Il chiarore lunare è fissità, luminosità pervasiva e
bellezza struggente della natura, poiché in piena notte ridona alla terra la
suggestione della luce . Il giovane Leopardi, attento osservatore di
queste atmosfere, non può che esserne estasiato,
intenerito fino alle lacrime. La notte infatti, con la sua
quiete, rasserenante e fascinosa, pare invitare ad un
dialogo intimo con la Natura, pare suggerire un rapporto di pienezza
tra l'uomo e le cose altrimenti negato. Leopardi vive questo momento
particolarmente intenso della sua sensibilità come idillio, cioè come
avventura storica dell'animo, confrontandolo con un altra situazione
emotivamente simile. Il confronto è capace di chiarire
le ragioni del persistere della speranza negli adolescenti davanti a
spettacoli di intensa bellezza, che suggeriscono un'attesa, seppur vaga ed
indistinta, di possibile futura felicità.
L'idillio fu composto a Recanati nel 1819 e pubblicato prima nel "Nuovo Ricoglitore" e poi, con il titolo La ricordanza, nell'edizione
bolognese dei Versi del 1826. Nell'edizione fiorentina del 1831 fu
pubblicato con il titolo attuale.
A distanza di un anno il poeta
torna a contemplare la luna che pende sul monte Tabor e
la notte lunare rinnova la stessa sensazione di
commozione di fronte alla natura, provata nella
passata circostanza. Anche allora
la sagoma della luna, il suo volto diafano gli appariva “nebuloso e tremulo”
per le lacrime che gli
sgorgavano dagli occhi, perché la vita per lui era “travagliosa”,
segnata dal dolore come purtroppo è anche ora. Eppure il ricordo del
passato, pur nel permanere della sofferenza, gli è di conforto, anche se si
accompagna a sensazioni tristi e anche se l’affanno esistenziale ancora dura.
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G. Leopardi, Alla luna |
O graziosa
luna, io mi rammento
che, or volge l'anno, sovra questo colle
io venia pien d'angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva |
O delicata luna, richiamo alla mente
che ora si compie un anno su questo colle
da quando io venivo , pieno di angoscia a osservarti:
e tu sovrastavi quel bosco
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siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
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come fai
ora, che lo rischiari interamente.
Ma, a causa del pianto che mi segnava gli occhi,
incerto e sfocato
mi appariva il tuo volto, che piena di affanni |
era mia
vita: ed è, né cangia stile,
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l'etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
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era la mia
vita. E lo è anche oggi, né muta stile
o mia cara luna. Eppure mi piace
il ricordo, e il richiamare alla mente il tempo
del mio dolore. Oh come si presenta gradito |
nel tempo
giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l'affanno duri! |
nell'età giovanile, il ricordo delle cose passate,
quando la speranza ha ancora dinanzi a sè un lungo percorso e la
memoria dietro di sé un percorso breve,
anche se il ricordo è triste e l'affanno del passato dura ancora nel
presente.
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Schema grafico esemplificativo dell'idillio
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Il poeta, osservando commosso la luce lunare
( presente ),
intesa come muta interlocutrice alla sua vita infelice (
passata e presente ),
prova malinconia ed insieme una vaga
nostalgia del tempo passato,
per lui altrettanto tormentoso.
Il
ricordo - sebbene sia triste e doloroso - gli è comunque di conforto in quanto è sostenuto da una naturale ed indistinta
speranza nel
futuro,
in uno spazio temporale infinitamente dilatato in avanti
nell'immaginazione adolescenziale e giovanile.
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