G. Pascoli - La sera come momento ambiguo di vitalità panica della natura e di pulsione di morte - Il gelsomino notturno - L'assiuolo


Le atmosfere notturne sono decisamente privilegiate dalla sensibilità poetica di Giovanni Pascoli, in quanto racchiudono le voci ed i segni più misteriosi della natura. La notte racchiude nel suo seno e rende evidente l'altrimenti impercettibile presenza di piccoli esseri, di suoni, di fragranze, di fremiti indefinibili, che divengono per il poeta altrettanti echi simbolici - attraenti ed inquietanti allo stesso tempo - capaci di creare tensione emotiva e significatività al messaggio poetico pascoliano. L'incombere - opprimente e suadente - della memoria dei propri cari defunti, si moltiplica in mille forme imprevedibili nelle turbate atmosfere notturne.

La poesia “Il gelsomino notturno” fu composta da G. Pascoli, dopo lunga gestazione e tormentata vicenda di varianti, per le nozze dell’amico Raffaele Briganti. In essa è adombrato il tema dell’unione dei due sposi e del conseguente germogliare di una nuova vita dalla loro unione.
 


Il gelsomino notturno 



E s'aprono i fiori notturni, 
nell'ora che penso a' miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari. 
Da un pezzo si tacquero i gridi: 
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l'ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala
l'odore di fragole rosse. 
Splende un lume là nella sala.
Nasce l'erba sopra le fosse.
Un'ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l'aia azzurra 
va col suo pigolio di stelle.
Per tutta la notte s'esala
l'odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s'è spento . . .
È l'alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l'urna molle e segreta,
non so che felicità nuova. 







 

I gelsomini notturni, detti anche “le belle di notte”, aprono i loro fiori al calar della sera quando il poeta rivolge il pensiero ai suoi morti. Anche le farfalle del crepuscolo iniziano il loro volo nelle ore della notte tra i viburni, altrimenti detti “palloni di neve”, perché fiori bianchi di forma sferica.

Tutto tace: insieme alla notte è calato il silenzio: solo in una casa ancora si veglia: i rumori sommessi, che ne provengono, non turbano la pace notturna, paiono un bisbiglio di voci. Nel nido i piccoli dormono sotto le ali della madre.

Dai calici aperti dei fiori di gelsomino esala un profumo che  fa pensare all’odore di fragole rosse. Mentre nella casa palpita ancora la vita e una luce splende nella sala, l’erba cresce sulle fosse dei morti.

Un’ape, che si è attardata nel volo, trova tutte occupate le cellette del suo alveare. La costellazione delle Pleiadi risplende nel cielo azzurro e il tremolio della sua luce richiama alla mente l’immagine di una piccola chioccia circondata dai suoi pulcini, intenti a pigolare.

Per tutta la notte esala il profumo dei gelsomini che il vento porta via con sé. La luce accesa nella casa  sale su per la scala, brilla al primo piano e si spegne . E’ chiara l’allusione agli sposi che si uniscono nell’oscurità.

Al sopraggiungere dell’alba si chiudono i petali e il fiore “cova” “nell’urna molle e segreta” “non so che felicità nuova”. Il poeta allude al germogliare di una nuova vita nel grembo della sposa, ora madre.


Il poeta, immerso in un’atmosfera di trepidazione e indefinibile smarrimento coglie il mistero che palpita nelle piccole cose della natura. Si accorge che nella notte, quando tutto intorno è pace e silenzio, vi sono fiori che si aprono e farfalle che volano. Una vita inizia quando la vita consueta cessa. L’ora della vita notturna è anche un’ora di malinconia per il poeta che pensa ai suoi morti. Il buio avvolge le cose in un profondo silenzio, cui si contrappone il misterioso agitarsi della vita “là” nella casa: Il bisbiglio desta fascino e curiosità: “è indice di una presenza umana che si accorda con l’atmosfera di arcani silenzi e di attese inespresse”

Nei versi successivi appare l’immagine dei nidi in cui i piccoli dormono sotto le ali della madre. Affiora l’idea rassicurante del nido come rifigio sicuro, tema caro al poeta.  La musicalità dei versi crea un’eco suggestiva, un’atmosfera sospesa, incantata, di seduzione, di fascino, di veglia, contrapposta al torpore e al sonno.

Nella sinestesia “l’odore di fragole rosse”, in cui il profumo, una percezione olfattiva, sembra acuito dal colore rosso delle fragole, percezione visiva, è evidente il tema dell’attrazione, della tentazione sensuale che si accosta, nei versi successivi, al risplendere della luce nella sala, alla curiosità per la vicenda degli sposi. Ma su tutto si diffonde un senso di mistero per il compenetrarsi inesplicabile di vita e morte: “nasce l’erba sopra le fosse”.

L’ape, che, essendosi attardata, trova già prese le celle del suo alveare, potrebbe allora tradurre in immagine il senso di esclusione che il poeta, incuriosito dall’eros, avverte rispetto alla propria famiglia di origine. Ma subito ricompaiono immagini apparentemente rassicuranti del nido. Le Pleiadi nel cielo appaiono per un procedimento analogico come una chioccetta, che in un’aia si trascina dietro la covata dei suoi pulcini e il pigolio potrebbe offrirsi come una sinestesia che trasferisce nella percezione uditiva la percezione visiva del tremolio della luce stellare.

All’intenso odore del fiore che passa col vento si accompagna il salire della luce lungo la scala e il suo spegnersi al primo piano con i puntini di sospensione che seguono e alludono al congiungersi degli sposi, ma soprattutto al mistero della vita che continua a palpitare nel buio.

La lirica si chiude nuovamente con un ossimoro: “E’ l’alba”, il momento del risveglio, e “si chiudono i petali un poco gualciti. “Nell’urna molle e segreta”, che simbolicamente rappresenta il grembo della madre, si dischiude una nuova vita, si cova “non so che felicità nuova”. “

E’ qui il segreto della liricanel miracolo notturno della gestazione di una nuova vita. Un altro gelsomino si apre e, come l’erba silenziosa sopra le fosse, va segretamente dal nulla verso la rinnovata fertilità. In quel dolce silenzio, in quell’ombra profumata dalla passione del fiore, quando l’ultimo lume è spento nella casa, forse comincia a germinare, anche nel grembo della madre, un nuovo essere, capace di arrecare una sconosciuta felicità.
 

L'assiuolo 


Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:

chiù...

Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:

chiù...

Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?...);
e c’era quel pianto di morte...

chiù...
 


Van Gogh, Cipressi


L'assiuolo è un rapace notturno ( in Toscana detto popolarmente "chiù" per il verso che emette) spesso presente nella poesia di Pascoli e generalmente sentito, come d'altra parte nella tradizione popolare, quale simbolo di tristezza e di morte. Il suo verso inquietante scandisce la lirica e via via si carica di valenze simboliche: dall'iniziale "voce dai campi" diventa "singulto" e infine "pianto di morte". Osservazioni di Cesare Pianciola: "Siamo alle soglie dell'alba, un'alba di luna, e il lugubre grido dell'assiuolo, annunciatore di morte nella credenza popolare, agisce probabilmente nella semincoscienza del dormiveglia e suscita una serie di immagini inquietanti, tutte più o meno riferibili alla realtà, ma travolte nella loro essenza e nel loro ordinamento sintattico da un forte vento d'angoscia. E i versi che nascono su un materiale così poco coordinato come quello onirico, svolgono un discorso per elementi staccati, non logicamente dipendente, secondo una sintassi franta, a blocchi giustapposti". La lirica, pubblicata prima sul "Marzocco" nel 1897, fu inclusa nella quarta edizione di Myricae (1903).

 

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