Ottone Rosai e il purismo metafisico di vicoli dimessi
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Dal 1919 al 1922 Rosai elaborò il proprio linguaggio pittorico, mediato attraverso interessi diversi: alla stagione futurista seguirono le esperienze del purismo e della pittura metafisica, soprattutto verificabile tramite le opere di Carrà e di Morandi, e l'influsso di Paul Cézanne, nonché il recupero del Quattrocento toscano. Rosai sperimenta una nuova pittura di nature morte, paesaggi e composizioni con figure. Il suo interesse si rivolse a immagini di luoghi, cose e uomini di una Firenze minore, dimessa e quasi angusta diventarono famosi i suoi omini, le viuzze e le osterie.
Rosai vuole per la pittura una continuità con la vita,
dunque una collocazione nel panorama interiore, nell’animo più che sulle
pareti delle stanze («Io voglio scoprire l’anima della mia creatura, il
suo viso interno; voglio trovare il suo dramma: essere quella santità di
luce e di spazio dipinti in cui si esala il suo grido»), e questo lo
accomuna a pittori come Carrà,
come Sironi,
per certi versi come
Viani, che
agiscono nell’intimo, nel silenzio arcaico, nelle forze essenziali e
primordiali, che fanno crescere sensazioni di densità drammatica e di
vastità misteriosa dell’universo umano dando così profilo moderno al tempo
nostro. Pensiamo anche a Rouault,
a Munch. |
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