Scambi con la Francia, mercati e vie di comunicazione
Per completare il quadro del contesto socio
economico del Piemonte e del Vercellese subito dopo il periodo cavouriano è
certo necessario parlare delle
vie di scambio con
la Francia, con i primi tentativi di creazione di un mercato
nazionale integrato con le più ricche aree europee.
Da secoli alcune direttrici laterali più
profonde che s'incuneavano tra il Vallese e il Canton Ticino, o
certi bassi valichi per la Francia ( dal Piccolo San
Bernardo al Moncenisio, al Monginevro, alla Maddalena) funzionavano da
agevoli canali di scorrimento
per le comunicazioni e gli scambi fra le sottostanti regioni all'uno e
all'altro versante alpino,
convogliando dal Piemonte verso il cuore dell'Europa flussi di uomini e di
merci più consistenti che non con i litorali e l'interno della
penisola. |
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Nel 1848 l'unica ferrovia esistente in Piemonte univa Torino a Moncalieri per 8 Km. Undici anni dopo nel 1859 le linee ferroviarie in esercizio misuravano 850 Km. Era tra l'altro stato aperto il primo tratto del traforo del Fréjus in direzione della Francia ( concluso nel 1863 ). |
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Accanto alla antica direttrice di migrazione e di traffici fra Torino e Lione (con possibilità di collegamento ai territori svizzeri limitrofi e l'allacciamento diretto alla grande linea di comunicazione ferroviaria con Parigi e Londra), si era venuta affiancando, nei progetti dei circoli politici ed economici piemontesi, un'altra possibile direttrice: quella che, partendo dalla destra del Ticino, avrebbe dovuto sottrarre al percorso lombardo Pavia-Milano-Laghi il grosso del commercio di transito fra Genova, la Svizzera centrale e la Germania. Di questi ed altri piani formulati negli anni '50 per l'incremento del commercio di transito svízzero e tedesco, alcuni erano caduti (dopo le iniziative assunte in Lombardia per la realizzazione delle rotabili dello Spluga e del Gottardo), altri erano rimasti in sospeso (il collegamento ferroviario fra Cuneo e Nizza e la galleria sotto il Monte Bianco lungo l'asse Nord-Sud), altri erano stati infine intrapresi (il traforo ferroviario del Fréjus). In ogni caso essi avevano dato luogo a una serie di iniziative tecniche e finanziarie, attirato capitali forestieri e sorretto la politica cavouríana di apertura e di integrazione dell'economia piemontese verso l'Europa occidentale. |
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Negli anni '60 l'interesse della classe dirigente piemontese si era accentrato sul transito del Cenisio, al vertice del triangolo fra Torino, Lione e Ginevra. Ad accelerare i lavori di compimento della galleria del Fréjus aveva contribuito l'approvazione nel novembre 1863 del trattato di commercio con la Francia, che segnò un momento fondamentale nelle scelte di politica economica della classe dirigente liberale. Era stato in quella circostanza uno dei più autorevoli esponenti della Destra storica, il ministro degli esteri Visconti Venosta, a rivendicare nel trattato italo-francese una legittima continuità tra la politica del nuovo regno d'Italia e quella del vecchio stato sabaudo, in nome di quei principi di libertà economica che, a suo giudizio, avevano prevalso in Piemonte in nome di tutta Italia. Ma i motivi politici addotti a giustificazione dello sviluppo dei traffici con la Francia erano stati illustrati più precisamente da Antonio Scialoja, massimo artefice del trattato. Era opportuno - egli aveva affermato - « stringersi alla Francia » in un momento in cui, dopo il trattato con l'Inghilterra del 1860, essa si era posta sulla via della libertà degli scambi e aveva così sollecitato altri paesi a negoziare con il governo di Parigi nuovi accordi commerciali. Tuttavia, sotto il profilo economico, l'approvazione del trattato di commercio con la Francia aveva rappresentato una precisa scelta di campo in favore degli interessi fondiari e delle esigenze più elementari dei settori agricoli-manifatturieri, già avvantaggiati dall'applicazione nel gennaio 1861 della tariffa piemontese a tutte le province del nuovo Regno. Anche per questa via si era così modificato, in favore dei primi, il rapporto di scambio fra prodotti agricoli e prodotti industriali. Aspra e vivace era stata pertanto l'opposizione in Parlamento della pur esigua schiera dei rappresentanti dell'industrialismo italiano. Al contrario, l'approvazione del trattato era stata rivendicata presso l'opinione pubblica e sostenuta poi in aula dagli esponenti e dalle clientele politiche della proprietà terriera, che costituiva la base elettorale e di riferimento ideologico del partito moderato. Né era mancato in questa occasione l'appoggio incondizionato della deputazione piemontese. La politica liberista puntava infatti all'incremento degli scambi con la Francia, mentre la definitiva realizzazione della linea del Fréjus, che ne rappresentava il naturale complemento, coincideva con i progetti in corso - in vista del taglio del canale di Suez - di sviluppo dei servizi commerciali e di nuove convenzioni marittime. Lungo gli itinerari che conducevano al Mediterraneo e alle Indie orientali, il progresso delle comunicazioni fra Est e Ovest avrebbe consentito al Piemonte, dislocato in una cerniera essenziale di raccordo, di svolgere funzioni preminenti di intermediazione nei traffici con l'Europa occidentale. E questo era stato l'obiettivo preminente dei rappresentanti politici ed economici subalpini di formazione liberale, fin dall'epoca del trattato anglo-sardo del 1841, quando la graduale abolizione delle restrizioni doganali aveva propiziato le simpatie della Gran Bretagna verso lo stato sabaudo e quindi la sua adesione alla causa nazionale italiana. I risultati del primo decennio d'attività della nuova arteria del Moncenisio parvero dar ragione anche ai calcoli di ordine economico. Fra il 1871 e il 1882 il movimento di viaggiatori salì rapidamente e così quello delle merci. Torino divenne il punto di smistamento delle provenienze commerciali franco-inglesi mentre, sull'altro versante, la società Paris - Lyon - Méditerranée, che gestiva la linea del Cenisio, assecondò la formazione di molteplici legami d'interesse facenti capo soprattutto alla casa Rothschild, che già deteneva in Piemonte posizioni di forte rilievo nel mondo bancario. Dal costante sviluppo dei traffici in direzione della Francia trasse nuovi incentivi la produzione agricolo-manifatturiera mentre si attenuò l'interesse per l'espansione dei commerci sul mercato nazionale. Prevalse, insomma, la prospettiva di un inserimento a tutti gli effetti in quell'area europea più progredita e urbanizzata, dalla regione parigina all'Inghilterra e al Belgio, che il collegamento con il Sud Est francese già aveva dischiuso ai prodotti piemontesi. Tanto più che le eccedenze locali riguardavano beni agricoli e materiali semilavorati richiesti dal mercato internazionale ma suscettibili di forte concorrenza da parte di altre regioni italiane se concentrati nei modesti circuiti commerciali della penisola. Molte speranze si riponevano anche nel rifornimento a più basso costo del carbone fossile dal bacino di Saint Etienne, grazie all'allacciamento diretto con la rete ferroviaria della Paris - Lyon - Méditerranée. Soltanto quando fossero state assicurate più agevoli comunicazioni con i distretti minerari del Massiccio Centrale l'industria meccanica e metallurgica piemontese avrebbe potuto rinnovare i suoi impianti e svilupparsi a prezzi competitivi.
Nel frattempo il
commercio d'esportazione della seta greggia e degli organzini verso
l'Inghilterra e il mercato di negoziazione di Lione continuavano a essere il
punto di riferimento pressoché obbligato di gran parte dell'economia
subalpina. Per le imprese tessili piemontesi la
conquista di più ampi sbocchi
commerciali interni era ancora - a giudicare dalle deposizioni
raccolte dall'inchiesta industriale del 1872 -
un traguardo lontano,
o assai più impegnativo di quanto non fosse sembrato all'inizio, sia
per le elevate tariffe dei trasporti
ferroviari e per la fortissima concorrenza straniera, sia
per la mancanza di agenzie commerciali solvibili e per l'estrema diversità
della domanda dei consumatori centro-meridionali. Non mancava anzi chi
rimpiangeva i vecchi mercati della Savoia e della riviera nizzarda, persi
nel 1860 dopo l'annessione di queste regioni alla Francia. |
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