Pirandello - nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore - si misura
criticamente con alcune delle nuove problematiche
legate alla nascente società industriale italiana, che, nel primo
decennio del '900, vede mutare le forme di vita collettiva delle grandi
città. Le piazze sono attraversate delle
prime automobili che
contrastano con le vecchie e lente carrozzelle, mentre il
cinema si impone come
divertimento di massa.
Nel romanzo - costruito attorno ad una
labirintica trama, in cui tutti i numerosi personaggi vanamente
inseguono i loro obiettivi affettivi ed esistenziali - emerge
una tematica particolare, che riguarda
il ruolo delle macchine nella vita dell'uomo.
L'analisi di tale tematica ci permette di rintracciare la posizione
critica di Pirandello sul nuovo mondo industriale che va imponendosi: una
posizione che meglio puntualizza anche il suo concetto
di alienazione umana.
Nel Quaderno primo Serafino, parlando della sua mansione di
operatore, già indica la passività estraniata del suo
lavoro ( Ah, si lavora! E io - modestamente - sono uno degli
impiegati a questi lavori per lo svago. Sono operatore. Ma veramente, essere
operatore, nel mondo in cui vivo e di cui vivo, non
vuol mica dire operare....). La macchina da presa ha il
compito di rifare le vane mosse della vita, creando lo spettacolo
dell'esistenza, per un pubblico che vuole illudersi di vivere la sua
parte anche sullo schermo. Ma - dice Pirandello - la
finzione cinematografica è del tutto falsa e fragile,
poiché si basa sull'altrettanto falso movimentarsi dei
ruoli sociali, sulla replicazione dell'azione e non invece sull'analisi
della parola ( come opera invece l'unica vera arte illuminante: il
teatro ).
Tanto è povero e falso l'intrattenimento cinematografico, che
l'uomo non vi ha quasi parte attiva;
l'operatore non ha che mansioni ripetitive, si limita ad annotare i tempi
delle riprese ed i metri di pellicola necessari e poi non è null'altro che
una mano che - indolente ed estraniata - gira una manovella.
La vita talvolta si prende la sua rivincita sullo
spettacolo, facendolo precipitare in tragedia, come avverrà nella
parte finale del romanzo.
Se il concetto di inettitudine
vale dunque per il personaggio pirandelliano di
Serafino Gubbio, esso si può sintetizzare nell'alienata
impotenza dell'uomo di fronte al potere frastornante e non liberante
della macchina. Il nuovo mondo industriale (
esaltato dai Futuristi ) si muove
attorno al movimento ed alla velocità di mille sorpendenti meccanismi,
che tendono a stordire, ricreando un nuovo immaginario. Pirandello si limita
a denunciare il potere spersonalizzante e falsamente straniante di tali
strumenti: il suo è un elogio
della lentezza, dei ritmi quieti di esistenze ripiegate su se stesse e
ancora sensibili ai vecchi valori, mentre è critico di fronte ai ritmi
caotici ed insensati delle nuove città. Serafino dice nel Quaderno
primo: ....mi
domando se veramente tutto questo fragoroso e
vertiginoso meccanismo della vita, che di giorno in giorno sempre più si
complica e s'accelera, non abbia ridotto l'umanità in tale stato di follia.
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Quaderni di Serafino Gubbio
operatore ( 1915 )
Quaderno primo
Studio la gente nelle sue più
ordinarie occupazioni, se mi riesca di scoprire
negli altri quello che manca a me per ogni cosa
ch'io faccia: la certezza che capiscano ciò che
fanno.
In prima, si, mi sembra che molti l'abbiano, dal modo come tra loro si
guardano e si salutano, correndo di qua, di là, dietro alle loro faccende o
ai loro capricci. Ma poi, se mi fermo a guardarli un po' addentro negli
occhi con questi miei occhi intenti e silenziosi, ecco che subito
s'adombrano. Taluni anzi si smarriscono in una perplessità così inquieta,
che se per poco io seguitassi a scrutarli, m'ingiurierebbero o
m'aggredirebbero.
No, via, tranquilli. Mi basta
questo: sapere, signori, che non è chiaro né certo neanche a voi neppur quel
poco che vi viene a mano a mano determinato dalle consuetissime condizioni
in cui vivete. C'è un oltre in tutto. Voi non volete o non
sapete vederlo. Ma appena appena quest'oltre baleni negli occhi d'un ozioso
come me, che si metta a osservarvi, ecco, vi smarrite, vi turbate o
irritate.
Conosco anch'io il congegno esterno, vorrei dir
meccanico della vita che fragorosamente e vertiginosamente ci affaccenda
senza requie. Oggi, così e così; questo e quest'altro da fare;
correre qua, con l'orologio alla mano, per essere in tempo là. - No, caro,
grazie: non posso! - Ah si, davvero? Beato te! Debbo scappare... - Alle
undici, la colazione. - Il giornale, la borsa, l'ufficio, la scuola... - Bel
tempo, peccato! Ma gli affari... Chi passa? Ah, un carro funebre... Un
saluto, di corsa, a chi se n'è andato. - La bottega, la fabbrica, il
tribunale...
Nessuno ha tempo o modo
d'arrestarsi un momento a considerare, se quel che vede fare agli altri,
quel che lui stesso fa, sia veramente ciò che sopratutto gli convenga, ciò
che gli possa dare quella certezza vera, nella quale solamente potrebbe
trovar riposo.
Il riposo che ci è dato dopo tanto fragore e tanta
vertigine è gravato da tale stanchezza, intronato da tanto stordimento, che
non ci è più possibile raccoglierci un minuto a pensare. Con
una mano ci teniamo la testa, con l'altra facciamo un gesto da ubriachi.
Svaghiamoci!
Sì. Più faticosi e complicati del lavoro troviamo gli
svaghi che ci si offrono; sicché dal riposo non otteniamo altro che
un accrescimento di stanchezza.
Guardo per via le donne, come vestono, come camminano, i cappelli che
portano in capo; gli uomini, le arie che hanno o che si dànno; ne ascolto i
discorsi, i propositi; e in certi momenti mi sembra così impossibile credere
alla realtà di quanto vedo e sento, che non potendo d'altra parte credere
che tutti facciano per ischerzo,
mi domando se veramente tutto questo
fragoroso e vertiginoso meccanismo della vita, che di giorno in giorno
sempre più si complica e s'accelera, non abbia ridotto l'umanità in tale
stato di follia, che presto proromperà frenetica a sconvolgere e a
distruggere tutto. Sarebbe forse, in fin de' conti, tanto di
guadagnato. Non per altro, badiamo: per fare una volta tanto punto e
daccapo.
Qua da noi non siamo ancora arrivati ad assistere allo
spettacolo, che dicono frequente in America, di uomini che a mezzo d'una
qualche faccenda, fra il tumulto della vita, traboccano giù, fulminati. Ma
forse, Dio ajutando, ci arriveremo presto. So che tante cose si preparano.
Ah, si lavora!
E io - modestamente - sono uno degli impiegati a questi lavori per lo
svago.
Sono operatore. Ma veramente, essere operatore, nel mondo in cui vivo e di
cui vivo, non vuol mica dire
operare.
lo non opero nulla.
Ecco qua. Colloco sul
treppiedi a gambe rientranti la mia macchinetta. Uno o due apparatori,
secondo le mie indicazioni, tracciano sul tappeto o su la piattaforma con
una lunga pertica e un lapis turchino i limiti entro i quali gli attori
debbono muoversi per tenere in fuoco la scena.
Questo si chiama segnare il campo.
Lo segnano gli altri; non io:
io non
faccio altro che prestare i miei occhi alla macchinetta perché possa
indicare fin dove arriva a prendere.
Apparecchiata la scena, il direttore vi dispone gli attori e
suggerisce loro l'azione da svolgere.
lo domando al direttore:
- Quanti metri?
Il direttore, secondo la lunghezza della scena, mi dice approssimativamente
il numero dei metri di pellicola che abbisognano, poi grida agli attori:
- Attenti, si gira!
E io mi metto a girar la manovella.
Potrei farmi l'illusione che,
girando la manovella, faccia muover io quegli attori, press'a poco
come un sonatore d'organetto fa la sonata girando il manubrio.
Ma non mi faccio né questa né altra
illusione, e séguito a girare finché la scena non è compiuta;
poi guardo nella macchinetta e annunzio al direttore:
- Diciotto metri, - oppure: - trentacinque.
E tutto è qui.
Un signore, venuto a curiosare, una volta mi domandò:
- Scusi, non
si è trovato ancor modo di far girare la macchinetta da sé?
Vedo ancora la faccia di questo signore: gracile, pallida, con radi capelli
biondi; occhi cilestri, arguti; barbetta a punta, gialliccia, sotto la quale
si nascondeva un sorrisetto, che voleva parer timido e cortese, ma era
malizioso. Perché con quella domanda voleva dirmi:
"Siete proprio
necessario voi? Che cosa siete voi? Una mano che gira la manovella.
Non si potrebbe fare a meno di questa mano? Non potreste esser soppresso,
sostituito da un qualche meccanismo.
Sorrisi e risposi:
Forse col tempo, signore. A dir vero,
la qualità precipua che si richiede
in uno che faccia la mia professione è l'impassibilità di fronte
all'azione che si svolge davanti alla macchina. Un meccanismo, per questo
riguardo, sarebbe senza dubbio più adatto e da preferire a un uomo.
Ma la difficoltà più grave, per ora, è questa: trovare un meccanismo, che
possa regolare il movimento secondo l'azione che si svolge davanti alla
macchina. Giacché io, caro signore, non giro sempre
allo stesso modo la manovella, ma ora più presto ora più piano, secondo il
bisogno. Non dubito però, che col tempo - sissignore - si arriverà a
sopprimerli. La macchinetta - anche questa
macchinetta, come tante altre macchinette girerà da sé.
Ma che cosa poi farà l'uomo quando
tutte le macchinette gireranno da sé, questo, caro signore, resta ancora da
vedere.
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Quaderni di Serafino Gubbio operatore
traccia narrativa
Serafino, ancora studente, frequenta la vecchia casa di Sorrento di nonna
Rosa. Qui conosce Giorgio Mirelli, il nipote, e la sorella Duccella.
Giorgio
diventerà pittore e si innamorerà vanamente di un'attrice russa, la Nestoroff, che lo tradirà con il nobile
Aldo Nuti, a sua volta legato a
Duccella. Giorgio si suicida per la sua passione andata delusa.
Duccella e
Nonna Rosa vivono da allora nel dolore. Duccella non sa perdonare il
Nuti.
Serafino ricorda con amarezza la sorte dell'amico Giorgio.
La Nestoroff lavora presso la casa
cinematografica Kosmograph, presso cui Serafino è operatore. E' unita
ora a Carlo Ferro, un tipo energico ed autoritario, che ambiguamente la lega
a sè. Aldo Nuti giunge alla casa cinematografica, per riconquistare la
Nestoroff . Egli è vittima di una grave crisi depressiva perché in realtà
vorrebbe riavere l'amore di Duccella, che ora invece lo disprezza.
Serafino osserva nel suo ruolo privilegiato questi
drammi, ma è segretamente coinvolto. Prova pietà per il Nuti e
vorrebbe aiutarlo. Si inserisce a questo punto della vicenda la giovane
Luisetta (aspirante attrice ) che nutre pietà e anche amore ( non corrisosto)
per il Nuti. A sua volta Serafino soffre per Luisetta che segretamente ama.
Il Nuti accetta di interpretare un ruolo
pericoloso che sarebbe spettato al Ferro: dovrà uccidere una tigre sul set
cinematografico.
Nella scena finale del film tuttavia, invece di uccidere la tigre, egli
uccide la Nestoroff per vendicarsi della sua insensibilità verso gli uomini e per
gelosia. Rimane però ucciso, sbranato dalla stessa tigre.
Serafino, che sta filmando la scena, per lo shock,
diviene muto e rinuncia ad ogni forma di sentimento e di comunicazione.
Continuerà solo a svolgere il suo ruolo di operatore e rinuncerà
anche all'amore per Luisetta.
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