Un'importante novità nella vita della grande azienda di Leri venne a profilarsi
con i rapporti che nell'autunno del 1843 si instaurarono con
Giacinto Corio. Era
questi un grosso agricoltore di Livorno Vercellese, già affittuario
dei beni di Casa Salino in una tenuta di circa 800 giornate (300 ha)
a San Genuario (Crescentino). Si ignorano le circostanze in cui si
stabilirono i suoi primi rapporti col Cavour: ma è probabile che a
richiamare l'attenzione del conte su di lui sia stata nell'estate del 1843
una sua lettera alla « Gazzetta dell'Associazione agraria »
nella quale egli difendeva l'agricoltura vercellese dai rilievi che il vice
segretario dell'Agraria Epifanio
Fagnani le aveva mosso sulla stessa rivista. La posizione del
Corio,
ribadita in una successiva risposta alla replica del Fagnani, confermava
antichi convincimenti del Cavour sul valore della pratica agricola
realizzata nelle campagne piemontesi;
e rivelava competenze ed esperienza così larghe da indicare in lui un
prezioso collaboratore, atto a integrare nel modo migliore le conoscenze
teoriche che il conte aveva acquistato, e ad eseguire nel modo più
intelligente e concreto le direttive che la sua instancabile passione
innovatrice suggeriva. Come sappiamo, alla fine dell'annata agraria
1842-43 Cavour era ancora assai poco soddisfatto dello stato
dell'azienda; e a quell'epoca risale il suo caldo invito al Corio di
voler cooperare alla direzione nel
quadro della « large réforme » allora operata nella «
administration de nos rizières » .
Nel novembre 1843 Corio si recò dunque a ispezionare le tenute,
ricavandone la convinzione che fossero suscettibili
di vistosi miglioramenti. Nei nei mesi successivi ebbe più volte a occuparsi
dell'azienda,
discutendo col conte le qualità del bestiame e le disponibilità di foraggi,
suggerendo l'adozione del riso della Carolina accanto al « nostrano » e
al « bertone », studiando alcune modifiche all'aratro Sambuy, per
renderlo meglio adatto ai terreni a risaia.
Non sembra però che per il momento si sia giunti a una precisa definizione
di questi rapporti, e nel periodo successivo pare che essi si siano
allentati, anche se non certo interrotti.
Essi ripresero su basi più stabili verso la fine del 1845, quando
Corio ricorse a un
prestito del conte per poter prendere in affitto una nuova importante
tenuta in territorio di Livorno Vercellese, appartenente ai
Sella biellesi . Solo
nell'autunno 1846 abbiamo notizia di una precisa definizione di
tali rapporti sulla base di una proposta avanzata dal Cavour,
probabilmente nell'ultima decade di ottobre ", e seguita dall'offerta
di un compenso annuo di 2.000 lire, con l'impegno del Corio a visitare il
fondo una volta la settimana. Fin da allora, peraltro, Cavour aveva
pensato di associare il Corio
nell'impresa, sotto forma di una «
partecipazione
agli utili »; ma aveva ritenuto che ciò non fosse compatibile con
le grosse spese d'investimento, e dunque spettanti ai soli proprietari,
che aveva allora intraprese per nuovi fabbricati, e che « un tale
accordo non < potesse > effettuarsi se non dopo due o tre anni, mentre i quali tenimentí si avvicineranno al loro stato normale ».
A questa sistemazione si giunse nel
novembre 1849 mediante una
« scrittura di affittamento » della
durata di nove anni con la quale
Mìchele, Gustavo
e Camillo di
Cavour, nella loro qualità di proprietari, davano in
locazione le tenute di Leri Montarucco e Torrone a una società costituita
tra Gustavo e Camillo di Cavour e Giacinto Corio.
|
Il contratto del 1849 fu lodato da
Lambruschini,
Ridolfi,
Cuppari e
dal Borio,
il quale così lo commenta : "Considerato se stesso come coltivatore
estraneo dei propri fondi, (Cavour) assegnò alle sue terre un
mitissimo canone nel quale egli concorreva per metà col socio suo. Le
bonificazioni agrarie venivan fatte in comune coi capitali del Conte e colla
direzione organica dell'altro e pagando questi al primo prefisso interesse
della spesa fondamentale. Il profitto generale dell'azienda poi
veniva tra i due soci diviso in parti uguali ".
Sembra che alla società Cavour - Corio
spettassero 5/6 dei prodotti lordi, forse 1/6 era dato al
proprietario in più del canone d'affitto anche se l'attività dei due
soci non può essere rintracciata sulla scorta dei libri di amministrazione
né da una copia del contratto.
Lo spirito del contratto era di associare il lavoro al capitale. I capitali
erano forniti da Cavour al Corio ed essi pagavano una quota ai proprietari,
i fratelli Cavour. E' quindi
una vera
partecipazione agli utili in quanto uno dei soci era proprietario, concetto
tacito più notevole, se si pensa alle idee del tempo e alle difficoltà che
l'applicazione di tali principi trovava nella pratica. Né, senza una
simile soluzione, le migliorie di Leri in una forma così completa e
razionale sarebbero state possibili.
Dapprima era socio anche il marchese
Gustavo,
fratello maggiore di Cavour, ma egli, temperamento assai diverso, dovette
impensierirsi del lavoro dei due soci e finì per svincolarsi dall'
affitto, per cui la
rinnovazione del contratto ( 22 aprile 1857 ) avvenne per nove anni tra il
Conte e
Corio.
E dopo la morte di Cavour, l'affitto continuò fino alla morte di
Aynardo di Cavour, che
lasciò i tenimenti di Leri,
Torrone e Montarucco nel 1875 all'Ospizio di Carità di Torino, di
cui ere stato direttore per qualche tempo. |
I due soci lavoravano assieme, facendo prove di
macchine, concimi, sementi, rotazioni, ingrassi del bestiame; e la loro
attività si segue leggendo le
lettere,
inviate da Cavour al suo amministratore.
La smania delle novità era comune
in tutti e due; molti
pezzi di macchine vecchie, nei magazzini di Leri, dimostrano che non
lasciavano nulla di intentato. Solo qualche volta il Conte
rimprovera Corio poiché, "quantunque amicissimo del progresso è talvolta
soverchiamente tenero nelle pratiche alle quali è avvezzo".
Non in
tutto andavano d'accordo, specialmente sulla valutazione del prezzo dei
prodotti, poiché ognuno giudicava a modo suo sulle caratteristiche del
mercato. Così una volta il Conte si arrabbia perché il Corio lo rende quasi
responsabile di un ribasso causato dalla morte dell' imperatore russo.
Un'altra volta è Cavour che scrive a Corio, dicendo, che, se il raccolto
fallisce, se ne va in America perché non saprebbe come cavarsela, in quanto è
impossibile prevedere l'avvenire, e quello che è probabile oggi, diventa
assurdo il giorno dopo.
Ma, tranne piccole divergenze, causate dal fatto che il Conte "nelle
questioni dei cereali è sempre contrario all'opinione della generalità",
il lavoro dei soci procedette sempre d'accordo, perfezionandosi
vicendevolmente. Così scrive
Ridolfi
descrivendo la sua visita a Leri.
" (...) non potrebbe il Conte scendere a tutte le cure
amministrative, culturali e giornaliere che la pratica direzione di una
impresa rustica esige invece continue, vigilanti, ed il Corio non potrebbe
mettere in quell' intrapresa la generosa benevolenza e l'illuminata filantropia che il
Conte vi pone; e, se nei
conteggi annuali viene meno alquanto la sua parte di profitti, ciò accumula
sopra di lui le benedizioni delle fanciulle dotate, la gratitudine dei
malati a sue spese guariti, la riconoscenza per gli alloggi migliorati e
compiuti..."
Non è raro trovare nelle lettere frasi
che dimostrano la compassione per i vecchi, la sollecitudine nel combattere
le febbri e nel migliorare la vita dei lavoratori, compresa la
somministrazione del vino " perché, così facendo soddisferemo ad un
debito d'umanità e meriteremo gli applausi del gran
Lorenzo Valerio,
il tribuno, il democratico che alla Camera lo molesta con "discorsi noiosi come la pioggia".
Il Conte era profondamente buono, abituato a compatire fino in fondo, ma
" (...) se è buono, tanto da vuotare il magazzino di riso per non veder piangere
una signora, e ben volentieri fa sacrifici per i suoi popolani, egli è anche
giusto perché ritiene che la giustizia sia da rispettarsi più ancora che la
carità".
Il buon trattamento dei dipendenti
era lodevole abitudine di casa Cavour, esempio tanto più
notevole, in quanto il sistema in uso nella Grange era troppo
oppressivo ed i lavoranti erano ancora chiamati schiavandari.
I dipendenti del Conte avevano
mensili superiori al comune, ed egli soccorreva i malati, sopportando le
spese di farmacia; il medico ed il flebotomo avevano sede gratuita in Leri,
ed ai vecchi fuori di servizio il Corio passava metà dello stipendio.
|