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L'organizzazione dell'Abbazia di Lucedio
Lucedio nel contesto dell'agricoltura del '700

Piano generale del Comune di Lucedio dedicato al Principe Camillo Borghese ( 1807 )
( Immagine tratta da L'Agro vercellese nei secoli XVII-XIX - Archivio di Stato di Vercelli )
 

L'organizzazione dell'azienda di Lucedio alla fine del Settecento non può definirsi facilmente estendibile alle altre aziende del Vercellese. Dipendendo dal più vasto Ordine Mauriziano ( proprietario di altre grandi proprietà in Piemonte ) doveva fare riferimento alla sede torinese, dove risiedeva il capace magazzino che raccoglieva i prodotti destinati al mercato. Le unità produttive nelle quali era suddivisa la grande azienda di Lucedio hanno caratteristiche simili a quelle di altre unità produttive del Vercellese. Ai fini della conduzione dei campi ci si organizza in nuclei minori: le tecniche agrarie richiedevano la suddivisione dei campi in gruppi omogenei affidabili al lavoro di una singola famiglia con un massaro. Dalla contabilità di Lucedio tenuta dagli agenti delle diverse grange emerge con ricchezza di particolari la struttura organizzativa di ogni unità produttiva Le tre parrocchie che esistevano nelle grange tenevano poi i registri di battesimi, matrimoni e sepolture offrendo notizie importanti sulle vicende demografiche della zona.

Erano esclusi dall'affitto " li boschi e le ripe e qualunque altra pianta si fruttifera che infruttifera, secca e viva": infatti il legname, bene prezioso per l'energia calorica e per la costruzione degli strumenti di lavoro, era riservato alla Commenda. Solo le foglie dei gelsi, destinate all'allevamento dei bachi da seta, ed una piccola quota di legname erano riservate agli affittuari. Questi ultimi non potevano variare la destinazione colturale dei fondi e persino la rotazione delle colture, specialmente per le risaie. Gli affitti di Lucedio tenevano conto di una regola fondamentale nell'economia agraria di antico regime: solo nei casi di peste, guerra, e mortalità del bestiame l'affittuario poteva essere esentato dal garantire la rendita piena della proprietà. Nel Vercellese il bestiame era un elemento importante e il fatto che i patti agrari prevedessero come flagello "la mortalità dei bestiami", che rendeva inesegibili i canoni agrari, testimonia la vasta utilizzazione di bovini sia per il lavoro dei campi che per la produzione di carne, latticini, formaggio e burro.
 

Le figure professionali destinate alle diverse mansioni all'interno dell'azienda, si potevano suddividere secondo i patti di lavoro specifici a cui erano legati: esistevano lavoratori fissi e avventizi.
I grandi settori di attività determinavano tali figure professionali. Alla semina ( sin dal momento della preparazione dei campi ) era legata la schiavenza, da cui il salariato fisso o schiavandaro, con le varianti di bovari, bergamini e manzolari. La cura, l'allevamento e la guida dei bovini era fondamentale per i lavori. Ogni bovaro aveva la cura di una o raramente due coppie di buoi che guidava nell'aratura dei campi, nella concimazione, nell'attacco ai carri e nel trasporto delle granaglie e di tutto quanto doveva essere spostato. Il bergamino aveva la cura della stalla, dedicandosi alla mungitura e ai vitelli lattanti. Il manzolaro custodiva i manzi d'allievo ed erbaioli.
L'aratura e la concimazione trovavano tutti i buoi sui campi, come il raccolto, quando si dovevano trasportare covoni sulle aie delle cascine, per procedere alla battitura o trebbiatura del risone. Covoni e covini erano disposti in circolo per essere calpestati dagli animali sino ad ottenere chicchi che dovevano poi essere liberati dalla terra e dalle impurità attraverso un lungo lavoro di crivellatura. Il personale era inserito in una struttura gerarchica con bovari e sottocapi bovari.
 


L'aratura dei campi con l'impiego della coppia di buoi, una pratica a lungo impiegata nelle campagne.
( Foto tratta da: Quaderni della Sezione sperimentale di Risicoltura, Il Vercellese, studi e ricerche sui terreni e sulle acque di irrigazione, Vercelli 1929 )
 

Dopo la semina la cura dei campi era affidata ad alcune figure ben definite, i prataroli, a cui competeva la regolazione dell'acqua per l'irrigazione, particolarmente importante nel caso del riso, e la decisione del momento del raccolto, in funzione della maturazione dei frutti. I prataroli intervenivano anche nelle operazioni di battitura dei cereali. La lavorazione del risone nelle apposite piste da riso era compito dei pistaroli, che procedevano all'imbianchimento ed alla crivellatura. In alcune aziende esisteva una struttura specifica per la produzione di burro e formaggio, il casone dove operava un casaro, con i dovuti aiutanti.
 

 
Disegno della fabbrica della pista da riso da farsi a Castelmerlino 1798
( Immagine tratta da L'Agro vercellese nei secoli XVII-XIX - Archivio di Stato di Vercelli )
 


L'edificio a due piani è rappresentato in prospetto, in profilo e in pianta. Oltre alla ruota motrice e al congegno per la pista, è da notare la dislocazione dei locali: il magazzino vecchio delle granaglie, il magazzino del riso bianco, il casotto dei pilaroli ( o pistaroli ) e la fabbrica dell'edificio, cioè il locale dove si pesta il riso.
 


Ambiente di una antica pista da riso ( Bellinzago )
Foto tratta da http://www.fausernet.novara.it/~ticino/mul1.htm
 


Particolare di un'antica pista da riso ( Bellinzago )
Foto tratta da http://www.fausernet.novara.it/~ticino/mul1.htm
 


I resti in pietra di una vecchia pista da riso azionata con la corrente d'acqua dei canali irrigui. In esse si staccava la lolla dai chicchi.
 

Queste figure costituivano il gruppo fondamentale dei lavoranti fissi delle aziende, ove i compiti, nei casi di ridotte dimensioni delle superfici, potevano essere concentrati in un unico personaggio. A costoro toccava un impegno a tempo pieno, a cui corrispondeva un salario definito ad anno, secondo i tempi dell'annata agraria, che si concludeva a novembre.

Intorno a loro ruotavano i cosiddetti manovali, che operavano con contratti di durata annuale in contrapposizione agli avventizi, assunti per i momenti di particolare intensità dei lavori agricoli o per prestazioni limitate nel tempo. Gli avventizi, reclutati da appositi capi squadra ed impresari risiedevano all'esterno delle aziende.
Ai manovali fissi ed avventizi era affidata la cura delle acque, che dai canali principali si diramavano in rogge e roggette. Ogni hanno dovevano essere pulite per garantire il regolare flusso nei campi per l'irrigazione, così come la portata sufficiente per muovere le ruote dei mulini, soprattutto per le piste da riso. Era anche indispensabile la cura degli argini e delle chiuse.
Taglio del fieno, semina, taglio e battitura dei cereali, taglio delle stoppie, trasporti dei raccolti, lavorazione del riso sono altri impegni a cui sono chiamati i manovali fissi ed avventizi.

Le donne svolgevano per lo più lavori a giornata: confezionavano, riparavano e lavavano i sacchi, mondavano il grano dalla veccia, rastrellavano i prati per il fieno e la paglia, soprattutto del riso, raccoglievano le pietre nei prati, stagionavano i fieni, mietevano e battevano il ravizzone, mondavano il riso.
Una particolare fase di attività era quella del taglio dei fieni, della monda del riso e della raccolta del prodotto con le punte eccezionali di lavoratori che necessariamente dovevano essere trovati all'esterno delle aziende. Capi squadra e impresari assicuravano il reclutamento della manodopera necessaria. I punti di riferimento di questo particolare mercato del lavoro erano alcuni comuni della pianura vercellese e della collina a sud del Po. Le aziende agrarie del Vercellese avevano determinato un'organizzazione del lavoro che coinvolgeva un vasto territorio in una sorta di complementarietà che è difficile trovare in altre zone del Piemonte.
Oltre alla caratteristica figura delle mondine c'erano gli airatori o aratori che intervenivano a  squadre per la raccolta e la battitura dei cereali. La loro provenienza era da Gabbiano, Odalengo, Cantavenna, Stroppiana, Varengo, Casale, Cerrina. L'indicazione nei documenti fa riferimento sia a comuni che a borgate.

Il compenso dei lavoratori era molto vario in funzione delle mansioni; si divideva in due parti, di cui una in denaro e l'altra in natura. La parte in danaro era stabilita ad anno per i salariati fissi, mentre per i manovali fissi poteva essere stabilita a giornata o a cottimo, così come per gli avventizi. Il cottimo poteva essere calcolato su un intero lavoro o fare riferimento alle unità di misura ( per giornata di semina del riso, di taglio o raccolta di fieno, per lunghezza di trabucchi per la manutenzione dei fossi, per prosie per il taglio delle stoppie, ).
Alla fine del '700 e all'inizio dell'800 i salariati fissi avevano a disposizione l'abitazione con l'orto, un pollaio ed un piccolo porcile normalmente con un animale. I gallinacei erano mantenuti con prodotti derivati dall'azienda ed il numero era proporzionale al ruolo ricoperto. Il capo agente di Darola aveva ad esempio diritto a 40 galline e 2 galli, glia genti a sole 25 galline e un solo gallo. Gli approvigionamenti annuali prevedevano per i salariati legati a schiavenza ( e per ogni schiavenza )12 emine di segala, 36 emine di meliga, 2 emine di riso bianco, 1 emina di fagioli e 300 fascine di legna. Gli alimenti potevano essere acquistati all'interno dell'azienda a prezzi all'ingrosso.
Per la zona delle grange e delle cascine dell'Abbazia di Lucedio i residenti avevano lo speciale diritto dell'assistenza medica gratuita, comprese le medicine prescritte. Entravano in questo caso in gioco il clima e la difficile vita fra le risaie e la specializzazione dell'Ordine Mauriziano, tradizionale gestore di strutture ospedaliere.
I beni in natura per gli avventizi prevedevano 1/12 del risone di prima battitura, 1/4 del risone ottenuto dalle eresche e 2/5 del risone ricavato dalle paglie di seconda battitura. Ove esistevano le piste da riso i pistaroli percepivano compensi basati sulle quantità delle singole operazioni: soprattutto imbianchimento, crivellatura,e innescamento.
Un notevole peggioramento delle condizioni salariali risale agli anni '90 del Settecento in concomitanza ad una grave crisi economica.
 


Fonti bibliografiche:-
- Giuseppe Bracco, Uomini, campi e risaie nell'agricoltura del Vercellese fra età moderna e contemporanea, Unione agricoltori di  Vercelli e di Biella, 2002
 

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