Quello che subito si nota, e che
Balthus avrebbe replicato altre
volte, per esempio nella Rue (con quelle ninfette deformi,
pressoché nane e i bambinoni-adulti come nelle pièces di Vitrac o del
suo amato Jarry), l'esterno della città sembra un salotto trafficato da
estranei, un frammento di cucina in cui le serrande e le tapparelle fungono
da mobili della notte. E quando
Walter Benjamin
scrive nel 1938: «La strada diventa
qui un appartamento per un flâneur, il
nottambulo che tra le facciate degli immobili è a casa propria
come un buon borghese tra le sue quattro mura» , par davvero che
abbia dinnanzi agli occhi una tela di Balthus.
E il saggio che Clair ha scritto per il ricchissimo e Polifonico catalogo
Bompiani va proprio in questa direzione: dalla Rue alla
Chambre, una mitologia del Passaggio. Si tratta quasi sempre di
storie d'iniziazione, di rituali di passaggio: dalla vita alla morte ( o
forse viceversa: chi mai risveglierà questi addormentati fantasmi da
fiabe adulte?) dalla campagna alla città, dall'età adolescenziale a
quella adulta. Ed è proprio questo senso di malessere dell'età
giovanile, che rende volpina e perversa la torbida espressione dei suoi
giocatori d'infanzia.
Allevato
alla scuola del poeta Rilke,
che nelle Elegie di Duino rintoccava:
«Forse noi siamo qui per dire: casa,
ponte,fontana, porta, brocca, albero,fruttiera, finestra
e ancor meglio, pilastro, campanile... e per dire: comprendi
oh, per dire proprio così
quanto altrimenti mai le stesse cose han saputo esser così intensamente».
http://www.ilportoritrovato.net/html/museobalthus2.html
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Balthus,
Passage,
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Del Passage
colpisce subito quasi un sortilegio strano e indecifrabile, tempo torpido
del malessere, sordità della pittura al tramonto, che ci vuole catturare, ma
che insieme non si lascia ornare, che non vuole aderire al nostro sguardo,
abituato a ben altre sequenze rassicuranti. O a più prevedibili scene
teatrali. Anche se certa atmosfera fa pensare al Realismo Magico italiano,
qui ci rendiamo conto che si tratta d'un teatro che ha smarrito la
propria drammaturgia, che non sa trovare più il bandolo del proprio copione.
Siamo come dissuasi dal chiedere la soluzione di questo rebus cifrato, che
moltiplica l'instabilità onirica dell'insieme. Sarà forse la strana
dissonanza inesplicabile tra le dimensioni sproporzionate delle figurine
disseminate sul palcoscenico della strada e che si ritagliano ognuna il
proprio spazio, mandando a gambe all'aria qualsiasi teoria di prospettiva
classica, rinascimentale. Quelle viuzze di colore spento, i gradini e i
marciapiedi imperlati di polveri, che paiono incrociarsi al di là d'ogni
regola matematico-musicale. E quella bambina in primo piano, sgranata e
sgraziata, come un frammento incongruo d'affresco, decisamente
macrocefala e squadrata, come un'icona di Campigli, sfuggita al suo teatrino
etrusco. O quella vecchina, che passa curva come un' ebrea errante
con borsetta, quasi richiamata dal comando d'un regista illocalizzabile.
Chi del resto ha deciso questo muoversi
felpato d'acquario, che non si dirige da nessuna parte e che ha un
gran sapore d' automa? Da quanto tempo quei personaggini microbici e
calcinati, che pure si sono accorti del nostro arrivo, ci guardano un
po' sospettosi, da quanto tempo ricamano quei gesti impietriti e identici?
(Compreso quel vecchio calvo, seduto sul marciapiede, che sembra almanaccare
chissà quale vendetta. Ma non è la lettura psicologica, la chiave giusta per
penetrare l'opera. Proviamo a seguire l'unico personaggio che ci volta le
spalle e che sembra sfuggire a questo sortilegio, la silhouette svelta e
sottile, che pare poter rompere l'incantesimo e uscire dalla tela... È il
Pittore, naturalmente: che si avvale d'una volgare baguette di pane come
bacchetta magica per rimettere in moto questo marchingegno pittorico in
un'aura di sublime sonnambulismo. Ma il bello è che anche noi rimarremo
per sempre bloccati, prima d' ogni possibile soluzione.
http://www.ilportoritrovato.net/html/museobalthus2.html
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Balthus,
La strada, 1933-1935
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Si tratta di una delle opere simbolo della pittura di
Balthus, eseguita in un momento in cui l’artista era ancora fortemente
legato allo spirito e all’estetica della pittura toscana del Quattrocento,
che egli aveva scoperto e amato durante un primo viaggio in Italia
effettuato nel 1927. Oltre alle numerose interpretazioni del quadro legate a
una lettura surrealista oppure iconologica, evidenti e sicuri
rimangono i legami formali con gli affreschi aretini di
Piero della
Francesca (nella figura del carpentiere e nel profilo della
ragazzina sulla sinistra) e con quelli di
Masaccio
alla Cappella Brancacci (nel viso tondo del ragazzo al centro della
tela). Inoltre, la città che fa da sfondo alla scena ricorda la
costruzione prospettica e teatrale dell’ambiente urbano tipica dell’arte del
Quattrocento, che qui assume
una razionalità già metafisica. Le leggi matematiche, fisiche ma
anche narrative che legano i singoli personaggi tra loro rimangono
misteriose, come se obbedissero a una dimensione rituale senza spazio né
tempo. Il
senso magico e fiabesco è dato anche dal fatto che gli attori
protagonisti della scena sono per lo più bambini, come
un’illustrazione di H. Hoffmann,
e come lo stesso Balthus aveva fatto notare in un suo scritto a proposito di
quest’opera, che egli stesso riteneva la sua prima importante. A ciò aveva
aggiunto, sintetizzando il senso generale dell’opera: "Non c’è molto da
dire sulla Rue, per certi versi è il manifesto di un’attitudine plastica".
http://www.babelearte.net/tipomuseo.asp?arid=388&quadroid=1540
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Balthus,
La camera, 1947-1948
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Balthus,
I giorni dorati, 1944–1946
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La camera,
che aveva ispirato una poesia a
Pierre Jean Jouve
(divenuto intimo amico di Balthus dal 1925), possiede un grande fascino dato
soprattutto dal grande nudo femminile, che illumina tutta la scena
attraverso il candore della pelle e della stoffa adagiata sulla spalla,
e che appare in contrasto con l’altra ragazzina accovacciata al suo fianco
che la guarda estasiata come fosse un’apparizione. La percezione immediata
che offre la figura nuda in piedi è quella di una creatura simbolica,
irreale, quasi divina come un Cristo risorto di Piero della Francesca, che
con una certa rigidità formale evidenzia l’aspetto enigmatico e
trionfalistico della giovinezza in tutto il suo splendore. I calzini
rossi ai piedi della giovane, così come la modestia degli arredi della
stanza, dove sono le due figure, riconducono l’attenzione alla
quotidianità, alla semplicità domestica del gesto di lavarsi. Spesso,
infatti, le giovanissime donne dipinte da Balthus sono colte in momenti
intimi e quotidiani, talvolta sul punto di svegliarsi oppure di
addormentarsi o, come in questo caso, di prepararsi per la toeletta della
mattina. Di questo quadro esistono, inoltre, due varianti, dipinte nel
1948: la Ragazza accanto alla toilette e la Ragazza allo specchio.
http://www.babelearte.net/tipomuseo.asp?arid=388&quadroid=1539
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