tanto
che maledicono l'inferriata. Ma
Lancillotto si vanta di
entrare, se alla regina piacerà, là dentro con lei: non rinuncerà certo a
ciò a causa dei ferri. E la
regina gli risponde:
- Non vedete voi come questi ferri sono rigidi, per chi voglia piegarli, e
forti, a chi voglia spezzarli? Voi non potrete mai torcerli né tirarli verso di voi né
farli uscire, tanto da poterli strappare via.
- Signora ~ dice lui - non preoccupatevene!
Io non credo che il ferro valga a qualcosa: nulla, all'infuori di
voi, mi può trattenere dal giungere fino a voi.
Se un vostro permesso me lo
concede, la via è per me completamente libera; ma
se la cosa non vi è gradita, essa per me è allora così sbarrata, che non
vi passerò in alcun modo.
- Certo - essa dice - io ben lo desidero;
la mia volontà non vi trattiene; ma è opportuno che voi aspettiate che io
sia coricata nel mio letto, perché non voglio che malauguratamente si
faccia rumore; infatti non sarebbe né corretto né piacevole che il
siniscalco, che dorme qui, si svegliasse per il rumore che noi facciamo.
Per questo è giusto che io me ne vada, poiché non potrebbe
immaginare nulla di buono, se mi vedesse stare qui.
- Signora - egli dice - andate dunque, ma non temete che io faccia rumore.
Io penso di togliere i ferri tanto facilmente che non avrò da
affaticarmi, e non sveglierò nessuno.
La
regina allora se ne torna e Lancillotto si prepara e si accinge a
sconficcare l'inferriata. Si
attacca ai ferri, li scuote e li tira, tanto che li fa tutti piegare e li
trae fuori dei luoghi in cui sono inflissi. Ma i ferri erano così taglienti che la prima giuntura del
dito mignolo si lacerò fino ai nervi, e si tagliò tutta la prima falange
dell'altro dito. Egli
però, che ha la mente rivolta ad altro, non si accorge per nulla del sangue
che gocciola giù né delle piaghe.
La
finestra non è punto bassa, tuttavia Lancillotto vi passa molto presto e
molto agevolmente. Trova Keu
che dorme nel suo letto, poi viene al letto della
regina, e
la adora e le si inchina, poiché in nessuna reliquia crede tanto.
E la regina stende le braccia verso di lui e lo abbraccia, lo avvince
strettamente al petto e lo trae presso di sé nel suo letto, e gli fa la
migliore accoglienza che mai poté fargli, che le è suggerita da Amore e
dal cuore.
Da Amore venne la buona accoglienza che gli fece-, e se essa
aveva grande amore per lui, lui ne aveva centomila volte di più per lei,
perché Amore sbagliò il colpo tirando agli altri cuori, a paragone
di quel che fece al suo; e
nel suo cuore Amore riprese tutto il suo vigore, e fu così completo, che in
tutti gli altri cuori [a confronto] fu meschino.
Ora Lancillotto ha ciò che desidera, poiché la regina ben
volentieri desidera la sua compagnia e il suo conforto, e egli la tiene tra
le sue braccia, ed essa tiene lui tra le sue.
Tanto gli è dolce e piacevole il gioco dei
baci e delle carezze, che essi provarono, senza mentire, una gioia
meravigliosa, tale che mai non ne fu raccontata né
conosciuta una eguale; ma io sempre ne tacerò, perché non deve essere
narrata in un racconto. La
gioia più eletta e più deliziosa fu quella che il racconto a noi tace e
nasconde.
Molta
gioia e molto diletto ebbe Lancillotto tutta quella notte.
Ma sopravvenne il giorno, che molto gli pesa, perché deve alzarsi
dal fianco della sua amica. Quando
si alzò soffrì veramente come un martire, tanto fu per lui dolorosa la
partenza, poiché soffre un gran tormento.
Il suo cuore è sempre attirato verso quel luogo, nel quale rimane
la regina. Non ha la
possibilità di impedirglielo, perché la regina gli piace tanto, che non ha
desiderio di lasciarla: il corpo si allontana, il cuore rimane.
Se ne ritorna direttamente verso la finestra; ma nel letto rimane una
così grande quantità del suo sangue che le lenzuola sono macchiate e tinte
del sangue che è uscito dalle sue dita.
Lancillotto
se ne va molto afflitto, pieno di sospiri e pieno di lacrime.
Non si fissano un appuntamento per ritrovarsi insieme: ciò gli
rincresce, ma non possono físsarlo. Passa
per la finestra a malincuore; ed era entrato molto volentieri.
Non aveva punto le dita sane, perché si era ferito molto gravemente;
eppure ha raddrizzato i ferri e li ha rimessi di nuovo ai loro posti, così
che né davanti né di dietro, né dall'uno né dall'altro lato sembra che
si fosse mai levato né tratto fuori né piegato alcuno dei ferri.
Nel
momento di partire ha piegato le ginocchia verso la camera, comportandosi
come se fosse stato davanti ad un altare.
Poi si allontana con grandissimo dolore; non incontra nessuno che lo
conosce, tanto che è tornato al suo alloggio.
[Il
malvagio Meleagant, vedendo le lenzuola macchiate di sangue, accusa il
siniscalco Keu di avere avuto rapporti con la regina; l'onore di Ginevra
viene difeso con le armi da Lancillotto, che ha di nuovo la meglio
sull'avversario, ma gli risparmia, anche in questo caso, la vita.
Lo ucciderà nel duello
che conclude il romanzo, per punirlo di nuove infamie e tradimenti. Quest'ultima parte, tuttavia, è stata scritta da Geoffry de
Lagny,'dopo che Chrétien, giunto al culmine ideale del romanzo, aveva
interrotto la narrazione].
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