L'inchiesta agraria Jacini
L'inchiesta agraria Jacini
I primi decenni dell'unità nazionale (
1861 - 1880 ) non
permettono ancora di rilevare dati statistici del tutto precisi ed
attendibili, tali da poter essere confrontati in serie omogenee. Non è
possibile così ricostruire gli andamenti delle singole produzioni, ma
bisogna far riferimento ad indagini a carattere generale e settoriale, che
offrono uno spaccato del mondo agricolo e ci parlano dello sforzo attuato
per ottenere risultati compatibili con il mutato quadro di riferimento
nazionale ed internazionale. Si studiano le realtà agricole con l'attenzione
puntata ai risultati che si ottengono nei paesi europei ed extraeuropei. Il
tema dello sviluppo e del miglioramento dei settori economici impegnò
tecnici, economisti e politici, mentre la classe politica italiana si
confrontava nelle posizioni della Destra ( vicina alla linea d'azione cavouriana ) e della Sinistra storica ( più aperta al riformismo sociale ). |
|
L'Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola in Italia era stata avviata con la legge 15 marzo 1877. I lavori avrebbero dovuto concludersi in due anni, ma fu necessaria l'ulteriore legge 12 dicembre 1878, che ne prolungò la durata sino al termine del 1882. L'inchiesta è nota come Inchiesta Jacini dal suo presidente, il senatore conte Stefano Jacini, ed è considerata come la più completa analisi sulla situazione dell'agricoltura italiana all'aprirsi dell'ultimo quarto dell'Ottocento. L'inchiesta si inserisce fra le molteplici indagini che il Parlamento italiano realizzò in quei decenni per conoscere il quadro esistente sul territorio nazionale per i settori vitali della economia e della società, seguendo il modello sperimentato dal Parlamento inglese e, in pratica, riprendendo la pratica delle statistiche conoscitive degli antichi regimi. Gli studiosi dell'agricoltura italiana dell'Ottocento concordano nel riconoscere la validità dei dati e delle analisi dell'Inchiesta Jacini sulla situazione esistente in quel periodo. Meno concordi sono i giudizi per le conseguenze determinate dalla Inchiesta sulle decisioni assunte per la politica agraria del Paese.
La relazione conoscitiva sull'agricoltura
del Vercellese è inserita nel più vasto territorio del Novarese.
In particolare si rilevarono le diversità nei vari aspetti trattati, incontrando alcune difficoltà nell'individuare
nettamente tutte le tipologie delle aziende agrarie esistenti nelle aree
territoriali in cui sarebbe stato necessario suddividere la grande
provincia di Novara. Nella parte dedicata alla
condizione agraria,
per i sistemi di coltivazione annotarono: Nell'inchiesta
agraria si vollero anche individuare le aree destinate a
colture intensive e quelle di
coltura estensiva, con il
problema di definire con precisione la distinzione fra le due modalità. Le notizie analitiche furono raccolte con il ricorso a molteplici fonti, per alcuni versi ripetendo metodi antichi, simili a quelli già utilizzati al tempo della perequazione settecentesca con l'interrogatorio di uomini dei campi, per altri riferendosi a pubblicazioni e studi specifici e ai documenti ufficiali prodotti dalle Camere di Commercio, seppur queste non ancora presenti ovunque. Nel caso di Novara non esisteva ancora una Camera di Commercio, che avrebbe avuto vita a partire dal secolo seguente. L'avvocato Francesco Meardi, estensore della relazione sulla provincia di Novara, riferisce di avere iniziato i suoi studi a partire da una memoria sul Novarese pubblicata nel 1862 dal « professore Cuppari», seguita da altre: «più tardi dall'illustre comm. Bodio presentavansi al pubblico pregiate memorie, veri bozzetti succinti ma precisi sui temi essenziali dei contratti colonici più usitati, delle condizioni delle classi agricole, delle rotazioni agrarie, della distribuzione della proprietà, ecc.»
Fra queste si ricordava quella «dei
signori Ferratene e Francesco Rampone, pel circondario
di Vercelli». Ancora, la scarsa disponibilità di mezzi finanziari era uno
dei problemi che più aveva tormentato i commissari per l'inchiesta, i
quali non avevano potuto giungere alla pubblicazione, come avrebbero
desiderato, di vere e proprie monografie per le singole circoscrizioni,
arricchite anche della documentazione cartografica. Parallelamente ai lavori
della giunta per l'inchiesta, alcune monografie erano state pubblicate a
cura dei loro autori e fra queste il lavoro di
Oreste Bordiga dal titolo L'agricoltura e gli agricoltori nel
Novarese. |
|
Le pratiche colturali
Anno 1° frumento e segale ben concimati;
Molte volte il granturco si pone in testa
alla rotazione dopo il riso dell'ultimo anno per far asciugare il terreno
coi molti lavori, poi si coltiva il frumento, e successivamente
l'avena, il prato da 1 a 2 anni a seconda dei terreni, ed il
riso.
Anno 1° granturco ben concimato e ben
lavorato; Un altro avvicendamento ancora più estenuante di questo è il seguente:
Anno 1°frumento ben concimato e
granturco quarantino per secondo prodotto;
Anno 1° avena ben concimata e trifoglio;
Oppure:
Anno 1° avena o frumento concimati in
abbondanza e seme di trifoglio;
Anno 1° metà a granturco e metà ad
avena con molto letame o con guano del Perù;
Per
questa zona le rotazioni hanno in molti punti il difetto di dar troppa
prevalenza alla risaia che raffredda di
molto
il terreno e richiede poi, quando si fa il rinnovo, che si dia molto letame.
Uno di questi avvicendamenti sarebbe il
seguente: |
L'energia e gli strumenti Conosciute le principali tecniche colturali, immediatamente si pose la definizione dell'energia disponibile e necessaria per la lavorazione dei campi, nelle sue due espressioni fondamentali, cioè quella animale e quella umana. Per la prima, dopo avere affermato una regola generale, secondo la quale si riteneva che fossero necessarie due coppie di buoi ogni 16 ettari di terreno sottoposto all'aratura, con pochi prati, si fece riferimento ad una iconografia agraria sul territorio di Vercelli del cav. Garbasse; in un podere irriguo che avesse la superficie di ettari 230 circa tenuto per 1/6 a prato, per metà a riso e per il resto a granturco, avena e frumento, si dovrebbero tenere 10 paia di buoi e 3 cavalli, nonché 35 vacche e 20 manzi come animali da prodotto.
Gli studi sugli animali dell'età
preindustriale hanno evidenziato come questi fossero di taglia molto
più piccola di quelli di età posteriore, come conseguenza della
scarsità delle risorse alimentari a loro destinabili, delle cattive
condizioni igieniche e per le limitate conoscenze della genetica.
La taglia degli animali da lavoro determinava la quantità di lavoro
eseguibile e, in generale, di energia disponibile. Il problema venne in
evidenza nel corso dell'inchiesta agraria. Nelle parti asciutte e piane dove
l'aratro non ha da vincere la resistenza del terreno fangoso delle risaie,
gli animali da lavoro sono di statura più piccola che non nella prima zona,
e per lo più si tengono vaccherelle che servono a diversi scopi.
Allora, per piccolo che sia il podere, si ha sempre un paio di questi
animali, da cui si ritrae anche un po' di latte ed il vitello.
Nel Vercellese per il podere tipo si tiene il seguente numero di
salariati: Ovviamente a questi occorre aggiungere gli avventizi, che non appaiono essere impiegati in modi e in settori molto diversi da quelli dei secoli precedenti. Spurgo dei canali, formazione delle risaie, movimenti di terra, mondatura del lino, del frumento e del riso, mietitura dei cereali, scalvo e potatura delle piante..., il pur lungo elenco non esaurisce tutte le possibilità di impiego per gli avventizi che venivano trovati in modo vario nelle singole aziende. In molte parti della provincia di Novara vi era una larga emigrazione periodica degli uomini, richiamati dal lavoro nelle «fabbriche», sia locali che straniere, tanto che toccava alle donne buona parte dei lavori agricoli. Il fenomeno era rilevante nelle parti collinose e nelle valli. Nelle grandi aziende risicole vi era una procedura più complessa. Quando si devono eseguire lavori d'importanza come la mondatura ed il taglio dei risi, il coltivatore di fondi stipula un contratto col capo degli uomini il quale conduce sul fondo il numero necessario di persone. Questi poi si fa dare un soldo per giorno e per individuo dipendente da lui, e si fa molte volte rilasciare un tanto per la minestra a mezzodì, cercando di speculare anche da questa parte con svantaggio dell'alimentazione di tutta questa gente. Inoltre accade qualche volta di trovare persone di mala fede, che dopo essersi fatta rilasciare una caparra dai lavoranti, perché non se ne vadano a lavoro incominciato, essendo responsabili ed obbligati a farlo compiere in un dato tempo, fuggono col denaro raccolto o procurano di eludere gl'impegni assunti. I mietitori ed i trebbiatori del riso, e coloro che lo fanno essiccare sulle aie, giungono nei fondi a piccole frotte avendo a capo il più vecchio, e concludono col conduttore il patto di mietere e di riporre in magazzino tutto il raccolto mediante una data retribuzione in danaro e in natura, costituita quest'ultima da parte del riso greggio o lavorato, che si è raccolto.
Per i mondatori del riso, i mietitori, ecc.,
che si recano molto lontano dai loro luoghi di dimora si ha l'inconveniente
che essi devono dormire alle volte sino per venti o trenta giorni
consecutivi sulla paglia o sul fieno raccolto sotto le tettoie dei
cascinali. Una certa vivacità era riscontrabile negli attrezzi, dove gli aratri di nuova concezione, con i vomeri in grado scavare a maggiore profondità e rovesciare bene le zolle, si erano diffusi largamente. Incominciavano a vedersi le seminatrici, almeno nelle aziende di maggiore importanza, a differenza delle falciatrici e delle mietitrici, che apparivano in "piccolo numero", come gli spandifieno.
Incontrarono invece maggior favore le
trebbiatrici. Nella massima
parte dei poderi di pianura si trebbia già con macchine mosse dal vapore,
od in qualche caso speciale da ruote idrauliche.
Nelle aziende maggiori la
macchina è del proprietario, altrove vi sono
speculatori che girano le campagne con le loro macchine, e con
una parte del personale necessario (generalmente un capo-macchinista, un
fuochista e quattro uomini per immettere il frumento, i quali lavorano due
alla volta, mentre gli altri due si riposano); essi trebbiano il grano
mediante una quota dal 2 al 5 per cento sul prodotto, oppure lire 1,50 il
Sacco. |
|
Home page, Il contesto regionale e locale nel XVIII e XIX secolo