Clotilde Pontecorvo
Apprendere nei contesti -
http://www.alpcom.it/entasis/ipermedialab/pontecor.htm
• Bottega artigiana e laboratorio scientifico.
Come sviluppare questi contesti nuovi della
scuola? Come vedere la scuola in un contesto d'apprendimento, in cui almeno
i limiti ai quali abbiamo fatto riferimento possano essere superati? Per
sviluppare questi nuovi contesti e cambiare i vecchi in questi anni è
circolata la metafora dell'"apprendistato cognitivo", che mi sembra
produttiva.
In altri termini, è quella che vede l'allievo come un apprendista, il quale
è in un contesto in cui può imparare, apprendere in modo funzionale per
la presenza di un esperto, che sa come fare e che è in grado di guidarlo
a praticare le nuove competenze.
Questa metafora cognitivo mette in evidenza che le abilità e le
conoscenze si devono praticare in un contesto e che il
ruolo dell'esperto è quello di
offrire un modello di funzionamento, da imitare. Nello stesso
tempo è anche quello di
esercitare un monitoraggio dell'attività del non esperto, che
renda esplicito ciò che nel comportamento dell'esperto è implicito.
Questo è uno dei problemi: il competente spesso fa delle cose che non sono
esplicite e quindi il suo ruolo è, da un lato, sostenere il non esperto e,
dall'altro, mettere in evidenza quello che non è chiaro.
Penso, per esempio, alle
attività che in questa direzione sono state fatte per la comprensione
del testo, attività fondamentale nella scuola, in cui è risultato molto
importante che nella lettura e nella comprensione fossero evidenziate
dall'esperto le operazioni mentali che il non esperto deve fare: per
esempio quella di ricordare ciò che è stato appena detto perché è
funzionale a quello che si leggerà dopo, porsi delle domande significative,
chiarire i punti che sono oscuri, ricavarne l'essenziale. Si tratta di
operazioni mentali, ma possono anche essere esplicitate in
una situazione di gruppo, in una situazione interattiva.
Allora nella metafora dell'apprendistato cognitivo si presenta la
possibilità di
rendere la scuola un contesto di lavoro
intellettuale, un
contesto in cui si mettono in atto delle strategie con modalità di
scambio sociale. E' stato detto prima: una delle caratteristiche
negative della scuola attuale è che, pure essendo un contesto sociale, alla
fine tende a privilegiare il lavoro individuale.
Un altro modo per definire la scuola è invece quello di dire che è una
comunità di pratiche, di modi di fare, una comunità di apprendisti, una
comunità di docenti e discenti in cui c'è scambio, relazione. E' chiaro
che questa comunità di pratiche è più facile da realizzare ai primi livelli
della scolarità; e di fatto direi che nel nostro Paese è proprio questo lo
stile delle migliori scuole infantili, che per fortuna sono molte. E' anche
più facile da realizzare nella scuola elementare, anche se a volte ci si
dimentica questa possibilità, e forse non c'è abbastanza insistenza su
questa dimensione. Ma se si pensa ai modelli migliori che abbiamo nel nostro
Paese, come quelli di Mario Lodi e di Bruno Ciari, l'idea è
proprio quella di realizzare nella scuola delle comunità di pratiche
sociali. Questo è qualche cosa che mi sembra ancora da realizzare per
gli altri livelli scolastici e ci si potrebbe anche domandare perché. Ma io
credo che l'insistenza sui "programmi da svolgere" faccia dimenticare che il
problema non è ciò che si insegna ma ciò che si impara; e che la coerenza
tra queste due cose è centrale.
Dovremmo pensare a delle comunità di pratiche il cui modello da
riprodurre nelle scuole potrebbe essere quello delle
botteghe dell'arte e
dell'artigianato: "botteghe" ovviamente di nuovo come metafora.
Ma anche il modello del
"laboratorio scientifico", non certo quello che solo mostra una
conoscenza che è stata elaborata altrove, ma un laboratorio dove si può
agire e intervenire direttamente, come può essere un laboratorio di
lettura e di scrittura.
Intendo laboratori non solo come luoghi, ma soprattutto come
ambienti e, in modo particolare oggi, laboratori di produzione
tecnologica. Nell'esperienza della scuola in questi anni, vediamo che le
esperienze di uso attivo delle tecnologie rappresentano un'attività
estremamente motivante per i ragazzi, ma anche per i bambini.
Credo che questi debbano essere i riferimenti, con l'idea che ci debba
essere una molteplicità di luoghi sociali, in cui ciò che si fa abbia un
senso, abbia una finalizzazione, abbia anche un prodotto comunicabile e
in cui colui che impara possa in questo esercitare una sua autonomia.
Allora ci si può chiedere: ha senso ancora che la scuola, soprattutto la
media e la superiore, siano organizzate secondo la sequenza spazio temporale
della spiegazione e della interrogazione? Non è un residuo archeologico
di tempi precedenti? Che cosa si insegna e che cosa si apprende in questa
attività?
• La
possibilità di sbagliare.
Occorre pensare la scuola come una sede dove ci possono essere diverse
situazioni di interazione sociale, di scambio discorsivo: insegnanti
che lavorano insieme, piccoli gruppi di allievi, i grandi gruppi, il lavoro
individuale, come in un lavoro di ricerca.
Nel dire questo, credo che ci siano dei punti di forza dell'apprendere a
scuola che devono essere ancora valorizzati. E' la capacità che la
scuola dà al giovane di avere uno spazio per riflettere ed anche uno
"spazio per sbagliare", perché nella vita quotidiana non si può
sbagliare, ma nella scuola sì.
Non si corrono dei rischi a sbagliare nella scuola, perché ci si
sta esercitando. Ovviamente ci deve però essere
un lavoro mentale
condiviso: la discussione, l'interazione su degli oggetti, qualcosa
che consente lo scambio. Ma nello stesso tempo è essenziale che ci siano
gli oggetti, i testi, i problemi , i modelli, le leggi, i documenti: che
in ultima analisi ci si eserciti su qualche cosa che c'è. Che in tale
contesto ci sia un coinvolgimento più diretto con i referenti del
discorso scolastico, e non sempre tutto sia mediato al secondo ordine.
Pensare intorno a degli ambiti specifici: in questo la scuola ha la
possibilità di garantire un impegno esplicito nella costruzione dei
significati.
Nella scuola ci deve essere posto per leggere i giornali, per capire che
cosa è una legge, oggi. Io vorrei -ad esempio- che a scuola i ragazzi
vedessero che cosa è la finanziaria, che domina tre mesi della nostra vita
in ciascun anno. In questo caso, penso alla scuola superiore, che tiene
troppo i giovani in condizione di infantilismo, di dipendenza mentale, in
una situazione di minorità. Giovani che votano, in modo qualche volta anche
molto diverso dalle altre classi di età, ma che sono tenuti a scuola in una
situazione di minorità, pur essendo cittadini a pieno titolo.
La scuola non esaurisce tutti i modi dell'apprendere. Ha però questa
possibilità di fermarsi, di ragionare, di riflettere.
06/05/97
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Il ruolo dei mediatori e dei facilitatori didattici: mappe concettuali e
testuali.
L'articolo di Clotilde Pontecorvo estende
notevolmente il significato di modellamento, inserendo il concetto centrale
di apprendistato cognitivo in una accezione costruttivistica e
interazionale ( aula come bottega artigiana o laboratorio ) che non deve
allontanarci comunque dalla riflessione sui contesti didattici più tradizionali.
Se
pensiamo a molti momenti della vita scolastica, notiamo che la strategia
del modellamento è del tutto frequente. Quante volte l'insegnante di lingue
classiche o moderne si approssima alla lavagna per operare la riflessione su
un testo che è stato trascritto e che deve essere compreso, decodificato,
tradotto. Utilizzando la scrittura, con tratti grafici convenzionali,
visivamente modellizza la sua riflessione, la rappresenta
in procedure
gerarchicamente ordinate, la segmenta, la riproduce pubblicamente. La
riflessione sul testo è rallentata, proceduralizzata, per attivare la dovuta
consapevolezza metacognitiva legata al compito, che solo l'esperto riesce ad
esplicitare consapevolmente.
Nel modellamento al centro c'è sempre un'attività di
trasformazione, di ricodificazione, di ricomposizione di contenuti che tende
ad una produzione. Quando il docente-esperto si impegna nel compito di
modellamento è conscio di lavorare con uno strumento di mediazione ( il
testo ) che si situa tra la realtà esterna e la mente che lo interpreta accingendosi ad elaborare
modelli esplicativi o risolutivi ( della sua struttura interna ), prima di dar vita ad
una nuova testualità ( ricodificazione ) o ad una nuova produzione
argomentativa.
Sempre più spesso si sente il bisogno di operare
graficamente per visualizzare la traccia concettuale del
percorso intrapreso. L'impiego ormai allargato nelle classi di
mappe concettuali
, cognitive e testuali, di stemmi, di schemi grafici,
di tabelle e matrici concettuali.... testimonia lo sforzo concreto di
mediazione didattica, che si va sviluppando durante molte lezioni. La
destrutturazione di un testo letterario ad esempio può iniziare in
classe con gli alunni, sfruttando semplici modalità grafiche - che
hanno il vantaggio di essere prodotte in tempo reale contestualmente alla
lettura del passo. Tali bozze - sorta di articolazioni concettuali,
di tracce visive del lavoro interpretativo - che hanno consentito di
creare i campi semantici fondamentali del testo, vengono poi migliorate
al computer e quindi messe a disposizione degli studenti, anche sul web,
come facilitatori per ulteriori interventi. Dietro all'elaborazione di tali
strumenti grafici si nasconde il contributo attivo della classe, che quasi
sempre coopera costruttivamente allo sviluppo del percorso didattico.
Un esempio di mappa testuale è rintracciabile alla pagina web
http://www.valsesiascuole.it/crosior/db/dstverb.htm
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