Rimbaud - Il battello ebbro

Il battello ebbro

Poiché discendevo i Fiumi impassibili,
mi sentii non più guidato dai bardotti:
Pellirossa urlanti li avevan presi per bersaglio
e inchiodati nudi a pali variopinti. 

Ero indifferente a tutti gli equipaggi,
portatore di grano fiammingo e cotone inglese
Quándo coi miei bardotti finirono i clamori
i Fiumi mi lasciarono discendere dove volevo. 

Nei furiosi sciabordii delle maree
 l'altro inverno, più sordo d'un cervello di fanciullo,
 ho corso! E le Penisole salpate
 non subirono mai caos così trionfanti.

 


Gauguin, La costa di Porgastel, 1889

La tempesta ha benedetto i miei marittimi risvegli.
Più leggero d'un sughero ho danzato tra i flutti
che si dicono eterni involucri delle vittime,
per dieci notti, senza rimpiangere l'occhio insulso dei fari! 

Più dolce che ai fanciulli la polpa delle mele mature,
 l'acqua verde penetrò il mio scafo d'abete
 e dalle macchie di vini azzurrastri e di vomito
 mi lavò, disperdendo àncora e timone. 

E da allora mi sono immerso nel Poema
del Mare, infuso d'astri, e lattescente,
divorando i verdiazzurri dove, flottaglia
 pallida e rapida, un pensoso annegato talvolta discende;

dove, tingendo di colpo l'azzurrità, deliri
e lenti ritmi sotto il giorno rutilante,
più forti dell'alcol, più vasti delle nostre lire,
fermentano gli amari rossori dell'amore!


Monet, Scogli a Belle-Ile, 1886


Conosco i cieli che esplodono in lampi, e le trombe
e le risacche e le correnti: conosco la sera
e l'Alba esaltata come uno stormo di colombe,
e talvolta ho visto ciò che l'uomo crede di vedere! 

Ho visto il sole basso, macchiato di mistici orrori, illuminare lunghi filamenti di viola,
che parevano attori in antichi drammi,
i flutti scroscianti in lontananza i loro tremiti di persiane! 

Ho sognato la verde notte dalle nevi abbagliate,
 bacio che sale lento agli occhi dei mari,
 la circolazione di linfe inaudite,
e il giallo risveglio e blu dei fosfori cantori! [...] 

Ho visto fermentare enormi stagni, reti
dove marcisce tra i giunchi un Leviatano!
Crolli d'acque in mezzo alle bonacce
e in lontananza, cateratte verso il baratro!

 


H. Rousseau, Il sogno, 1910


Ghiacciai, soli d'argento, flutti di madreperla, cieli di brace!
E orrende secche al fondo di golfi bruni
dove serpi giganti divorati da cimici
cadono, da alberi tortuosi, con neri profumi! [...] 

Quasi fossi un'isola, sballottando sui miei bordi litigi
e sterco d'uccelli, urlatori dagli occhi biondi.
E vogavo, attraverso i miei fragili legami
gli annegati scendevano controcorrente a dormire! 

Io, perduto battello sotto i capelli delle anse
scagliato dall'uragano nell'etere senza uccelli,
io, di cui né Monitori né velieri Anseatici
avrebbero potuto mai ripescare l'ebbra carcassa d'acqua

 

libero, fumante, cinto di brume violette.
o che foravo il cielo rosseggiante come un muro
che porta, squisita confettura per buoni poeti,
i licheni del soie e i moccoli d'azzurro; 

io che correvo, macchiato da lunule elettriche,
legno folle, scortato da neri ippocampi,
quando luglio faceva crollare a frustate'
i cieli oltremarini dai vortici infuocati;

io che tremavo udendo gemere a cinquanta leghe
la foia dei Behemots e i densi Maelstroms,
filando eterno tra le blu immobilità,
io rimpiango l'Europa dai balconi antichi! 

Ho veduto siderali arcipelaghi! ed isole
i cui deliranti cieli sono aperti al vogatore:
E’ in queste notti senza fondo che tu dormi e ti esìli, milione d'uccelli d'oro, o futuro Vigore?

 

Ma è vero, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti.
Ogni luna è atroce ed ogni sole amaro:
l'acre amore m'ha gonfiato di stordenti torpori.
Oh, che esploda la mia chiglia! Che io vada a infrangermi nel mare!

Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera
nera e fredda dove verso il crepuscolo odoroso
un fanciullo inginocchiato e pieno di tristezza, lascia
un fragile battello come una farfalla di maggio. 

Non ne posso più, bagnato dai vostri languori, o onde,
di filare nella scia dei portatori di cotone,
né di fendere l'orgoglio di bandiere e fuochi,
e di nuotare sotto gli orrendi occhi dei pontoni.


 


La "teoria del veggente" esposta nella lettera a P. Demeny  trova in questo componimento la sua piena attuazione. Il poeta "ha visto", al di là di ciò che appare sulla superficie della realtà, l'inaudito e l'invisibile. Ciò che in questa poesia colpisce immediatamente è l'atmosfera onirica, caratterizzata in modo "forte" da due elementi fondamentali: l'uso del registro linguistico narrativo ("discendevo", "ero"); la successione non logico-sequenziale delle immagini, semplicemente esposte senza un'apparente soluzione di continuità. Questo è il modo in cui raccontiamo i sogni. Tale proprietà del testo simbolista accomunò all'epoca tutti i linguaggi artistici e va interpretata alla luce della nuova concezione della coscienza che tra 800 e 900 si impose sulla scena culturale europea.

Senza voler scendere nei particolari del discorso - un lavoro interpretativo di straordinaria difficoltà, sproporzionato ai nostri scopi - possiamo tuttavia annotare alcuni elementi di particolare importanza:

1)
 La cornice temporale è denotata dall'espressione «l'altro inverno» che, associata all'oscurità del contesto simbolico, assume una precisione che spiazza il lettore. La dimensione a-temporale della poesia lirica classica e romantica viene qui corretta verso una contestualizzazione cronologica che non dice nulla a chi legge. Una precisione dunque apparentemente inutile.  

2)
       La forma del discorso è quella "narrativa" dei sogni e la qualità degli eventi appare caoticamente ridondante. Il poeta immagina se stesso come un battello abbandonato alla corrente, e in questa forma egli discende «i Fiumi» (al plurale) verso «il Poema del Mare». Questa dimensione immaginativa è totalmente astratta, e apparentemente predispone a un discorso di tipo simbolico piuttosto tradizionale: l'acqua come simbolo di rigenerazione, il Fiume come entità sacrale predisposta al nutrimento e all'infinita rigenerazione e il mare come espressione dell'insondabilità del senso (il Poema).

 3) Le immagini simboliche secondarie, al contrario, rispondono allo scopo di destabilizzare definitivamente il lettore dalla serena contemplazione di un ambiente che pareva essergli familiare. La loro scelta, come si diceva, è totalmente gratuita e ingiustificata: decontestualizzata rispetto alla "cornice" iniziale. E tuttavia, esse appaiono estremamente "precise" e "vivide", nella loro concretezza materiale ("Pellerossa urlanti", "l'acqua verde", "le macchie di vini azzurrastri e di vomito", gli "enormi stagni, reti dove marcisce tra i giunchi un Leviatano", ec.). Questa contraddizione tra astrazione logica e precisione semantica è l'elemento forte della poesia simbolista: la spersonalizzazione della sensibilità. Con ciò si vuole indicare una ricerca tesa alla cura quasi fotografica del particolare, una volontà di concretezza che crea un enorme contrasto con l'irrazionale inafferrabilità dei contenuti. La sensibilità immaginativa è quindi privata di "realtà esperienziale", spersonalizzata: chi legge non riconosce più nulla - amore, dolore, passione - pur  di fronte all'estrema evidenza delle figure (la quantità di aggettivi e di colori utilizzati è una novità assoluta nell'ambito del linguaggio poetico), la stessa evidenza "improduttiva" della denotazione temporale.

tratto dalla pagina web

 http://www.soscuola.it/Simbolismo/testi/bativ.htm#Guida%20alla%20lettura

Concludendo. Questa poesia è fatta per creare uno choc in chi legge; non deve quindi preoccupare la sensazione, assolutamente giustificata, di "non capirci nulla". Ad una ulteriore riflessione, tuttavia, non deve sfuggire un fatto essenziale: la "cornice" è precisamente caratterizzata nei suoi elementi essenziali del viaggio emotivo e intellettuale lungo i fiumi della parola verso il mare della poesia, nei modi irrazionali e provocatori di un battello sciolto da ogni legame con la realtà. Questo viaggio è l'allegoria  del "viaggio nell'inconscio" che caratterizza gli intendimenti e i programmi filosofico-letterari di tutto il periodo simbolista. All'interno di tale ambito semantico, tutto il resto è un gioco poetico in cui ciò che conta è poi la forza dell'immagine e delle parole, prima e al di là di ogni contenuto filosofico o psicologico rigidamente inteso.
 

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