Per preparare un intervento che favorisca la comunicazione assertiva in un
gruppo, occorre innanzitutto conoscere lo stile comunicativo dei suoi
vari membri. L'intervento sulle abilità comunicative (
training di assertività ), infatti, non può essere ridotto ad un
percorso standard nel quale ci si possa limitare ad illustrare una
tecnica facendola poi applicare. Nei precedenti articoli abbiamo indicato
alcuni strumenti per indagare la modalità comunicativa prevalente di ogni
componente del gruppo sul quale intervenire e mantenerne una traccia che
sarà utile per tutto il percorso formativo. Questo, però, non è che un
punto di partenza per facilitare la pianificazione di un percorso di
crescita interpersonale, percorso che dovrà essere comunque individuale,
basato perciò sulla personalità specifica e sulle inclinazioni del
singolo discente.
Gli
obiettivi: insegnare a capire quello che si vuole
Saper determinare quello che si vuole è
un'abilità tra le più preziose e spesso la più difficile da conseguire.
Forse nessuno, osiamo dire, ha acquisito questa capacità una volta per
tutte. In realtà non si può parlare della scelta come di un "saper fare"
unitario, ma appare più corretto vederla come un processo, molto
complesso, suddiviso in diverse fasi e in più sottoabilità. Cosa ci
serve per determinare un nostro percorso personale? Dobbiamo
sapere dove siamo, dove vogliamo andare, e, infine, come arrivare
dal punto in cui siamo al punto in cui vogliamo andare. Dal
punto di vista del problem solving, troviamo delle differenze
sostanziali tra la soluzione di un problema di questo tipo e quella di un
problema squisitamente cognitivo. Un problema cognitivo, quale ad
esempio la soluzione di un quesito matematico, infatti, ci pone fin
dall'inizio in possesso di determinate, sostanziali, informazioni.
Conosciamo già a priori due delle fasi di soluzione: dove siamo e come
dobbiamo procedere. Se il nostro compito è quello di sommare due numeri, ad
esempio 2 e 3, abbiamo in partenza gli elementi su cui operare (il dove
siamo), e il modo in cui farlo (il come dobbiamo procedere), in questo caso
l'addizione. L'unica incognita è il risultato, ma sappiamo che per arrivare
alla soluzione possiamo e dobbiamo operare attraverso quella, e soltanto
quella, procedura codificata e logicamente universale. Soprattutto
sappiamo che il luogo di arrivo è uno e uno soltanto.
Completamente diverso è il caso della soluzione di un problema
personale. Spesso ci troviamo nella condizione di non conoscere
nessuno dei tre elementi fondamentali di risoluzione. A complicare
enormemente le cose interviene il fatto che non esistono procedure
codificate, né una logica assolutamente valida sia caso per caso, sia, a
maggior ragione, a livello universale. Di un problema personale esistono
tante soluzioni quante sono le persone che si trovano ad affrontarlo e,
ancora, quella che per uno può essere una soluzione, per un altro può
rappresentare un aggravamento del problema.
L'educazione all'assertività trae la sua ragione di
esistere dall'assunto che possiamo migliorare la qualità della nostra vita
se ci troviamo nella condizione di manifestare i nostri desideri e le nostre
aspirazioni. Molte persone, però, in particolare quelle
anassertive, hanno serie difficoltà nel determinare cosa vogliono dalla loro
vita. La causa di questa situazione può essere ravvisata nel fatto che
spesso chi manca di assertività dimentica i propri desideri e si dedica a
soddisfare quasi esclusivamente quelli altrui.
Ora, applicando allo studente questo assunto, troviamo che l'educazione
assertiva può rappresentare un potente mezzo per far maturare il suo
atteggiamento riguardo alla scuola. Molti allievi, è inutile
nasconderlo, traggono la motivazione allo studio o dalla volontà di
compiacere i propri genitori, o semplicemente da una sorta di conformismo.
Non viene attuata una riflessione sul significato personale dello
stare a scuola. Spesso l'impegno formativo viene addirittura vissuto
come una costrizione esterna da subire passivamente. Noi crediamo che
una seria riflessione sui propri obiettivi di vita possa aiutare
l'allievo a collegare quello che fa a scuola con le sue personali, reali
aspirazioni. Pensiamo anche che un'attività di questo genere possa
contribuire non poco alla lotta contro la dispersione scolastica, un
fenomeno che origina spesso dallo scollamento tra
obiettivi personali del discente e attività
formativa seguita. Alcune persone, al contrario,
appaiono sicure nelle proprie scelte riuscendo a stabilire i propri
obiettivi e a capire le sensazioni relative a un problema specifico.
Differentemente dagli "indecisi", per loro è facile essere consapevoli e
puntare alla meta. Basta una breve riflessione e riescono a sbrogliare la
matassa.
Ma come si fa a sapere quello che si vuole? Tanto per iniziare si
può provare ad etichettare le sensazioni che si
provano: interesse, paura, rabbia, repulsione... sono molto
comuni, ma possono essere occultate o distorte dall'ansia o da altri
fattori che impediscono quell'autoconsapevolezza necessaria a sapere dove
siamo rispetto al problema. Dare un nome, verbalizzare questi stati
d'animo può aiutare a riappropriarci del potere
decisionale e dell'autodeterminazione.
Ancora più incisiva può essere l'azione del
comunicare il proprio smarrimento a coloro che ci sono vicini:
esprimere il disagio agli altri può rivelarsi spesso una preziosa quanto
insperata fonte di ispirazione. Parlare degli obiettivi in generale aiuta
a chiarire le sensazioni che si provano rispetto ai contesti particolari con
i quali bisogna confrontarsi.
E qui che si gioca il cambiamento: se non si arriva a definire degli
obiettivi o, meglio, dei sotto-obiettivi particolari, il ricorso alle
tecniche assertive può rivelarsi un effimero esercizio intellettuale.
Quando si cerca di definire gli obiettivi può accadere che alcuni di
questi siano in contrasto tra di loro. Ad esempio, il desiderio di
essere i buoni i rapporti con tutti i compagni può rivelarsi incompatibile
con la volontà di esprimere un'opinione impopolare. Esplorare a fondo i
propri obiettivi sarà il passo decisivo per determinare cosa esprimere e
come esprimerlo.
Una procedura per favorire la crescita personale
Il concetto di crescita personale trae origine dal lavoro di
Carl Rogers, ritenuto il padre della psicologia umanistica.
Secondo Rogers (1978), lo ricordiamo, l'uomo è
intrinsecamente indirizzato all'autosviluppo:
possiede già gli strumenti per utilizzare l'ambiente come fonte di
crescita. Di conseguenza, secondo questa premessa, i
problemi psicologici e/o esistenziali traggono la loro origine da fattori
che deviano o bloccano il normale percorso di crescita personale
dell'individuo. La conclusione operativa che ne risulta è che
l'intervento dello psicologo, dell'educatore, o,
più genericamente, "dell'helper " deve consistere nel facilitare quei
processi che riporteranno la persona a riprendere il suo naturale cammino di
crescita. Benché l'approccio umanistico di Rogers abbia
dimostrato e dimostri tuttora un indubbio fascino, suscitando grandi
entusiasmi, i critici, e gli stessi neorogersiani, hanno avvertito una certa
mancanza di concretezza nel modello.
Per soddisfare questa
esigenza di strumenti, autori di matrice comportamentista come Alberti
e Emmons (1999) hanno elaborato delle procedure che permettessero di
coniugare i principi rogersiani di facilitazione allo sviluppo umano con
la concretezza e la verificabilità del loro approccio. Attraverso questo
metodo è possibile crearsi una serie di obiettivi a breve, medio e lungo
termine che accompagnano il percorso verso l'assertività considerandolo come
un insieme di obiettivi da tradurre in azioni che porteranno la persona a
scoprire le proprie vere aspirazioni e a realizzarle gradualmente. Il
metodo che presentiamo si basa su sei passi, ovvero sei fattori da
esaminare:
1) fattori personali, 2) ideali, 3) fattibilità, 4)
flessibilità, 5) tempo e 6) priorità.
Le aree che compongono i
fattori personali sono essenzialmente cinque: le situazioni
che si ritengono facili o difficili da affrontare, i rapporti con le persone
importanti della propria vita, gli atteggiamenti, i pensieri e le
convinzioni riguardo all'esprimere se stessi, gli ostacoli alla propria
assertività, le abilità in riferimento al comportamento assertivo come,
ad esempio, essere capaci di sostenere lo sguardo altrui, il controllo del
volume della voce e della gestualità (per aiutarsi in questo compito si può
utilizzare la tabella 1).
Tab. 1 -
Repertorio dell'assertività a scuola.
Contrassegnare con una x le situazioni
problematiche sulle quali si intende lavorare.
|
1. Quando una
persona si comporta male con te, lo fai notare? |
ٱ |
2. Se non capisci una spiegazione in
classe, chiedi chiarimenti all'insegnante? |
ٱ |
3. Nelle discussioni in classe, dici la
tua opinione anche se è diversa da quella dei tuoi compagni? |
ٱ |
4. Se non ti trovi d'accordo con un
compagno, tendi ad arrabbiarti cercando di avere ragione a tutti i
costi? |
ٱ |
5. Sei capace di chiedere aiuto ai tuoi
compagni se ti trovi in difficoltà? |
ٱ |
6. Riesci a fare complimenti o a
congratularti con i tuoi compagni? |
ٱ |
7. Sai dire di no quando gli altri ti
chiedono un favore che non vuoi concedere? |
ٱ |
8. Ti capita di urlare o di fare il
prepotente per ottenere una cosa dagli altri? |
ٱ |
9. Riesci a guardare negli occhi gli
altri, quando parli con loro? |
ٱ |
10. Se durante la lezione qualcuno dà dei
colpi alla tua sedia, gli chiedi di smettere? |
ٱ |
Attraverso questi parametri
si possono stabilire già degli obiettivi personali, specialmente se
si sostituiscono alle varie voci elencate le esperienze personali che ci
sono accadute e che ci accadono tuttora. Risulterà, ad esempio, molto più
efficace riportare tra gli obiettivi, non riferimenti generici quali
"devo esprimere di più le mie emozioni", ma piuttosto formulazioni quali
"devo dire a Gino quanto apprezzo la sua amicizia".
Gli ideali
rappresentano
una spinta all'azione importante per chiunque, ma ancor più per gli
studenti. Capire quali sono i nostri modelli
ci aiuta a capire noi stessi e cosa vogliamo. Rispetto al
cammino verso l'assertività è importante scegliere dei modelli adeguati che
possano rappresentare ideali verso i quali tendere.
La fattibilità è
un fattore
cruciale per il progetto di cambiamento: fissare
obiettivi troppo alti vorrebbe dire aumentare la frustrazione, ridurre la
motivazione e bloccare l'azione produttiva che ci siamo ripromessi di
compiere. E importante andare per gradi e dividere gli obiettivi
più ambiziosi in tanti sotto-obiettivi.
Flessibilità
significa
riconoscere l'aspetto dinamico del processo di
cambiamento che ci proponiamo: può accadere di dover cambiare
uno o più obiettivi in itinere perché sono cambiate le condizioni
ambientali o siamo cambiati noi e il nostro modo di vedere le cose.
Dobbiamo in questo caso accettare l'idea che gli obiettivi non sono fissi e
immutabili, ma che evolveranno con noi e con il progredire della nostra
maturità.
Tempo.
Distribuire gli obiettivi nel tempo aiuta a stimare la durata del
processo di cambiamento e a non creare aspettative erronee. Si
può definire un elenco nel quale riportare le nostre mete a breve, medio e
lungo termine. Queste, come già affermato, dovranno essere formulate in
termini molto concreti (ad esempio: " riuscire ad esprimere il mio
disappunto davanti ad uno sgarbo").
L'assegnazione di priorità
porta ancora una volta a renderci conto delle
nostre aspirazioni più importanti. Possiamo elencare le mete
più urgenti e inderogabili assegnando ad esse degli stretti tempi di
realizzazione, così come possiamo riconoscere che non tutti i problemi da
affrontare sono di importanza vitale: qualcuno può essere anche rimandato se
ci accorgiamo, come spesso accade in questa fase, che non crea tutti i
disagi che pensavamo. Infine possiamo riesaminare attentamente tutti gli
obiettivi e i
sottoobiettivi,
eliminare quelli troppo ambiziosi e stabilire una prima data al termine
della quale verificarne il raggiungimento.
Bibliografía
ALBERTI R., EMMONS M.
(1999), Ne hai il diritto, Calderini Editore, Bologna.
ROGERS C. R. (1 97 8), Potere personale. La
forza interiore e il suo
effetto rivoluzionario,
Astrolabio, Roma.
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