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La ricostruzione e la meccanizzazione delle campagne

Il secondo dopoguerra

Nel secondo dopoguerra si situa il periodo della ricostruzione. Con questo termine si intende l'esigenza di ricostruire il paese dal punto di vista fisico per riparare le devastazioni della guerra  ma anche restaurare le strutture democratiche governative dopo la caduta del regime fascista,
ricostruire le strutture rappresentative dei settori economici e produttivi, dopo la fine della economia corporativa, ricostruire un mercato; sono questi gli aspetti principali di un processo che impegnerà la nuova generazione dei responsabili della conduzione della cosa pubblica e tutti i singoli. La fine delle attività militari aveva prolungato le limitazioni negli approvvigionamenti per lunghi mesi, protraendo il regime dei razionamenti e dei tesseramenti.
Nei mesi immediatamente susseguenti la fine della guerra esplose letteralmente in Italia il fenomeno della miseria, con molti che stentavano ad ottenere la disponibilità del necessario per la sopravvivenza. Molti cittadini avevano dovuto abbandonare i luoghi a loro abituali per il domicilio e per il lavoro, e si era verificato il ritorno dei numerosi militari che erano stati dispersi nei campi di prigionia di altri Paesi. Mentre nel primo dopoguerra i paesi sconfitti erano stati lasciati soli a vivere le loro sventure, appesantendo le loro economie con la richiesta del pagamento di risarcimenti ai paesi vincitori, nel secondo furono largamente aiutati, subito con interventi immediati attraverso lo strumento dell'UNRRA e in seguito con azioni programmate come il piano Marshall o ERP.
Il Vercellese si dovette preoccupare di garantire con immediatezza organismi di rappresentanza delle categorie produttive, per seguire tutti gli aspetti di una economia di emergenza. Nel dicembre 1945 fu costituita l'Associazione tra gli agricoltori della provincia di Vercelli, con la dichiarazione di essere indipendente da qualsiasi partito politico. Erano in corso le prime avvisaglie di contrapposizione fra i partiti che costituivano il Comitato di Liberazione nazionale e si attuava il tentativo di dare vita ad una rappresentanza sindacale di categoria che si limitasse ad affrontare l'emergenza, sperando peraltro di giungere ad una rappresentanza unitaria, come si incominciò a sostenere nel novembre 1945, quando riprese le pubblicazioni L'agricoltore, ora bollettino della nuova associazione.

Con la fine della guerra e la caduta della Repubblica sociale furono rese pubbliche le vere condizioni dell'agricoltura vercellese, prima mascherate dalla propaganda che aveva continuato a sollecitare la produzione agraria dichiarando risultati positivi di molto superiori alla realtà. Le difficoltà dell'agricoltura vercellese nel 1945, oltre quelle derivanti dal quadro economico e sociale generale, si ritrovavano in aspetti particolari.
Fra questi vi era il regime degli ammassi, il quale non soltanto continuò ad esistere ma pare essere stato ancora più rigido, toccando "frumento, segale, risone, granoturco, ravizzone, orzo mondo, orzo vestito", secondo l'ordine espresso dalle disposizioni relative. La Prefettura di Vercelli intervenne con un decreto del 7 dicembre 1945 che, esentando dall'ammasso le sole quote delle sementi, stabiliva pene pesantissime. Era previsto l'arresto e la confisca dei cereali, con la possibilità di pene detentive da un minimo di sei mesi ad un massimo di sei anni, senza alcuna applicazione di clausole condizionali. La fine del 1945 dedicò una attenzione particolare alla zone della Baraggia vercellese, ove si vedeva la possibilità di interventi di bonifica che avrebbero potuto essere condotti anche come strumento per l'assorbimento della disoccupazione invernale.

Il quadro delle necessità locali fu tracciato nel corso dell'assemblea che il 28 dicembre 1945 segnò la nascita ufficiale dell'Associazione degli agricoltori del Vercellese. Alla presidenza era stato chiamato, sin dal maggio, il dott. Carlo Alberto Gallesio, che svolse la relazione. Egli diede conto delle iniziative che pur erano state portate avanti prima di indicare i problemi sul tappeto e fornire le linee di azione sindacale. Al primo punto si poneva la questione dell'Ente risi, organismo creato durante il regime caduto e in quanto tale visto da alcuni come uno strumento che poteva essere sospetto. Gli agricoltori del Vercellese avevano operato per la sua conservazione, ne avevano discusso con i rappresentanti delle altre zone risicole ed avevano avuto il compito di governare la transizione con la nomina di una Commissione, vercellese. Dimostrazione, questa, di un ruolo trainante che stavano chiaramente assumendo i risicoltori vercellesi. Subito dopo l'Ente risi fu decisa la linea nei confronti del Consorzio agrario, che si voleva riportare alla primitiva funzione, dopo che era stato gestito come ente governativo monopolistico.
Ripetuta la contrarietà nei confronti degli ammassi che si sarebbero potuti accettare soltanto in una prospettiva della ripresa del commercio internazionale, fu presentato come uno dei maggiori problemi quello degli affitti, cioè dei rapporti fra la proprietà della terra e la conduzione delle aziende, che si trovavano a subire le conseguenze della rapida svalutazione della moneta. Si dovevano porre le dovute attenzioni agli agricoltori della Baraggia, con le loro specificità.

Il venire meno dell'unicità delle rappresentanze di categoria che era stato proprio dell'esperienza corporativa aveva determinato i tentativi di formare una molteplicità di associazioni anche fra gli agricoltori, ma la ricostituita Associazione di Vercelli poteva vantare una continuità con la prima associazione formata all'inizio del secolo e la rappresentanza della maggioranza delle aziende del territorio. Per garantire il proprio ruolo storico il consiglio direttivo dell'associazione fu costituito tenendo conto delle diverse realtà dimensionali e territoriali. A presidente fu scelto un proprietario di grande azienda, affiancato da due vicepresidenti, rispettivamente proprietari di una media e di una grande azienda.

Ancora i primi mesi del 1946 furono vissuti con il peso delle difficoltà conseguenti allo stato di guerra. Vennero comunque sul tappeto le necessità di cambiamenti radicali, oltre che della difesa degli interessi degli agricoltori, verso i quali l'opinione pubblica dimostrava ostilità, considerandoli fra i responsabili della scarsità dei beni alimentari e, soprattutto, del rincaro dei prezzi. Già dal gennaio il periodico vercellese affrontò il delicato problema dei prezzi, con un intervento dal titolo significativo - "Perché il Popolo sappia" - che si può ritenere come un primo tentativo di elaborare una sorta di  spiegazione dei costi di produzione. In sostanza si calcolava che il riso costasse 1.000 lire il quintale a livello del produttore, mentre il riso lavorato giungeva al consumo a 2.500 lire. In questo contesto si puntava il dito sull'eccessivo carico fiscale che colpiva gli agricoltori.
Per dimostrare le cattive condizioni dell'agricoltura italiana fu diffusa una serie di dati statistici sulle superfici coltivate e sulle produzioni ottenute nelle annate agrarie 1943-44 e 1944-45.

Gli esperti attribuivano il vistoso calo della produzione soprattutto a due cause, la mancanza di concimi e il cattivo andamento stagionale. Mentre su quest'ultimo poco si poteva dire, la carenza di concimi era la stretta conseguenza del venire meno delle produzioni della chimica nazionale, con gli impianti intasati dalla produzione di guerra, e dall'interruzione delle importazioni. Approfondendo l'analisi appariva inoltre che il 1940 era stato l'anno nel quale la coltivazione del riso aveva occupato in assoluto la maggiore superficie. Se i dati erano reali  il termine di ricostruzione era adatto a descrivere lo sforzo a cui era chiamata l'agricoltura italiana e vercellese in particolare.
Incominciò anche a farsi strada la necessità di una riforma agraria, verso   la quale si dichiaravano aperti tutti i partiti che si confrontavano per le prime elezioni del dopoguerra.

Il ruolo centrale dell'agricoltura

L'emergenza stava rientrando e si incominciavano ad affrontare i  vari problemi per la ricostruzione del sistema. Chiari segnali di svolta venivano pure dall'atteggiamento assunto verso i comportamenti illeciti, come il mercato nero o l'immissione sul mercato di concimi di scarsa qualità, se non frutto di sofisticazioni e adulterazioni.
All'aprirsi della primavera del 1946 anche il Ministero dell'Agricoltura incominciò a proporre la valutazione delle capacità di assorbimento di manodopera in agricoltura, vista come valvola di sfogo per la disoccupazione generalizzata, l'approvvigionamento di macchine per l'agricoltura, il rifornimento dei concimi, la trasformazione dei prodotti agricoli, il rapporto con gli arrivi degli aiuti dell'UNRRA, limitati essenzialmente al frumento.
La guerra aveva ridotto di molto il peso della componente industriale nella vita economica italiana, riproponendo una sorta di orgoglio sociale per il ruolo dell'agricoltura. In questi termini si esprimeva il periodico L'Italia Agricola:
" L'Italia
 ha ripreso nelle sue linee generali un volto economico simile a quello che aveva alla fine dello scorso secolo, quando ancora era priva di organizzazione industriale e l'agricoltura rappresentava il fondamento e la premessa di ogni attività. Fatalmente, quindi, il nostro tenore di via dovrà abbassarsi ed adeguarsi alla nuova realtà, anche per consentirci la formazione di quel risparmio senza del quale non è possibile la ricostruzione. Pertanto l'agricoltura è balzata nuovamente al primo piano dell'organizzazione economica italiana. Ma nelle attuali condizioni può essa riprendere subito la sua piena attività? Riteniamo di sì, nonostante la ostacolino la deficienza del bestiame sia dal punto di vista del lavoro, sia dal punto di vista della produzione del concime organico necessario alla fertilizzazione dei terreni, la carenza dei concimi minerali, la penuria delle macchine e specie dei trattori agricoli, le difficoltà di rifornimento dei carburanti. Ci conforta il pensiero che per qualche anno, e cioè fino a quando la rete dei trasporti non sarà ricostruita e i liberi scambi internazionali ripresi, l'agricoltura italiana non dovrà sostenere la concorrenza dei Paesi di oltremare e non andrà quindi incontro a crisi di sovrapproduzione. Non solo, ma in un primo tempo dovrà modificare i suoi ordinamenti colturali, nel tentativo di assicurare il fabbisogno alimentare della Nazione studiando ed apprestando i mezzi per sostenere validamente l'urto della concorrenza internazionale.

La ricostruzione nel Vercellese ed i primi aiuti americani

La dichiarazione ufficiale della fine dello stato di guerra diede praticamente inizio alla fase più propria della ricostruzione dell'economia italiana. Ricostruire significava recuperare le situazioni preesistenti la guerra e si fecero alcuni calcoli per offrire il quadro delle dimensioni del fenomeno da affrontare. Si constatò che lo sforzo del 1945, doveva essere maggiore di quello del 1918. Infatti, la superficie risicola nel 1918 si era ridotta a circa 112 mila ettari dai 148 mila preesistenti e nel 1945 era di circa 95 mila ettari contro circa 160 mila. Subito dopo vi era il problema della produttività connesso alle .pratiche colturali e alla eccessiva varietà della produzione.

Gli agricoltori del Vercellese assunsero in questa fase un chiaro ruolo trainante all’interno della risicoltura dell’area padana anche in relazione ai settori della lavorazione e dello smercio del riso. Un compito significativo fu affidato alla gloriosa Stazione sperimentale di Vercelli, impegnata nella ricerca e produzione di sementi selezionate, mentre si raccomandava la diffusione delle pratiche migliorative, come il trapianto del riso, che prima della guerra si era in qualche modo diffuso coprendo il 40% delle colture. Nel frattempo erano incominciate ad arrivare le prime macchine d’oltre Atlantico, ponendo il problema della loro distribuzione, con le modalità per l’acquisizione da parte delle  aziende interessate. Il primo contingente si componeva di 750 trattori, a livello nazionale.
 


La riforma agraria del 1950 concesse 700.000 ettari a braccianti e particellari Si arricchisce nel frattempo il parco delle macchine agricole, che elimineranno gradualmente manodopera dalle campagne.


Le moderne operazioni di mietitura ad opera di una mietitrebbiatrice
 


Fra marzo e maggio furono impostati i contratti di lavoro stagionale, senza molto innovare rispetto alle regole in vigore, venendo però a cessare il contingentamento per province per  i lavoratori necessari alla monda del riso. Uno scontro si ebbe al momento della definizione delle tariffe per la monda,   Un preciso riconoscimento dell’ azione svolta venne con la nomina del vicepresidente dell’Associazione degli agricoltori di Vercelli, Giovanni Gallo, a commissario dell'Ente Nazionale Risi,

Era passato poco più di un mese dalla nomina del Commissario e il bollettino dell'Associazione doveva intervenire per chiarire i termini della trasformazione che si sarebbe voluto realizzare, ben sapendo che un nuovo statuto poteva essere redatto soltanto dopo che fosse cessata l’emergenza e dopo che fossero state coinvolte tutte le categorie, agricoltori, industriali e commercianti di riso. Si stabilirono le tappe da percorrere iniziando con una prima "Consulta dell'Ente risi", incaricata di predisporre il necessario per giungere ad una vera e propria costituente. Comunque si ponevano alcuni punti fermi e pregiudiziali:

1°) l'Ente Risi deve perdere completamente la sua fisionomia vincolistica e corporativistica che tanto danno fece agli agricoltori

2°) l'adesione all'Ente dovrà essere possibilmente e completamente libera e volontaria

3°) i compiti affidatigli dovranno essere esclusivamente economici

4°) l'amministrazione dovrà essere affidata alle categorie che non solo vi siano interessate, ma che ne
 abbiano anche diritto.

 Nel momento in cui l'intero paese viveva una profonda trasformazione istituzionale e doveva confrontarsi nello stesso tempo con le difficoltà proprie di una pesante gestione finanziaria, gli agricoltori dovettero anche fronteggiare richieste per contribuzioni fiscali straordinarie sui cosiddetti utili di guerra. Fra l'estate e l'autunno del 1947 le campagne del Vercellese vissero momenti di aspri scontri, formalmente per le trattative di rinnovo dei patti di lavoro, ma con accuse di politicizzazione scambiate reciprocamente tra le parti. Si stavano comunque profilando in tutta la loro gravità alcuni problemi aperti fra i diversi soggetti che operano nel settore agricolo, dagli affitti ai patti agrari, dalla sicurezza sociale agli ammassi, dai prezzi ai carichi fiscali. Incominciava ad essere dispiegato comunque un impegno per migliorare le produzioni, reintrodurre quelle abbandonate per la guerra e ricercarne di nuove.

La contingenza favorevole della guerra di Corea

Le elezioni politiche del 1948 videro un impegno dell'Associazione fra gli agricoltori della Provincia di Vercelli con la  candidatura al Senato di Giovanni Gallo, il commissario dell’Ente Risi, come indipendente nelle liste del partito della Democrazia Cristiana, affiancandosi alla Federazione provinciale dei Coltivatori diretti di Vercelli, la quale espresse la candidatura alla Camera del suo direttore, Renzo Franzo, sempre nelle liste della Democrazia Cristiana.
Pur non essendo eletto il Gallo al Senato, inizia in questo periodo uno stretto rapporto dell'Associazione degli agricoltori con i responsabili del Governo nazionale spesso in visita a Vercelli, partecipando al dibattito in atto per la riforma agraria, con un' azione sindacale vivace per difendere gli interessi degli associati e costruire un quadro di riferimento che provvedesse a garantire un mercato più favorevole, a trasformare l'Ente risi, ad assicurare fitti equi e chiari patti agrari.

I dati sulla campagna risicola derivante dal raccolto del 1949 fecero rilevare un andamento singolare.  La ricostruzione postbellica era condotta con riferimento ai parametri economici dell'annata 1938-39, che dovevano essere recuperati. Ebbene, mentre la produzione totale di riso era ancora inferiore, si constatava che la quota esportata era, a febbraio 1950, maggiore di quella consumata sul mercato interno, mentre nel 1938-39 era nel rapporto di uno a tre. L'Ente risi riportava un elenco di quantità esportate, espresse in quintali di risone e addirittura si riferiva:

In questi giorni è stato concluso dall'Ente risi col Ministero della alimentazione inglese un contratto per la fornitura in Oriente dì 150 mila quintali di risi. Con tale contratto, in aggiunta a quelli stipulati con la Germania e con altri Paesi, viene data la possibilità immediata di esportare circa 400 mila quintali in risone.  

Il problema ora stava nel consumo interno, che ristagnava e fu oggetto di apposite campagne di promozione per il riso. Il commercio con l'estero beneficiava di una politica di liberalizzazione degli scambi, mentre nei paesi dell'Oriente, grandi produttori e concorrenti storici, vigevano norme protezionistiche derivanti dalle disastrose condizioni economiche conseguenti alla guerra mondiale, che continuavano a manifestarsi. La guerra di Corea rappresentò un momento particolare per il mercato internazionale del riso,  che pose gli agricoltori vercellesi in una situazione di  favore, trovando pochi concorrenti sui mercati esteri tradizionali. Forse proprio questa condizione tardò le trasformazioni nel mondo agricolo più tradizionale, che invece avvennero  quando si esaurirono le guerre dell’Oriente, approfittando di tutte le innovazioni che erano disponibili.. Fu quello il momento in cui le campagne del Vercellese mutarono totalmente il loro aspetto, soprattutto per il ruolo degli uomini e degli animali.





 



La raccolta meccanica dei cereali, che subì un'accelerazione nei primi anni '60, contribuì ad abbattere da 800 a 45/50
le ore necessarie per la lavorazione di un ettaro a risaia, la cui produttività anche si incrementò.
 


Fonti bibliografiche:-
- Giuseppe Bracco, Uomini, campi e risaie nell'agricoltura del Vercellese fra età moderna e contemporanea, Unione agricoltori di  Vercelli e di Biella, 2002
 

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