Totalitarismi del XX secolo: confronti strutturali

Il concetto di totalitarismo

Uno stato che vuole esercitare il proprio "totale" controllo sulla società, soffocandone ogni autonomia, abolendo ogni libertà e pluralismo attraverso sia l'uso della violenza sia l'uso degli strumenti atti a produrre consenso, invadendone ogni campo, occupando anche la sfera privata dei cittadini, è uno Stato totalitario o totale. 

L'aggettivo totale o totalitario viene elaborato nel lessico politico in Italia e in Germania dagli anni Venti in poi. Per la prima volta in Italia è Mussolini; che nel discorso del 28 Ottobre 1925; sembra definire il nuovo regime: "Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato". Sarà poi in particolare il filosofo Giovanni Gentile, importante esponente della cultura fascista a contribuire in modo determinante ad elaborare il concetto di "stato totalitario", a imporre una concezione etica dello Stato e ad attribuire alla missione totalitaria dello Stato caratteri quasi religiosi.

Per quanto riguarda la Germania, Gobbels, abilissimo ministro della propaganda, nel novembre del 1933 definisce la conquista del potere da parte dei nazisti "una rivoluzione totale "che ha come fine la trasformazione radicale dei rapporti interpersonali, nei confronti dello Stato e dei problemi dell'esistenza"; e ancora: "L'obiettivo deve essere uno Stato totalitario che copra ogni sfera della vita pubblica e la trasformi alla base". Anche lo stesso Hitler parla più volte di stato totalitario nei suoi Discorsi del 1933.

Infine caratteri totalitari ebbe certamente lo stalinismo; che si sviluppò a partire dalla metà degli anni Venti in Unione Sovietica, come conseguenza dell'instaurazione dello stato comunista seguito alla Rivoluzione d'Ottobre e guidato dal 1925 al 1953 da Stalin.

Molto importante per la ricostruzione della nascita dei regimi totalitari è collegarli ad un fenomeno tipico del Novecento: l'avvento della società di massa. Il termine massa nel linguaggio politico dell'Ottocento è l'opposto di elite o gruppo scelto, indica la dimensione collettiva dei fenomeni ideologici e sociali, filtrati ormai dalle prese di posizione di una vasta opinione pubblica. La guida politica dello stato non è più unicamente nelle mani di gruppi ristretti di notabili ma viene decisa da gruppi organizzati in movimenti ed in partiti, che non sempre tuttavia sanno dare continuità alla gestione della vita pubblica.

Inoltre nel primo Novecento esplode il fenomeno di una nuova "Rivoluzione industriale", che determina anche l'ampliamento della classe operaia e il rafforzamento dì organizzazioni sindacali. Assistiamo anche alla crescita di una più compatta classe media di impiegati, tecnici, funzionari, dirigenti industriali ma anche di burocrati alle dipendenze dell'amministrazione pubblica. La prima guerra mondiale ha mobilitato l'intera società: tutti hanno dovuto partecipare allo sforzo bellico. Lo Stato ha così ampliato molto la sua funzione di direzione e di controllo sulla società civile; proprio la guerra assesta il colpo mortale allo Stato ottocentesco liberale che proclamava la sua assoluta estraneità agli affari economici, monopoli della libera iniziativa privata. La guerra cancella le istituzioni rappresentative o comunque mostra come le decisioni dei Parlamenti possano essere scavalcate: i Parlamenti per lo più non sono convocati, le elezioni vengono abolite, i cittadini si sono abituati al pieno potere dell'esecutivo e alla legislazione di guerra. Inoltre tutta la popolazione contribuisce al costo finanziario della guerra con le tasse aumentate e gli anni in trincea, che pure hanno contribuito alla formazione di una cultura di massa, a diffondere una consapevolezza della propria appartenenza a una nazione, a scoprire la lingua comune, rimescolando i dialetti e arricchendo il patrimonio linguistico.

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