La
seconda metà del Settecento vide lo
sviluppo delle
risaie e il consolidarsi di grandi aziende agrarie.
Esse erano di proprietà ecclesiastica, eredi delle grandi abbazie
monastiche, di enti ospedalieri, della nobiltà. Al loro interno si
svilupparono organizzazioni complesse, che oltre allo sfruttamento delle
terre dovevano garantire anche gli sbocchi sui mercati delle loro grandi
produzioni. Per alcune di queste grandi aziende esistono notizie più
precise, desumibili dai fondi pervenuti e conservati in vari archivi.
Due studi sull'economia piemontese e vercellese del Settecento offrono
informazioni di diseguale entità. L'opera di
G.Prato, La
vita economica in Piemonte a mezzo il secolo XVIII, Torino 1908 -
realizzata sulla base delle relazioni degli Intendenti delle antiche
province, è avara di dati e analisi sul Vercellese.
Maggior ricchezza di
informazioni ci viene dal lavoro di
S. Pugliese - Due secoli di vita agricola. Produzione e valore dei terreni, contratti
agrari, salari e prezzi nel Vercellese nei secoli XVIII e XIX, Torino 1908
.
Qui si tenta di recuperare un quadro
generale dell'agricoltura del territorio utilizzando documenti di origine
varia, relativi all'amministrazione di aziende, ai patti agrari, ai contratti di
compravendita, ai rilevamenti a scopi fiscali. Raramente si sono
conservati i documenti amministrativi delle aziende, in gran parte ancora
orientate alla produzione per l'autoconsumo.
Il prevalere di affittanza e mezzadria nella grande azienda è stata
la causa dello scarseggiare della documentazione relativa alla gestione proprietaria.
Infatti i documenti esistenti si riferiscono ai risultati finali di
competenza padronale, rappresentati per l'affitto dal pagamento del canone e
per la mezzadria dalle quote dominicali.
I casi fortunati di testimonianze precise si ritrovano in
grandi aziende condotte ad economia,
cioè in gestione diretta dalla proprietà.
con l'intervento di dipendenti stipendiati.
Uno di questi esempi è costituito dalle terre
della grande
abbazia di Santa Maria di
Lucedio.
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L'Abbazia di Lucedio fu fondata nel 1123 su
terreni donati dal Marchese Ranieri di Monferrato ai monaci
Cistercensi provenienti da La Ferté. I Cistercensi bonificarono
il territorio, introducendo attorno al '400 la coltivazione del riso. Nel
1784 l'Abbazia fu secolarizzata da Papa Pio VI e
ceduta a Vittorio Emanuele Duca D'Aosta. Passata a
Napoleone in seguito all'occupazione francese del Piemonte, fu
da lui concessa, con decreto del 1807, al cognato
Principe
Camillo Borghese, allora Governatore Generale del Piemonte.
Successivamente, nel 1822, Lucedio passò sotto il controllo del
Marchese Giovanni Gozani di San Giorgio, antenato dell'attuale
proprietaria, che a sua volta, nel 1861, cedette la tenuta al
Marchese Raffaele de Ferrari, Duca di Galliera, cui fu concesso il
titolo di Principe di Lucedio.
Infine, nel 1937, l'intero complesso fu acquistato dal Conte Paolo Cavalli
d'Olivola, padre dell'attuale proprietaria e manager la Contessa
Rosetta Clara Cavalli d'Olivola Salvadori di Wiesenhoff.
( Notizie di
sintesi trate dal sito web
http://www.principatodilucedio.it/italiano/storia.html )
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Veduta del complesso dell'ex abbazia di
Lucedio |
Il cortile interno del complesso
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L'abbazia, anche se nel Settecento dipendeva come sede centrale dalla
provincia di Casale, possedeva terre oggi comprese quasi
interamente nel Vercellese. Scorrendo le carte di Lucedio è possibile
ritrovare il mondo dell'agricoltura vercellese del tardo Settecento,
momento in cui la risaia si stava diffondendo.
Nel
1784 alla morte dell'ultimo commendatario il
Cardinale Carlo Vittorio Amedeo
delle Lanze, la commenda passò all'Ordine Mauriziano e nel 1786 vi fu
l'abbandono definitivo dei monaci Cistercensi, gli ultimi dei quali si
trasferirono nel convento di Castelnuovo Scrivia.
In quel momento si ebbe la massima espansione delle terre messe a coltura. In realtà
continuavano acquisti e cessioni alla ricerca dell'ottimizzazione
dell'organizzazione aziendale. In tal senso vi fu vi fu l'acquisizione
di una grangia situata a sud del Po, sulle colline nel territorio di
Casale: la grangia di Gaiano, che tuttavia fu abbandonata pochi anni
dopo per l'oneroso costo di gestione. Alla grangia di Gaiano si
aggiungevano le grange di Leri, Montarucco, Ramezzana, Leri, Darola,
Castel Merlino, tutte raffigurate nella serie di acquarelli
predisposti per il Principe Camillo Borghese al momento della sua
acquisizione delle terre dell'Abbazia di Santa Maria di Lucedio nel 1807.
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Vue de la Grange de Montarucco - acquarello
predisposto per il Principe Camillo Borghese
al momento della sua acquisizione delle terre dell'Abbazia di Santa Maria di
Lucedio ( 1807 )
Illustrazione tratta da Giuseppe Bracco, Uomini, campi e risaie
nell'agricoltura del Vercellese fra età moderna e contemporanea, 2002
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Nel 1792 Lucedio possedeva e coltivava ben
13.197 giornate, 78 tavole e 11 piedi di terreni, dotate delle
attrezzature necessarie, utilizzando tutte le forme di conduzione della
terra, dalla
conduzione diretta, alla mezzadria, all'affitto. L'economia agraria del Vercellese
appare ormai matura nel contesto delle conoscenze e delle pratiche
agronomiche di quegli anni. Soprattutto per la coltivazione del riso sono
state superate tutte le remore che nei secoli precedenti avevano limitato la
presenza delle risaie.
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