Gli obiettivi
dell'attività agricola del Conte Cavour
Nella sua attività di agricoltore Cavour portò
certamente idee, cultura e ambizioni più larghe di quelle che avevano guidato
il padre negli anni precedenti: ma sarebbe erroneo ritenere
ch'egli si proponesse subito quei programmi di radicale rinnovamento che
caratterizzano la sua opera, specialmente a Leri, in una fase
successiva, a partire soprattutto dal 1843-45. Già l'obbiettivo che
lo aveva condotto a darsi alla vita di agricoltore era di natura troppo
pratica e immediata perché egli potesse farsi sedurre allora da schemi
di miglioramento agrario non traducibili in solleciti utili di gestione.
L'idea di procurarsi,
« par l'administration de la fortune paternelle, de Lery en particulier, un
sort indépendant » che lo aveva guidato fin dall'inizio, restò
ancora per parecchi anni al centro dei suoi progetti personali.
Un intento tutto pratico e
concreto egli difendeva in tono
di vivace polemica contro altre e più ambiziose visioni dell'attività
agricola:
« mon but - dichiarava allo stesso
De la Rive" -
est de retirer la plus grande somme
possible de la terre; celui de vos compatriotes au contraire a
toujours été de faire rendre à la terre le produit brut le plus
considérable, sans égard pour les dépenses de culture.
Aussi je crois que la
plupart de vos agronomes ont recueilli plus de belles paroles que de bons
écus. je travaille dans un
sens contraire, et je
tâche de me
procurer le plus grand nombre d'écus, sans m'inquiéter des mémoires des
sociétés agricoles et des utopies des fermes
modèles ».
Non era questo l'atteggiamento che poteva spingerlo a imbarcarsi in
grosse imprese di trasformazione agraria. E a ciò si aggiungeva la
limitatezza dei mezzi a sua disposizione, che si riducevano al capitale
circolante anticipatogli nel contratto di affitto, mentre la sua posizione
negli affari era ancora troppo modesta per consentirgli quel largo accesso
al credito su cui potrà contare più tardi. Questa visione dell'attività
agricola come attività d'impresa, inserita nel mercato e
legata a rigidi
criteri di economicità, resterà anche in seguito come criterio di
orientamento delle iniziative agricole del Conte, e varrà a salvaguardarlo
da molti rischi e da inutili perdite. Ma essa conteneva anche il
pericolo di indurlo non tanto a identificare il progresso agricolo con
l'ammontare della rendita fondiaria e del profitto dell'agricoltore ( che
nella prospettiva di un proprietario imprenditore, quale egli era o si
avviava ad essere, era un'esigenza certo legittima ) quanto a rischiare una
sostanziale contraddizione tra la tendenza a un progresso
tecnico-agricolo vasto e generalizzato e l'incremento di quei redditi.
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Fiducia nella moderna cultura
economica: i viaggi all'estero
Se nella prospettiva iniziale del Cavour agricoltore non rientravano vaste
opere di miglioramento agricolo, ciò non significa ch'egli si sia mai
posto davanti all'agricoltura in un atteggiamento conservatore e
routinier.
La sua fiducia
nella moderna cultura economica e scientifica
e soprattutto la passione per l'operare e per l'attivo intervento
sulle cose e sulle situazioni concrete, dovevano farne assai presto un
propulsore instancabile di innovazioni e di esperimenti, un creatore di
sempre nuove prospettive e possibilità destinate a rimuovere profondamente
l'ambiente e la pratica ordinata che da decenni presiedeva alla vita delle
grandi risaie vercellesi. Quel che importa tuttavia è di intendere i
criteri che hanno guidato questa operosità e i caratteri da essa assunti nei
primi sette o otto anni dell'attività di Cavour agricoltore, senza
sovrapporvi indebitamente quelli del periodo successivo, che si delineerà,
come si è detto, soprattutto a partire dal 1843.
Nel suo nuovo campo di azione il conte portò
anzitutto un bagaglio di conoscenze teoriche e di letture che si
sforzò di aggiornare e arricchire continuamente seguendo
í principali
periodici agricoli e la produzione libraria più recente ed autorevole
d'Europa. Nei suoi scritti sono assai frequenti i riferimenti ad autori
ed opere che mostrano una sicura conoscenza di quel che il pensiero
agronomico aveva prodotto negli ultimi decenni, da
Chaptal a
Davy a
Tháer a
Dombasle a
Liebig a
Johnston.
I molti viaggi ch'egli ebbe a compiere in Francia in questo periodo gli
diedero modo di osservare e comparare tecniche e situazioni piemontesi con
quelle in vigore nel Delfinato, nella Franca Contea, nella regione di
Bordeaux, per non parlare di molti cantoni elvetici, a cominciare,
naturalmente, da quello di Ginevra,
Un nuovo viaggio in
Inghilterra nella primavera-estate del 1843 gli consentì di realizzare
il progetto, concepito già da qualche anno, di studiare in loco
l'agricoltura di alcune contee inglesi: dal Cheshire e dal Norfolk, al
Worcestershire. Sulle modalità di utilizzazione delle pratiche
agronomiche studiate in Europa, si legge opportunamente quest'indicazione
nel suo necrologio del conte Cavour:
"d'abord
il étudia l'agriculture des pays les mieux cultivés de l'Europe, ensuite il
tácha d'introduire dans son domaine celles des méthodes perfectionnées qui
convenaient le mieux aux circonstances particulières où il se trouvait placé
"
Un'attenzione non minore il
conte infatti dedicò a rendersi padrone delle tecniche e delle condizioni
locali nelle varie zone dove si trovavano i vasti possedimenti che egli era
chiamato ad amministrare; e di essa si hanno prove numerose nei lunghi
soggiorni a Leri, nella testimonianza di tutti gli osservatori, nelle ricche
corrispondenze indirizzategli dai suoi collaboratori, nei cenni precisi che
si colgono anche in alcune sue lettere ed appunti di quest'epoca, anche
prima che si inizi quel carteggio con
Giacinto Corio, che
costituisce il maggiore monumento alla gloria di Cavour coltivatore della
terra piemontese. Cavour veniva acquistando una reale competenza -
riconosciutagli anche dal marchese Michele - sulla coltivazione del riso. Di
tale competenza iniziò a dare qualche saggio pubblicando, fra il 1839 ed il
1841, un paio di articoli su periodici specializzati intorno ad una nuova
presunta varietà di riso e ai vantaggi sociali più che economici del metodo
lombardo di allevamento del baco da seta, rispetto all'allevamento
industriale su grande scala.
Ma già in questo scritto veniva avanzato, a proposito dei caratteri
generali dell'economia agraria piemontese in relazione a quelli dei paesi
più noti per i loro progressi agrari, un giudizio che aiuta a intendere
come
le esperienze particolari fatte da
Cavour nella sua attività di privato agricoltore si fossero via via
allargate a una visione più ampia, che investiva tutta l'economia del paese;
e come a sua volta tale visione contribuisse a determinare in
notevole misura i criteri direttivi della sua condotta nella amministrazione
dei poderi di Leri, di Grinzane e di Santena.
A Cavour non sfuggiva certamente l'importanza della rivoluzione agricola
operatasi nelle regioni dell'Europa nord-occidentale: nel 1845 egli
dedicherà anzi alla rivoluzione agraria inglese alcune pagine vigorose che
ne tratteggiavano gli aspetti principali, dalle nuove rotazioni alle
pratiche per il miglioramento e la più ricca fertilizzazione dei terreni,
ai progressi della chimica e della meccanica agraria, a quelli
dell'allevamento. Tuttavia, egli aveva iniziato la sua esperienza
agricola nella convinzione, assai diffusa tra i seguaci delle più moderne
teorie agronomiche, che
"i coltivatori
piemontesi fossero troppo tradizionalisti ed abitudinari nelle pratiche
agricole per sostenere il confronto con quelli dei paesi più avanzati ",
ed aveva dunque ritenuto, con ogni probabilità, che sensibili
miglioramenti delle pratiche vigenti potessero essere ottenuti senza troppo
sforzo da un coltivatore abbastanza coraggioso e illuminato. A questa
convinzione è forse da riportare il tentativo che quasi subito, come
vedremo, egli intraprese di
acclimatare a Leri e a Grinzane la barbabietola da zucchero, nella speranza
di potervi collegare di lì a qualche tempo uno zuccherificio. Ma
l'esperienza accumulata dopo qualche anno fece maturare in lui un
convincimento diverso che così si può riassumere. Nonostante la grande
varietà delle regioni e dei prodotti agricoli del Piemonte,
ci sono dei caratteri comuni a
tutto il nostro sistema agricolo, che lo differenziano da quello delle altre
nazioni europee: il ruolo centrale che gioca il mais nelle rotazioni
e la presenza dei prati permanenti. Il primo è coltivato
nelle zone irrigue come in quelle asciutte e in fondo alle vallate. Così
pure i prati permanenti forniscono da soli il foraggio per il numeroso
bestiame delle nostre campagne. Cavour obiettava :
" quasi tutti gli
agronomi europei combattono i prati permanenti, ponendoli ben al di sotto di
quelli artificiali, consigliando di inserirli in un sistema di rotazioni
come tutte le altre colture. Benché questi argomenti siano plausibili, non
mi sembrano applicabili nelle nostre zone".
Il rispetto della
tradizione agronomica piemontese
Il
contrasto tra l'insegnamento teorico e la realtà piemontese da motivo
di critica della realtà locale diventava stimolo ad un
assai più cauto atteggiamento
davanti alle novità suggerite dai teorici.
« La nostra agricoltura - proseguiva - è basata sui prati stabili ed
irrigatori, e sulla coltura del grano turco eseguita in grande. In grazia
di questi due fatti le nostre rotazioni sono affatto semplici. In quasi
tutto il Piemonte il frumento succede al granoturco, e questo a quello senza
altra interruzione, tranne quella dei trifogli di tempo in tempo coltivati
come raccolta sottratta. A primo aspetto questo sistema
sembra molto difettoso, e di tale natura da distruggere la fecondità del
nostro suolo: l'esperienza tuttavia dimostra il contrario. Coi nostri prati
secolari, e col nostro formentone alternante di continuo coi nostri grani,
le terre ci somministrano a pari estensione una massa di prodotti più
ragguardevole forse che le terre di tutte le altre contrade d'Europa, il
solo Belgio eccettuato ».
Prova di ciò il livello degli affitti, che raggiungono i 100 franchi
l'ettaro e in talune zone più fertili, per es. quella di Pinerolo, i 200: il
che significa che in Piemonte « il prodotto netto della terra » è più
elevato forse che in ogni altro paese. Il sistema agrario che assicura
questi risultati, concludeva Cavour, « nello stato attuale della scienza
agronomica... è il migliore pel nostro paese » . Due anni dopo, nel
1843, queste convinzioni saranno alla base della
polemica cavouriana contro i
poderi-modello, destinata a suscitare tante e così aspre
reazioni.
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« L'agricoltura del nostro paese riposa sopra basi direttamente
opposte a quelle dell'agricoltura settentrionale d'Europa. Noi non abbiamo
che prati permanenti e regolarmente irrigati; la meliga poi è quasi l'unica
nostra coltura sarchiata. Gli autori francesi, inglesi e tedeschi
condannano ambedue queste pratiche.
Ora qual è l'uomo, io chieggo, alquanto giudizioso che ardirebbe indurre uno
de' nostri buoni coltivatori a rompere i suoi prati per seminarvi la medica,
ed a rimpiazzare la meliga colla barbabietola o col napo? Qual è
l'uomo di buona fede, il quale incaricato della direzione di un podere
qualunque, sito in una delle parti meglio coltivate del Piemonte, per
esempio nella provincia di Pinerolo, possa lusingarsi di trarre dal terreno,
coll'aiuto eziandio di pratici stranieri sommamente abili, una rendita
maggiore di quella ottenuta dai nostri più bravi agricoltori?" Nelle
pratiche in uso nelle diverse zone v'erano infatti « beaucoup de
bonnes choses » e la loro raccolta avrebbe giovato al progresso
agricolo più di tanti studi teorici. In effetti, il sistema agrario al
quale si dovevano « le belle campagne della ridente vallata del Po » non
poteva essere in alcun modo equiparato all'agricoltura semibarbara e
sprovvista di mezzi e di capitali che Cavour riteneva avesse dominato in
gran parte d'Europa sino alla rivoluzione agraria: esso era invece il
frutto di una elaborazione secolare, nel corso della quale capitali e
intelligenza si erano dati la mano ad innalzare l'edificio:
« da lungo tempo vistosi capitali
stanno accumulandosi sui nostri terreni; abili ed intelligenti persone
s'occupano della coltura di quelli, sicché considerati complessivamente, dir
si potrebbe senza presunzione ch'essi sono tanto ben coltivati, e tanto
produttivi quanto i terreni de' paesi più civilizzati d'Europa, eccettuansi
solamente una parte della Scozia e qualche distretto delle Fiandre".
Egli sosteneva che "per far progredire la
nostra agricoltura, non si tratta di introdurre nel paese sistemi belli e
fatti, ma di aprirle una via affatto diversa da quella tracciata dai
classici autori dell'Europa settentrionale".
Possibilità, questa,
che egli non escludeva affatto, nel quadro della sua non mai smentita
fiducia nel progresso e nella scienza moderna e la avrebbe accolta con
ogni favore, « qualora i
nostri sapienti agronomi pervenissero a scoprire un nuovo sistema di
coltivazione; qualora io li vedessi adoperare attrezzi di gran lunga
migliori dei nostri attuali; qualora eziandio soltanto coltivassero
estesamente e con profitto una pianta non usitata tra noi e capace di
modificare i nostri avvicendamenti »
Ma « nello stato attuale della
scienza agraria », e cioè in mancanza di una nuova teoria
agronomica rispondente alle particolari esigenze dell'agricoltura padana,
« non havvi un solo dei principi essenziali sui quali riposa il nostro
sistema di coltivazione che possa essere radicalmente modificato senza gravi
inconvenienti..." Saranno bensì
possibili «
alcuni perfezionamenti di dettaglio »: ma anche nell'adozione di
essi converrà procedere con ogni
prudenza. Occorre persuadersi che « il est nécessaire,
avant d'apporter le moindre changement au système agricole d'un pays, d'en
étudier soigneusement toutes les parties. Cette étude fera infailliblement
découvrir quelques pratiques, quelques principes utiles fondés sur la nature
particulière du sol qu'on doit exploiter. C'est à développer ces principes
et à étendre ces pratiques que devra surtout s'attacher l'agronome
améliorateur », in quanto essi
nascono dalla
concreta e particolare esperienza del paese, garantita da secoli di prove e
di vicende agricole. Era questa, a suo giudizio, la via
migliore e, anzi, la sola che fosse aperta a chi volesse davvero far
progredire l'agricoltura in un paese come il Piemonte.
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