Solitudine
dipinto da Carlo
Carrà nel 1917 segna l’incontro con
De Chirico,
avvenuto nell’aprile del 1917 nel neurocomio di Ferrara, dove
entrambi erano stati ricoverati durante la guerra. Fino a tutto il 1918 ci
sarà una perfetta intesa e affinità tra i due maestri. Già dal
1913 Giorgio
De Chirico aveva sviluppato le tematiche metafisiche attraverso le
solitarie immagini di piazze e manichini,
e il suo dipinto Il filosofo e il poeta, del
1914, costituisce il diretto modello di
Solitudine.
Carrà adattò la complessa costruzione dechirichiana a uno spazio
pittorico semplificato, rispetto alle prospettive multiple di
De Chirico,
utilizzando, però, gli stessi elementi emblematici della lavagna, del
manichino di spalle sul parallelepipedo e della stanza vuota dal
pavimento ligneo. Qui
Carrà torna
ai colori squillanti e all’architettura visiva che allude al reale,
superandone però i limiti di stabilità in una
ricerca costruttiva illogica
che esprime disagio ed estraneità. Il senso di spaesamento e
lo schema compositivo metafisico sono frutto di un gioco calcolato: “Le
superfici pitturali sono ben definite e ogni sfumatura di tono risponde ad
una volontà criteriata in un significato rigoroso”.
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so
C. Carrà, Solitudine, 1917
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G. De Chirico, Il poeta e il filosofo, 1915 |
C. Carrà, L'ovale delle apparizioni, 1918
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C.Carrà, La camera incantata, 1917 |
Eugenio Montale - da Ossi di seppia,
Forse un mattino andando in un'aria di vetro
Forse un mattino andando in un'aria
di vetro,
arida, rivolgendomi vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s'uno schermo,
s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
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G. De Chirico, L'incertezza del poeta, 1913
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G. De Chirico, Canto d'amore, 1914
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G. De Chirico, Il tormento del poeta, 1915
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G. De Chirico, Il pittore, 1927 |