Roma e
Recanati: due contesti diversi di vita
nell'epistolario di G. Leopardi.
Alcuni
giudizi negativi su Recanati |
(...)
Ma che crede Ella mai? Che
la Marca e 'l mezzogiorno dello Stato Romano sia come la Romagna e 'l
settentrione d'Italia? Costì il nome di letteratura si sente spessissimo:
costì giornali accademie conversazioni librai in grandissimo numero. I
Signori leggono un poco. L'ignoranza è nel volgo, il quale se no, non
sarebbe più volgo: ma moltissimi s'ingegnano di studiare, moltissimi si
credono poeti filosofi che so io. Sono tutt'altro ma pure vorrebbero
esserlo. Quasi tutti si tengono buoni a dar giudizio sopra le cose di
letteratura. Le matte sentenze che profferiscono svegliano l'emulazione
fanno disputare parlare ridere sopra gli studi. Un grande ingegno si fa
largo; v'è chi l'ammira e lo stima v'è chi l'invidia e vorrebbe deprimerlo,
v'è una turba da' loco e conosce il darlo. Costì il promuovere la
letteratura è opera utile, il regnare con l'ingegno è scopo di bella
ambizione. |
|
Ora come andarne libero non
facendo altro che pensare e vivendo di pensieri senza una distrazione al
mondo? E come far che cessi l'effetto se dura la causa? Che parla Ella di
divertimenti? Unico divertimento in Recanati è lo studio: unico divertimento
è quello che mi ammazza: tutto il resto è noia.
So che la noia può farmi manco male che la fatica, e però spesso mi piglio
la noia, ma questa mi cresce, com'è naturale, la malinconia, e
quando io ho avuto la disgrazia
di conversare con questa gente, che succede di raro, torno pieno di
tristissimi pensieri agli studi miei, o mi vo covando in mente e ruminando
quella nerissima materia. Non m'è possibile rimediare a questo né fare che
la mia salute debolissima non si rovini, senza uscire di un luogo che ha
dato origine al male e lo fomenta e l'accresce ogni dì di più, e a chi pensa
non concede nessun ricreamento.
Veggo ben io che per poter continuare gli studi bisogna interromperli tratto
tratto e darsi un poco a quelle cose che chiamano mondane, ma per far questo
io voglio un mondo che m'alletti e mi sorrida, un mondo che splenda ( sia
pure di luce falsa) ed abbia tanta forza da farmi dimenticare per qualche
momento quello che soprattutto mi sta a cuore, non un mondo che mi faccia
dare indietro a prima giunta, e mi sconvolga lo stomaco e mi muova la rabbia
e m'attristi e mi forzi di ricorrere per consolarmi a quello da cui volea
fuggire. (...) |
|
|
|
...............Parlando sul serio, tenete per certissimo che il più stolido Recanatese ha una maggior dose di buon senso che il più savio e più grave Romano. Assicuratevi che la frivolezza di queste bestie passa i limiti del credibile. S'io vi volessi raccontare tutti i propositi ridicoli che servono di materia ai loro discorsi, e che sono i loro favoriti, non mi basterebbe un in-foglio. Questa mattina (per dirvene una sola) ho sentito discorrere gravemente e lungamente sopra la buona voce di un Prelato che cantò messa avanti ieri, e sopra la dignità del suo portamento nel fare questa funzione. Gli domandavano come aveva fatto ad acquistare queste belle prerogative, se nel principio della messa si era trovato niente imbarazzato, e cose simili. Il Prelato rispondeva che aveva imparato col lungo assistere alle Cappelle, che questo esercizio gli era stato molto utile, che quella è una scuola necessaria ai loro pari, che non s'era niente imbarazzato, e mille cose spiritosissime. Ho poi saputo che parecchi Cardinali e altri personaggi s'erano rallegrati con lui per il felice esito di quella messa cantata. Fate conto che tutti i propositi de' discorsi romani sono di questo gusto, e io non esagero nulla. Il materiale di Roma avrebbe un gran merito se gli uomini di qui fossero alti cinque braccia e larghi due. Tutta la popolazione di Roma non basta a riempire la piazza di San Pietro. La cupola l'ho veduta io, colla mia corta vista, a 5 miglia di distanza, mentre io era in viaggio, e l'ho veduta distintissimamente colla sua palla e colla sua croce, come voi vedete di costà gli Appennini. ... |
|
|
|
Tutta la grandezza di Roma non serve ad altro che a moltiplicare le
distanze,
e il numero de' gradini che bisogna salire per trovare chiunque vogliate.
Queste fabbriche immense, e queste strade per conseguenza interminabili,
sono tanti spazi gittati fra gli uomini, invece d'essere spazi che
contengano uomini.
Io non vedo che bellezza vi sia nel porre i pezzi degli scacchi della
grandezza ordinaria, sopra uno scacchiere largo e lungo quanto cotesta
piazza della Madonna.
Non voglio già dire che Roma mi paia disabitata, ma dico che se gli uomini
avessero bisogno d'abitare così al largo, come s'abita in questi palazzi, e
come si cammina in queste strade, piazze, chiese; non basterebbe il globo a
contenere il genere umano. |
|
|
|
|
|
|