La vana speranza di riscatto del popolo italiano
A. Manzoni - Adelchi -
Coro Atto III

Anche se le convenzioni del genere tragico impongono allo scrittore di trattare le vicende dei grandi uomini della storia (Carlo Magno,Desiderio, Adelchi), all’interno del coro, riservato alle proprie riflessioni sul senso degli eventi, Manzoni può parlare della sorte degli umili, di quella massa ignorata dalla storia ufficiale, che vive i dolorosi drammi della guerra.

Il coro dell’atto III, della tragedia Adelchi, ci parla del momento in cui i Franchi, invaso il territorio italiano, stanno incalzando il popolo longobardo. In esso si possono riconoscere tre momenti diversi:

- all’inizio viene descritto il risveglio del popolo latino al rumore della battaglia tra Franchi e Longobardi. Manzoni lo definisce volgo disperso perché privo di unità e coscienza nazionale. Gli italiani, umiliati dalla schiavitù, animati dall’antico orgoglio della civiltà romana (spregio sofferto /misero orgoglio), sperano nella libertà (e sogna la fine del duro servir), vengono descritti con aggettivi che richiamano un senso di inquietudine,  riproponendo dubbi e speranze ormai noti (guardi dubbiosi, pavidi volti, s’aduna voglioso, si sperde tremante).

- Nella parte centrale si descrive l’umiliazione e lo sgomento del popolo longobardo in fuga. Le donne turbate osservano i figli minacciati. I Longobardi fuggono di fronte al nemico come fiere braccate e tremanti (quai trepide fere) facendo pensare ad una reazione quasi animalesca alla loro paura (fulve criniere, covo).

- Infine i Franchi sono descritti lontani dalla loro terra di Francia, coinvolti nei pericoli della battaglie e nostalgicamente legati agli affetti legati in patria. Sono rimasti padroni del campo di battaglia e come cani sguinzagliati danno la caccia ai Longobardi dispersi per impedir loro la fuga.

- Gli ultimi due versi chiudono il coro con un’interrogazione retorica che si rivolge sia al popolo latino sia al popolo italiano contemporaneo: pensate voi forse che costoro abbiano affrontato una dura battaglia per risollevare le sorti di un popolo straniero?

All’interno del coro la guerra viene vista sotto tre propsettive diverse. I Latini vivono la guerra come sperata liberazione dalla schiavitù imposta dai vecchi dominatori dell’Italia, i Longobardi, ormai sconfitti, sono impauriti e timorosi della vendetta dei vincitori, mentre i guerrieri Franchi la vedono come una dolorosa fatica nell'allontanamento dalla propria terra, dai loro affetti e dalla patria natia. Emerge dunque la realtà negativa di uno scontro destinato a non soddisfare le ambizioni di nessuno dei tre popoli.
 



La morte di Adelchi alla presenza di Desiderio re dei Longobardi, sconfitto da Carlo.
Rappresentazione teatrale del 1960

 

Dagli atrii muscosi, dai fori cadenti,
Dai boschi, dall'arse fucine stridenti,
Dai solchi bagnati di servo sudor,
Un volgo disperso repente si desta;
Intende l'orecchio, solleva la testa
Percosso da novo crescente romor.
Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
Qual raggio di sole da nuvoli folti,
Traluce de' padri la fiera virtù:
Ne' guardi, ne' volti, confuso ed incerto
Si mesce e discorda lo spregio sofferto
Col misero orgoglio d'un tempo che fu.
S'aduna voglioso, si sperde tremante,
Per torti sentieri, con passo vagante,
Fra tema e desire, s'avanza e ristà;
E adocchia e rimira scorata e confusa
De' crudi signori la turba diffusa,
Che fugge dai brandi, che sosta non ha.

Ansanti li vede, quai trepide fere,
Irsuti per tema le fulve criniere,
Le note latebre del covo cercar;

E quivi, deposta l'usata minaccia,
Le donne superbe, con pallida faccia,
I figli pensosi pensose guatar.
E sopra i fuggenti, con avido brando,
Quai cani disciolti, correndo, frugando,
Da ritta, da manca, guerrieri venir:
Li vede, e rapito d'ignoto contento,
Con l'agile speme precorre l'evento,
E sogna la fine del duro servir.

Udite! Quei forti che tengono il campo,
Che ai vostri tiranni precludon lo scampo,
Son giunti da lunge, per aspri sentier:
Sospeser le gioie dei prandi festosi,
Assursero in fretta dai blandi riposi,
Chiamati repente da squillo guerrier.
Lasciar nelle sale del tetto natio
Le donne accorate, tornanti all'addio,
A preghi e consigli che il pianto troncò:
Han carca la fronte de' pesti cimieri,
Han poste le selle sui bruni corsieri,
Volaron sul ponte che cupo sonò.

A torme, di terra passarono in terra,
Cantando giulive canzoni di guerra,
Ma i dolci castelli pensando nel cor:

Per valli petrose, per balzi dirotti,
Vegliaron nell'arme le gelide notti,
Membrando i fidati colloqui d'amor.
Gli oscuri perigli di stanze incresciose,
Per greppi senz'orma le corse affannose,
Il rigido impero, le fami durâr;
Si vider le lance calate sui petti,
A canto agli scudi, rasente agli elmetti,
Udiron le frecce fischiando volar.
E il premio sperato, promesso a quei forti,
Sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
D'un volgo straniero por fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe ruine,
All'opere imbelli dell'arse officine,
Ai solchi bagnati di servo sudor.
Il forte si mesce col vinto nemico,
Col novo signore rimane l'antico;
L'un popolo e l'altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D'un volgo disperso che nome non ha.
 

 

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