Indice Il Vercellese nell'800 Avanti Indietro

La conquista della terra. Sviluppi dell'agricoltura proprietaria piemontese nella prima metà dell'800.    


La tenuta di Selvabella ( 1813 ) -  Plan géométnque du domaine de Selvabelia situé sur le territoire
de Gattinara de la
propriété de monsieur Arborio de Gattinara -
immagine tratta da L'Agro vercellese nei secoli XVII-XIX -
Spunti per una ricerca sul paesaggio rurale - Vercelli 1982
 


Nelle immediate vicinanze della cascina vi sono un giardino, un'aia, pascoli e vigne. A ovest di essa si estendono arativi, ampi boschi, brughiere, macchie e un pascolo; questi terreni sono intersecati dal rio Colompasso, dal rio Arvoto, dal rio Cerro e dalla strada di Rovasenda.  Altri cavi e rivi adacquatori attraversano la regione a est e beneficiano delle acque derivate dalla Sesia, di cui si vedono due tratti;  in questa zona i beni della tenuta sono costituiti in massima parte da prati, ma vi è pure un'estensione ragguardevole di arativi, nonché un pascolo e un canepale.  In prossimità di uno dei due tratti della Sesia si trovano altri quattro appezzamenti: un aratívo, un boschetto e due prati.  La tenuta è tagliata per l'intera lunghezza da una strada che permette l'accesso al diversi appezzamenti e sbocca sulla Vercelli-Gattinara.  A nord-est rispetto alla tenuta sono segnate la cappella di Nostra Signora di Ara e S. Sebastiano.  L'intera tenuta confina a sud col comune di Lenta.  Al centro del disegno la rosa dei venti.  Sulla destra una tabella recante il sito, il tipo di coltura e l'estensione dei singoli appezzamenti, contrassegnati ciascuno dal relativo numero di mappa.
 


A partire dalla metà del Settecento, la campagna piemontese aveva mutato i suoi lineamenti economici e sociali. Non si trattava di una rivoluzione agronomica come quella inglese o fiamminga, tuttavia la superficie agraria destinata alla risaia si era più che raddoppiata, grazie all’abbandono di culture di sussistenza e al riscatto dei terreni paludosi.
L’estensione dei prati irrigui e dei pascoli avevano compiuto progressi; diminuivano i fondi a vigneto pregiato a vantaggio della produzione di più robusti vini correnti. Le colture di grano, di barbariato, di segale e di granoturco avevano conosciuto uno sviluppo, anche se non c'era accordo sull'estendere le colture dei cereali inferiori. Progredì la produzione dei gelsi e dei bachi da seta. Il raccolto di bozzoli era pressoché raddoppiato, tenuto conto anche del costante aumento dei prezzi di mercato e dell'intenso lavoro d’esportazione.

Intorno alla metà del secolo numerose macchine avevano fatto ingresso nelle campagne: aratri metallici, trebbiatrici, sgranellatrici per il granoturco, seminatrici, pompe idrauliche. La concimazione chimica, l’uso dei fertilizzanti e degli anticrittogamici non erano più sconosciuti. Grazie a queste prime innovazioni e alle opere assai più consistenti di sistemazione fondiaria e d’irrigazione, si erano avute variazioni nel valore dei fondi rustici e dei fabbricati.
 

La rivoluzione agronomica inglese

Fattoria modello inglese del primo '700 con sviluppo
di sistema irriguo. Incisione del 1727.
 

Le teorie fisiocratiche in Francia

Tavola dell'Encyclopédie di Diderot e D'Alembert :
 l'agricoltura ( 1750 )
 


Rispetto alla fine del Settecento era cresciuto il peso specifico dei circondari di Vercelli e di Torino, mentre l’Astigiano e il Cuneese, Ivrea, Mondovì e Pinerolo erano retrocesse. Era aumentato nello stesso tempo il prezzo medio dei terreni. Nel 1850-60 il valore per ettaro di un fondo a campi e vigne superava già le 70 lire, mentre un ettaro a risaia aveva raggiunto il prezzo di 80 lire. Anche il valore commerciale delle derrate agricole era cresciuto sia per il frumento sia per il vino e il riso. In questa situazione continuò l’afflusso di capitali alla terra.
Si crearono condizioni più propizie, in concomitanza con l’aumento della popolazione rurale, per una graduale modifica del sistema fondiario.

Nelle zone di pianura a coltura asciutta parecchie grandi proprietà nobiliari, di fronte alla costante domanda di terre e all’inasprimento del regime fiscale, si erano in parte disgregate per far posto a minuscoli poderi misti di seminativi e gelsi. I grossi possidenti fondiari nei terreni irrigui e nelle distese alluvionali tra il Tanaro e la Sesia avevano cercato di consolidare le loro tenute con accorpamenti. Nella località di collina la progressiva diminuzione di vigneti d’alta qualità contribuì all’estensione delle piccole proprietà.

Alcune annate sfavorevoli e le gravi devastazioni arrecate dopo il 1840 dal diffondersi della crittogama, rendendo inesigibili i canoni d’affitto e mettendo in crisi i contratti di mezzadria, avevano indotto alcuni proprietari a vendere parte dei loro poderi: se ne erano avvantaggiate quelle famiglie contadine che si accontentavano di colture vinicole più grossolane con filari intervallati a tratti coltivati a mais o cavoli e fagioli. Era così cresciuto il ceto dei piccoli possidenti.

Fra le categorie benestanti s’inserì una nuova schiera di proprietari fondiari che avevano fatto fortuna nel commercio, nelle professioni o al servizio dello Stato, che acquistavano appezzamenti di terra  sia a fini di prestigio sociale sia per accrescere il loro reddito, e davano i poderi in affitto a contadini e fattori.
Col tempo si era invertito in parecchie province il movimento migratorio di campagnoli verso le città, ed erano saliti gli indici di natalità. Tuttavia questo incremento numerico del ceto proprietario non vide - almeno all'inizio - la nascita di un'imprenditoria agricola davvero dinamica e attiva nell'introduzione di migliori colture e di tecniche più progredite.

Durante il periodo cavouriano erano state solo le vecchie famiglie dell’aristocrazia provinciale a gestire bene i loro affari e le loro terre con efficace spirito d’iniziativa per conservare le propria posizione sociale o migliorarla. Tra i proprietari borghesi non di estrazione rurale ( avvocati, notai, medici, speziali, geometri, misuratori ) c'era stata poca propensione ad accogliere le novità agronomiche. La rotazione quadriennale e l’impiego di più moderni attrezzi, avevano interessato solo aziende piemontesi poste tra la fascia asciutta e la collina. Il progresso delle tecniche più competitive assunse dimensioni importanti unicamente nella zona tra la Dora Baltea e il Ticino. Il fenomeno di maggior rilievo nelle campagne piemontesi era piuttosto l’ispessimento della proprietà terriera ai livelli più bassi. Nel corso dell’ultimo mezzo secolo non poche barriere alla mobilità e al libero commercio delle terre erano state abolite. Dopo le alienazioni di più consistenti quote di terre demaniali o confiscate al clero, il codice Albertino del 1848 e le leggi del 1855 avevano svincolato la proprietà immobiliare dai residui obblighi di natura feudale. Nel 1857 nuove norme avevano concesso agli enfiteuti la facoltà di riscatto per i fondi da essi coltivati. Questi provvedimenti contribuirono a liquidare tradizionali privilegi gentilizi e di corporazione religiose e a mettere progressivamente sul mercato rilevanti porzioni di terra.
Le proprietà migliori erano state appannaggio dei gruppi più abbienti della borghesia provinciale, una quota cospicua dei fondi posti all’asta era finita nondimeno nelle mani dei contadini e degli imprenditori agricoli più moderni. Ma anche diversi conduttori, cui era stata affidata una parte delle grandi proprietà aristocratiche non direttamente amministrate dalla nobiltà, erano riusciti a raggiungere una certa indipendenza con l’acquisto di qualche giornata di terra. Inoltre toccò agli artigiani e ai fabbricanti, per cui la terra rappresentava aspirazioni d’ascesa sociale tenacemente coltivate nel chiuso dell’ambiente famigliare.
 

Intorno alla metà del decennio cavouriano le casse di risparmio raccoglievano depositi di piccoli e medi proprietari. Nel 1871 si giungerà ad una prima rilevazione statistica per attività e categorie professionali, dopo i censimenti preunitari e si conterà in Piemonte un proprietario-coltivatore ogni sette abitanti (quasi il 15% dell'intera popolazione, tre volte tanto rispetto alla Lombardia ).

La cultura patriarcale e tradizionalista dei ceti contadini, le stesse norme che impedivano il matrimonio al disotto dei 25 anni senza il consenso paterno, l’usanza di coabitazione degli sposi con i genitori nella casa di questi ultimi, contribuivano a fare del mondo campagnolo un blocco compatto e chiuso, teso alla sopravvivenza, capace comunque di neutralizzare gli elementi d’instabilità legati al possesso di minuscoli appezzamenti di terra. Questa società trovava spesso in se stessa elementi di salvaguardia e di protezione ed era ancora scarsamente motivata ad intraprendere una vera rivoluzione agraria.
 


Fonti bibliografiche:
-  Valerio Castronovo, Storia delle regioni - Il Piemonte, Einaudi 1977;  pp. 12 - 17
 

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