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Usurai e banchi di campagna


Vita dei campi

La formazione di un ceto sempre più numeroso di piccoli e medi conduttori aveva dato luogo a un’ampia mobilitazione di mezzi monetari. All’indomani dell’Unità una quota consistente della rendita fondiaria risultava assorbita dal capitale bancario, sotto forma di interessi dei mutui ipotecari, per una cifra pari al 60%. Il Novarese, l’unica provincia in Piemonte con un’economia agraria decisamente orientata verso forme più moderne di organizzazione, registrava i più bassi valori di tutta la regione, meno di un settimo del carico complessivo.

L’andamento ascendente del debito ipotecario trova conferma nell’incremento delle somme prestate a tale titolo da istituti di credito di natura mista. Presso le dodici casse di risparmio piemontesi, concentrate tutte
( tranne quella di Biella ) nella parte occidentale della regione, l’aliquota di impiego del capitale per i prestiti ipotecari era raddoppiata tra il 1866 e il 1872 da 8,7 a 17,4 su ogni cento lire dell’attività totale. Esattamente il contrario di quanto era avvenuto presso le casse di risparmio lombarde dove la prima voce di investimento s’era più che dimezzata e la seconda era cresciuta di quasi quattro volte. Questo aumento del debito ipotecario si risolse in un vasto movimento di capitali in funzione quasi esclusiva della trasformazione dei rapporti di proprietà nelle campagne.
Presso le antiche Opere Pie del San Paolo i prestiti sui beni rustici costituivano l’80% circa dell’intero capitale erogato e il 26% del totale nazionale dei prestiti concessi da enti consimili di credito fondiario.

L' ingente afflusso di disponibilità monetarie nelle campagne non era tuttavia il segno di una vasta opera di rinnovamento delle colture e delle tecniche agrarie. Una parte cospicua del debito ipotecario era rappresentata dagli oneri assunti dai più modesti proprietari di terre o aspiranti tali nei confronti di una folta schiera di sensali, di intermediari, di titolari di minuscoli banchi privati. Per quanto l’impegno delle casse di risparmio e di altri istituti accennasse ad aumentare, la diffusione del credito d’esercizio incontrò parecchie difficoltà.

Con l’istituzione del credito fondiario ipotecario, per le province di Alessandria e di Torino, si cercò di rimediare all’usura, ma si vide all’atto pratico che non era corrispondente al bisogno. L’istituto delle Opere di San Paolo prendeva un interesse annuo che andava dal 5 al 5,60 %, in più il credito fondiario non mutava in denaro, ma in cartelle dal valore nominale di lire 500, il cui valore reale spesso era al di sotto. L’agricoltore al tasso elevato doveva sommare questa perdita e le notevoli spese per le lunghe pratiche. In questa situazione i contadini continuavano a rivolgersi al giro consueto degli usurai di villaggio, quantunque a conti fatti le condizioni da essi imposte fossero assai più esose e vessatorie. Il concorso del capitale usuraio continuava ad essere determinante per l’espansione e la sopravvivenza dei piccoli proprietari di campagna. Il costante aumento dei prezzi agricoli consentiva infatti, se non l’integrale riscatto dei debiti, almeno una loro dilazione nel tempo. Nel 1871 il 90% delle somme mutuate nel distretto di Torino era servito a sciogliere ipoteche anteriori, e soltanto il 5% era stato devoluto a miglioramenti agrari.


La vendita dei beni dell’asse ecclesiastico e, dopo il 1874, degli incolti di proprietà dei comuni rappresentò un’altra proficua occasione di speculazione finanziaria: per effetto della ricerca e non della naturale fertilità dei fondi, la massa degli aspiranti proprietari sborsò somme quanto mai elevate per aggiudicarsi qualche ettaro di terra. Il crescente aumento del debito ipotecario non mancava, ovviamente, di ridurre la disponibilità e la circolazione di capitali per investimenti e miglioramenti fondiari.

Dei dodici istituti di credito agrario sorti in Italia fra il 1875 e il 1880, uno solo era presente in Piemonte: la Banca di Asti, con un capitale nominale di 750.000 lire; un altro, la Banca Agricola Industriale di Alessandria, era stato autorizzato successivamente a esercitare il credito agricolo. In entrambe le banche prevalevano tuttavia, o avevano finito col divenire esclusive, le operazioni più comuni, e non tanto le anticipazioni sui prodotti agrari. D’altra parte non erano numerosi i proprietari di fondi rustici e i coltivatori che, nel solo intento di migliorare le loro coltivazioni, ricorrevano ai mutui, preferendo generalmente non fare alcuna spesa utile al fondo piuttosto di incontrare debiti per procurarsi il necessario denaro.
In altre province le banche popolari continuavano a somministrare denaro, ma su cambiale a breve scadenza, mentre l’industria agraria ha bisogno di capitali a lunga scadenza.

Più fitta era la rete dei piccoli banchi e degli istituti di  credito ordinario comparsi tra il 1871 e il 1873. La consistenza di queste banche era modesta (il capitale nominale non superava in genere le 500.000 lire), e le loro operazioni si esaurivano nei limiti del prestito su cambiali a breve scadenza e a tassi elevati. Soltanto nel Novarese alcuni proprietari di grosse tenute avevano cominciato a rivolgersi agli istituti di credito ordinario (il più importante era la Banca di Vercelli, con tre milioni di capitale) e alle succursali della Banca Nazionale; qualche apprezzabile iniziativa aveva assunto anche la Banca Popolare Agricola di Alessandria.

Ma i coltivatori di riso e di bestiame preferivano negoziare le anticipazioni di denaro di cui avevano bisogno presso affaristi e agenti commerciali, assumendosi l’impegno di consegnare a scadenze prestabilite determinati quantitativi di prodotto. Erano gli stessi grossisti e incettatori a incoraggiare simile prassi, in una fase di costante anche se non generale ascesa dei prezzi.

Stentavano insomma ad attecchire forme più moderne di collegamento fra capitale finanziario e impresa agraria, a meno di considerare l’attività degli enti di irrigazione, dalla Società del Canale Cavour alla Società generale per l’irrigazione di Vercelli. Questi istituti concedevano infatti mutui di una certa entità a proprietari terrieri e ad affittuari imprenditori per l’esecuzione di lavori di bonifica e altre opere di miglioria, ossia per operazioni che esigevano veri e propri investimenti in capitali fissi. Ma si trattava di forme di credito del tutto particolari che nulla avevano a che fare  con l’allargamento dei servizi bancari e della circolazione di nuove risorse finanziarie nelle campagne.

In verità non mancarono vari tentativi per realizzare, in collegamento con qualche casa bancaria torinese, un’efficiente organizzazione finanziaria nella campagna piemontese a sostegno dei programmi di sviluppo della produzione. Dopo il 1870 si ebbe anzi una fioritura di iniziative bancarie un po’ in tutte le province.
La brusca contrazione della circolazione fiduciaria
, in seguito alla legge sulle banche del 1874, e il crollo sia pur momentaneo dei prezzi del vino ridussero le Banche Unite di Asti sull’orlo del fallimento. Ma è anche vero che questi e altri banchi di campagna  erano retti da amministratori dotati di molta buona volontà ma senza alcun talento per gli affari, o che badavano a sfruttare essenzialmente le occasioni di guadagno più immediate e a portata di mano, senza molto discernimento. Sicché a farne le spese erano alla fin dei conti i titolari dei depositi più modesti, espropriati nei loro risparmi dai consigli di amministrazione e dai maggiori azionisti. E ciò non invogliava, naturalmente, piccoli e medi commercianti e produttori a portare i loro soldi in banca o a sperare nella concessione di prestiti a buone condizioni.
 



Fine '800 -Interno di una cassa rurale
 

Inoltre troviamo le Casse Rurali (diventate poi Casse Rurali e Artigiane con la legge del 1937) nel periodo a cavallo tra la fine dell'800 e il nuovo secolo, sorte ad opera di cooperatori ispirati dal magistero sociale della Chiesa Cattolica, che ebbe un ruolo determinante nello stimolare le fasce umili delle popolazioni rurali per affrancarsi dalla miseria e dal fenomeno diffuso dell'usura
 


Fonti bibliografiche:
-  Valerio Castronovo - Storia delle regioni - Il Piemonte, Einaudi 1977
 

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