Spazi metafisici di Giorgio De Chirico
“Schopenhauer e Nietzsche per primi insegnarono il profondo significato del non senso della vita e come tale non senso potesse venire tramutato in arte”. Quest'affermazione di De Chirico riassume una concezione dell'arte moderna fortemente innovatrice, di cui egli per primo in Italia fu portatore. Egli infranse la concezione estetica dell'arte figurativa, ricercando nuove forme espressive non necessariamente collegate alla congruità degli elementi della rappresentazione. La pittura metafisica in effetti assembla gli oggetti, li decontestualizza, li immerge in atmosfere e visioni mentali imprevedibili, quasi oniriche. Oltrepassando la soglia della pura visibilità ed attingendo all'enigmatica insensatezza delle correlazioni percettive, opera per associazioni stranianti ed emblematiche.
«Per
avere pensieri originali, straordinari, forse immortali è sufficiente
estraniarsi dal mondo e dalle cose per certi momenti, in modo così totale che
gli oggetti e i processi più ordinari appaiano assolutamente nuovi ed ignoti,
sicché in tal modo si dischiude la loro vera essenza. Quel che si
richiede qui non è qualcosa di difficile; ma non è assolutamente in nostro
potere ed è appunto il dominio del genio». (
Schopenhauer ) |
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Dino Campana "Canti orfici" (1913) La notte
"Ricordo una vecchia città, rossa di
mura e turrita, arsa sulla pianura sterminata nell'agosto torrido... Archi
enormemente vuoti di ponti sul fiume impaludato in magre stagnazioni
plumbee, sagome nere di zingari mobili e silenziose sulla riva.... ad un
tratto dal mezzo dell'acqua morta un canto..... |
G. De Chirico, Mistero e malinconia di una strada, 1914.
Nella prospettiva
difforme dei porticati ad archi la sagoma della bimba che gioca pare
schiacciata dal luogo, privo di manifestazioni di vita nell'ora
meridiana, immerso in un'atmosfera innaturale. Minacciosa si profila del
resto un'altra lunga ombra, che sembra fuoruscire dagli spazi oscuri
di destra, mentre a sinistra si staglia un'area ampiamente luminosa,
abbacinante che abbraccia la lunga costruzione biancastra. Assenze
e presenze larvali ed enigmatiche si fronteggiano. |
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Enigma di un pomeriggio d'autunno del 1910 nacque da una visione che De Chirico ebbe in un limpido pomeriggio d'autunno, in piazza S. Croce a Firenze. «... in un limpido pomeriggio autunnale ero seduto su una panca al centro di piazza Santa Croce a Firenze. Naturalmente non era la prima volta che vedevo quella piazza: ero uscito da una lunga e dolorosa malattia intestinale ed ero quasi in uno stato di morbida sensibilità. Tutto il mondo che mi circondava, finanche il marmo degli edifici e delle fontane, mi sembrava convalescente. Al centro della piazza si erge una statua di Dante, vestita di una lunga tunica, il quale tiene le sue opere strette al proprio corpo ed il capo coronato dall'alloro pensosamente reclinato... Il sole autunnale, caldo e forte, rischiarava la statua e la facciata della chiesa. Allora ebbi la strana impressione di guardare quelle cose per la prima volta, e la composizione del dipinto si rivelò all'occhio della mia mente. Ora, ogni volta che guardo questo quadro, rivedo ancora quel momento. Nondimeno il momento è un enigma per me, in quanto esso è inesplicabile. Mi piace anche chiamare enigma l'opera da esso derivata». Il momento della rivelazione coincide con il momento dell'attesa, della sospensione mentale, cercata attraverso il superamento della realtà fenomenica.
Anche in
Enigma di
un giorno, 1914
si rintracciano alcuni degli elementi strutturali che
caratterizzano la visione fiorentina. Si tratta di elementi che
popolano la scena urbana, ma che non appaiono verosimilmente congruenti gli
uni con gli altri.
I soliti alti porticati, che si restringono via via in ardua
fuga prospettica < in una prospettiva psicologica e non
geometrica, temporale più che spaziale >, fino a toccare un
confine unificante e periferico. Qui si stagliano le torri-ciminiere,
rossi baluardi umani, ambiziose e vane proiezioni verso l'infinito. Sullo
sfondo un cielo freddo, vuoto, siderale, esso stesso testimone
ed osservatore dell'assenza. In lontananza due esigue sagome umane,
parvenze larvali della storia e del tempo, mentre al centro campeggia la
statua declamante, reificazione della parola pietrificata, inutile
oggettivazione ed emblema di una memoria storica fittizia, che identifica
una nuova assenza di significato nell'esistenza. |
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