Roma e Recanati: due contesti diversi di vita
nell'epistolario di G. Leopardi.

Alcuni giudizi negativi su Recanati
dalla lettera a Pietro Giordani del 20 aprile 1817
 

(...) Ma che crede Ella mai? Che la Marca e 'l mezzogiorno dello Stato Romano sia come la Romagna e 'l settentrione d'Italia? Costì il nome di letteratura si sente spessissimo: costì giornali accademie conversazioni librai in grandissimo numero. I Signori leggono un poco. L'ignoranza è nel volgo, il quale se no, non sarebbe più volgo: ma moltissimi s'ingegnano di studiare, moltissimi si credono poeti filosofi che so io. Sono tutt'altro ma pure vorrebbero esserlo. Quasi tutti si tengono buoni a dar giudizio sopra le cose di letteratura. Le matte sentenze che profferiscono svegliano l'emulazione fanno disputare parlare ridere sopra gli studi. Un grande ingegno si fa largo; v'è chi l'ammira e lo stima v'è chi l'invidia e vorrebbe deprimerlo, v'è una turba da' loco e conosce il darlo. Costì il promuovere la letteratura è opera utile, il regnare con l'ingegno è scopo di bella ambizione.
Qui, amabilissimo signor mio, tutto è morte, tutto è insensataggine e stupidità. Si meravigliano i forestieri di questo silenzio, di questo sonno universale. Letteratura è vocabolo inudito. I nomi del Parini, dell'Alfieri, del Monti, e del Tasso, e dell'Ariosto e di tutti gli altri han bisogno di commento. Non c'è uno che si curi di essere qualche cosa, non c'è uno a cui il nome di ignorante paia strano. Se lo danno sinceramente e sanno di dire il vero. Crede Ella che un grande ingegno sarebbe apprezzato? Come la gemma nel letamaio.
 


Il borgo di Recanati


 
Ella ha detto benissimo che gli studi come più sono rari meno si stimano perchè meno se ne conosce il valore. Così appuntino accade in Recanati. E in queste provincie dove l'ingegno non si conta fra i doni della natura. Io non sono certo una gran cosa: ma tuttavia ho qualche amico in Milano, fo venire i Giornali, ordino libri, fo stampare qualche mia cosa: tutto questo non ha fatto mai altro recanatese a Recineto condito. Parrebbe che molti dovessero essermi intorno, domandarmi i giornali, voler leggere le mie coserelle, chiedermi notizia dei letterati della età nostra. Per appunto. I Giornali come sono stati letti nella mia famiglia, vanno a dormire nelle scansie. Delle mie cose nessuno si cura e questo va bene; degli altri libri molto meno: anzi Le dirò senza superbie che la libreria nostra non ha uguale nella provincia e due sole inferiori. Sulla porta ci sta scritto ch'ella è fatta anche per li cittadini e sarebbe aperta a tutti. Ora quanti pensa Ella che la frequentino? Nessuno mai.

Oh veda Ella se questo è terreno da seminarci.
Ma e gli studi Le pare che qui si possano far bene? Non dirò che con tutta la libreria io manco spessissimo di libri, non pure che mi piacerebbe di leggere, ma che mi sarebbero necessari; e però Ella non si meravigli  se talvolta si accorgerà che io sia senza qualche classico. Se si vuol leggere un libro che non si ha, se si vuol vederlo anche per un solo momento bisogna procacciarselo col suo denaro, farlo venire di lontano, senza potere scegliere né conoscere prima di comperare, con mille difficoltà per via. Qui niun altro fa venir libri, non si può torre in prestito, non si può andare da un libraio, pigliare un libro, vedere quello che fa al caso e posarlo: sì che la spesa non è divisa, ma è tutta sopra noi soli. Si spende continuamente in libri, ma la spesa è infinita, l'impresa di procacciarsi tutto è disperata.

Ma quel non avere un letterato con cui trattenersi, quel serbarsi tutti i pensieri per sé, quel non potere sventolare e  dibattere le proprie opinioni, far pompa innocente de' propri studi, chiedere aiuto e consiglio, pigliar coraggio in tante ore e giorni di sfinimento e svogliatezza, Le par che sia un bel sollazzo?
Io da principio avea pieno il capo delle massime moderne, disprezzava, anzi calpestava, lo studio della lingua nostra, tutti i miei scrittacci originali erano traduzioni dal Francese, disprezzava Omero Dante tutti i classici, non volea leggerli, mi diguazzava nella lettura che ora detesto: chi mi ha fatto mutar tuono? La grazia di Dio ma niun uomo certamente. Chi m'ha fatto strada a imparare le lingue che m'erano necessarie? La grazia di Dio. Chi m'assicura ch'io non ci pigli un granchio a ogni tratto? Nessuno. Ma poniamo che tutto questo sia nulla.

Che cosa è in Recanati di bello che si curi l'uomo di vedere o di imparare? Niente. Ora Iddio ha fatto tanto bello questo nostro mondo, tante cose belle ci hanno fatto gli uomini, tanti uomini ci sono che chi non è insensato arde di vedere e di conoscere, la terra è piena di meraviglie, ed io di dieciott'anni potrò dire, in questa caverna vivrò e morrò dove sono nato? Le pare che questi desideri si possano frenare, che siano ingiusti, soverchi, sterminati? Che sia pazzia il non contentarsi di non veder nulla, il non contentarsi di Recanati?

L'aria di questa città le è stato mal detto che sia salubre. E' mutabilissima, umida, salmastra, crudele ai nervi e per la sua sottigliezza ai nervi niente buona a certe complessioni. A tutto questo aggiunga l'ostinata nera orrenda barbara malinconia che mi lima e mi divora, e collo studio s'alimenta e senza studio s'accresce. So ben io qual è e l'ho provata, ma ora non la provo più, quella dolce malinconia che partorisce le belle cose, più dolce dell'allegria, la quale, se m'é permesso di dir così, è come il crepuscolo, dove questa è notte fittissima e orribile , è veleno che, come ella dice, distrugge le forze del corpo e dello spirito.

Ora come andarne libero non facendo altro che pensare e vivendo di pensieri senza una distrazione al mondo? E come far che cessi l'effetto se dura la causa? Che parla Ella di divertimenti? Unico divertimento in Recanati è lo studio: unico divertimento è quello che mi ammazza: tutto il resto è noia. So che la noia può farmi manco male che la fatica, e però spesso mi piglio la noia, ma questa mi cresce, com'è naturale, la malinconia, e quando io ho avuto la disgrazia di conversare con questa gente, che succede di raro, torno pieno di tristissimi pensieri agli studi miei, o mi vo covando in mente e ruminando quella nerissima materia. Non m'è possibile rimediare a questo né fare che la mia salute debolissima non si rovini, senza uscire di un luogo che ha dato origine al male e lo fomenta e l'accresce ogni dì di più, e a chi pensa non concede nessun ricreamento. Veggo ben io che per poter continuare gli studi bisogna interromperli tratto tratto e darsi un poco a quelle cose che chiamano mondane, ma per far questo io voglio un mondo che m'alletti e mi sorrida, un mondo che splenda ( sia pure di luce falsa) ed abbia tanta forza da farmi dimenticare per qualche momento quello che soprattutto mi sta a cuore, non un mondo che mi faccia dare indietro a prima giunta, e mi sconvolga lo stomaco e mi muova la rabbia e m'attristi e mi forzi di ricorrere per consolarmi a quello da cui volea fuggire. (...)
 


Piazzetta di Recanati


La famosa lettera a Pietro Giordani dell'aprile del 1817 consente di valutare il pensiero giovanile di Leopardi negli anni che inaugurano l'età della Restaurazione mentre vive a Recanati, il piccolo borgo inserito nella Marca dello Stato Pontificio.

  • Innanzitutto è da considerare la differenza tra le aree del nord e quelle del centro-sud. Mentre ad esempio nella cosmopolita Milano si traduce, si pubblica, si discute e si legge, a Recanati "....non c'è uno che si curi di essere qualche cosa, non c'è uno a cui il nome di ignorante paia strano. Se lo danno sinceramente e sanno di dire il vero....."  E' chiaro che in una simile situazione anche Leopardi non viene apprezzato, in quanto Recanati manca per lui di interlocutori culturali ed ancor prima di lettori competenti ( Crede Ella che un grande ingegno sarebbe apprezzato? Come la gemma nel letamaio. ).
     

  • E' difficile - nella piccola città dello Stato pontificio - procurarsi libri e giornali; e questi ultimi, acquistati con grande dispendio economico, una volta esaminati, rimangono abbandonati negli scaffali di casa Leopardi. Nessun altro suo concittadino chiede di consultarli, anche se la biblioteca privata è a disposizione della popolazione recanatese.
     

  • E' dunque immancabile che manchino confronti e verifiche artistiche, che soli fanno veramente crescere culturalmente un soggetto. La lettura, lo studio, la riflessione , la scrittura sono tutte attività che si realizzano nel chiuso della casa paterna. La stessa pubblicazione dei lavori è un'iniziativa volontaria. Mancano i circuiti comunicativi ed anche l'impegno culturale appare, talvolta, fine a se stesso.
     

  • Eppure lo studio è l'unico rimedio alla noia, grande male della vita di Leopardi a Recanati. L'isolamento, la solitudine volontaria ( legata all'impossibilità di condividere la vita culturalmente troppo povera ed ingenuamente felice dei recanatesi ) finiscono per incupire la sua esistenza. Egli non riesce a dar vita al piacere estetico, forma alta e nobile di perfezionamento interiore, che riesce a dar senso alla vita ( So ben io qual è e l'ho provata, ma ora non la provo più, quella dolce malinconia che partorisce le belle cose, più dolce dell'allegria....)
    Così Leopardi definisce la sua condizione segnata dalla malinconia non alimentata dalla sensibilità poetica, ma da un'amara percezione della propria infelicità.
     (A tutto questo si aggiunga l'ostinata nera orrenda barbara malinconia che mi lima e mi divora, e collo studio s'alimenta e senza studio s'accresce.)
     

  • Ultimo aspetto di questo quadro di vita è dato dal di-ventimento impossibile, che si profila all'interno del "natio borgo selvaggio". Con questo concetto si intende la possibilità di staccarsi temporaneamente dalle fatiche dell'attività letteraria e del pensiero per ricreare un po' il corpo ( Veggo ben io che per poter continuare gli studi bisogna interromperli tratto tratto e darsi un poco a quelle cose che chiamano mondane...).
    Ebbene, ogni forma di divertimento a Recanati gli è preclusa, poiché esso sarebbe occasione di ulteriore melanconia e non di ricreazione dell'animo. Infatti Leopardi confessa che, per trovare qualche sollievo all'insistenza delle sue tristi meditazioni, avrebbe bisogno di
    " un mondo che m'alletti e mi sorrida, un mondo che splenda ( sia pure di luce falsa) ed abbia tanta forza da farmi dimenticare per qualche momento quello che soprattutto mi sta a cuore".. e non invece una realtà bassa e volgare come quella del borgo ( e non un mondo che mi faccia dare indietro a prima giunta, e mi sconvolga lo stomaco e mi muova la rabbia e m'attristi e mi forzi di ricorrere per consolarmi a quello da cui volea fuggire.")
     

  • Tali meditazioni su Recanati sono inquadrabili nella sua decisione - l'anno dopo - di tentare la fuga dalla casa paterna.
     


L'assurda vastità degli spazi di Roma ed i frivoli discorsi della gente
dalla
Lettera alla Sorella Paolina, 3 dicembre 1822

...............Parlando sul serio, tenete per certissimo che il più stolido Recanatese ha una maggior dose di buon senso che il più savio e più grave Romano. Assicuratevi che la frivolezza di queste bestie passa i limiti del credibile. S'io vi volessi raccontare tutti i propositi ridicoli che servono di materia ai loro discorsi, e che sono i loro favoriti, non mi basterebbe un in-foglio. Questa mattina (per dirvene una sola) ho sentito discorrere gravemente e lungamente sopra la buona voce di un Prelato che cantò messa avanti ieri, e sopra la dignità del suo portamento nel fare questa funzione. Gli domandavano come aveva fatto ad acquistare queste belle prerogative, se nel principio della messa si era trovato niente imbarazzato, e cose simili. Il Prelato rispondeva che aveva imparato col lungo assistere alle Cappelle, che questo esercizio gli era stato molto utile, che quella è una scuola necessaria ai loro pari, che non s'era niente imbarazzato, e mille cose spiritosissime. Ho poi saputo che parecchi Cardinali e altri personaggi s'erano rallegrati con lui per il felice esito di quella messa cantata. Fate conto che tutti i propositi de' discorsi romani sono di questo gusto, e io non esagero nulla. Il materiale di Roma avrebbe un gran merito se gli uomini di qui fossero alti cinque braccia e larghi due. Tutta la popolazione di Roma non basta a riempire la piazza di San Pietro. La cupola l'ho veduta io, colla mia corta vista, a 5 miglia di distanza, mentre io era in viaggio, e l'ho veduta distintissimamente colla sua palla e colla sua croce, come voi vedete di costà gli Appennini. ...

 


Corot, Roma vista dal Tevere
 



Corot, Veduta della città di Roma

Tutta la grandezza di Roma non serve ad altro che a moltiplicare le distanze, e il numero de' gradini che bisogna salire per trovare chiunque vogliate. Queste fabbriche immense, e queste strade per conseguenza interminabili, sono tanti spazi gittati fra gli uomini, invece d'essere spazi che contengano uomini. Io non vedo che bellezza vi sia nel porre i pezzi degli scacchi della grandezza ordinaria, sopra uno scacchiere largo e lungo quanto cotesta piazza della Madonna. Non voglio già dire che Roma mi paia disabitata, ma dico che se gli uomini avessero bisogno d'abitare così al largo, come s'abita in questi palazzi, e come si cammina in queste strade, piazze, chiese; non basterebbe il globo a contenere il genere umano.
 



Corot, Veduta romana




Corot, Castel S. Angelo
 


Il viaggio a Roma non opera in Leopardi quell'apertura auspicata ad un mondo ricco di attrattive culturali e di rapporti umani. La città appare caratterizzata da occasioni frivole di scambi umani (
ho sentito discorrere gravemente e lungamente sopra la buona voce di un Prelato che cantò messa avanti ieri, e sopra la dignità del suo portamento nel fare questa funzione...) e soprattutto immersa in spazi urbanistici troppo ampi, inusuali per i normali rapporti tra i cittadini, che fanno pensare talvolta ad una città quasi disabitata. Più attentamente riflettendo sul senso dell'apertura e vastità degli spazi urbani Leopardi si chiede il senso e la funzionalità di strade e piazze. Sembra dimenticare che Roma è stata un tempo città signora dell'impero, testimone dei fasti papali, sembra ignorare lo stesso valore dei monumenti....Oggi la città, alla sua percezione, appare come un insieme di tanti spazi gittati fra gli uomini, invece d'essere spazi che contengano uomini. Cioè emerge un moderno ripensamento sulla funzione dell'area urbana come quadro delle relazioni umane; Leopardi - nella lettera alla Sorella Paolina - dice di non aver trovato a Roma quella vitalità che si attendeva da un ambiente meno ristretto di Recanati, che avrebbe dovuto essere certo più significativo a livello di attività culturali e di modelli di vita. La città viene intesa nella sua complementarietà tra estensione e forma degli spazi urbani e le attività, gli usi, gli impieghi, le iniziative che è delegata ad ospitare ed alle quali dà vita.
 


La rivalutazione di Recanati
dalla lettera al fratello Carlo del 6 dicembre 1822


" ...............L'uomo non può assolutamente vivere in una grande sfera, perché la sua forza o facoltà di rapporto è limitata.  In una piccola città ci possiamo annoiare, ma alla fine i rapporti dell'uomo all'uomo e alle cose. esistono, perché la sfera de' medesimi rapporti è ristretta e proporzionata alla natura umana. In una grande città l'uomo vive senza nessunissimo rapporto a quello che lo circonda. perché la sfera è cosi grande, che l'individuo non la può riempire, non la può sentire intorno a sé, e quindi non v'ha nessun punto di contatto fra essa e lui. Da questo potete congetturare quanto maggiore e più terribile sia la noia che si prova in una grande città, di quella che si prova nelle città piccole: giacché l'indifferenza, quell' orribile passione, anzi spassione, dell'uorno, ha veramente e necessariamente la sua principal sede nelle città grandi, cioè nelle società molto estese.  La facoltà sensitiva dell'uomo in questi luoghi si limita al solo vedere.  Questa è l'unica sensazione degl'individui. che non si riflette in verun modo nell'interno.  L'unica maniera di poter vivere in una città grande, e che tutti, presto o tardi, sono obbligati a tenere, è quella di farsi una piccola sfera di rapporti, rimanendo In piena indifferenza verso tutto il resto della società.  Vale a dire fabbricarsi d'intorno come una piccola città dentro la grande.  Per far questo non è bisogno d'uscire dalle città piccole.
 


Il passo testimonia
l'incapacità da parte di Leopardi di concepire la vita umana inserita in una sfera di ampie relazioni. La constatazione dello sfaldarsi, del vanificarsi dei rapporti interpersonali e culturali all'interno della grande città, conduce alla più generale conclusione che "l'uomo non può assolutamente vivere in una grande sfera, perché la sua forza o facoltà di rapporto è limitata". Il che è poi il presupposto implicito dell'intera riflessione. Nella grande città l'uomo ha - tutto sommato - limitate capacità di provare intense sensazioni interiori: la vista è la sensazione privilegiata; essa tuttavia si struttura in percezioni frammentarie, mai pienamente rivissute interiormente ( "La facoltà sensitiva dell'uomo in questi luoghi si limita al solo vedere.  Questa è l'unica sensazione degl'individui, che non si riflette in verun modo nell'interno ). L'occhio cade infatti su ambienti, contesti, situazioni che ci vedono in gran parte estranei alla loro evoluzione e quindi non incidono sull'elaborazione dei nostri pensieri.

 Poiché per Leopardi
ogni riflessione sui luoghi si giustifica solo con l'analisi dei rapporti umani sottesi alla frequentazione dei luoghi stessi, ecco la conclusione prevedibile.
Anche nella grande città occorre ricreare rapporti privilegiati, profondi all'interno di una schiera ben delimitata di persone
(.. una piccola sfera di rapporti, rimanendo In piena indifferenza verso tutto il resto della società ) restando indifferenti a quanto non ricade nella nostra sfera di influenza ( Vale a dire fabbricarsi d'intorno come una piccola città dentro la grande. ) Si tratta, in qualche modo, di una rivalutazione - seppur indiretta - della vita di Recanati, che  viene intesa come occasione per sentire emotivamente la vicinanza di altre esistenze, di altre esperienze.... molto distanti da quella del poeta, ma non meno vive ed autentiche. Tali realtà, recuperate dal ricordo, verranno ritratte e saranno intensamente rivissute nella poesia dei Grandi idilli ( Sabato del villaggio, Quiete dopo la tempesta, Le ricordanze.....).
 

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