Il Notturno nasce dalle annotazioni prese da D'Annunzio in un periodo
di cecità ed immobilità forzata, in conseguenza di un incidente aereo che
gli aveva provocato il distacco della retina. L'opera consta di
annotazioni frammentarie, che emergono dalle
percezioni della realtà circostante ( colte
solo attraverso l'udito ), dalle visioni, dalle
fantasie e dai ricordi che si susseguono disordinatamente ed alogicamente.
Il carattere non pianificato della composizione lascia molto spazio
alle libere associazioni, ad immagini talvolta allucinatorie che si
sviluppano intrecciandosi e fondendosi in un delirio tra il vigile e
l'onirico. Il dato fisico e gli echi del contesto
esterno sono comunque fondamentali per dar corso alle impressioni
mentalmente ricreate dall'immaginario.
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Sento il sole dietro le imposte. Sento che c'è un'afa di marzo chiara e
languida sul canale: Sento che è bassa marea.
La primavera entra in me come un nuovo tossico. Ho le reni dolenti, in una
sonnolenza rotta di sussulti e di tremori.
Ascolto.
Lo sciaquio alla riva lasciato dal battello che passa.
I colpi sordi dell'onda contro la pietra grommosa.
Le grida rauche dei gabbiani, i loro scrosci chiocci, le loro
risse stridenti, le loro pause galleggianti.
Il battito di un motore marino.
Il chioccolìo sciocco del merlo.
Il ronzìo lùgubre d'una mosca che si leva e si posa.
Il ticchettio del pendolo che lega tutti gli intervalli.
La gocciola che cade nella vasca del bagno.
Il gemito del remo nello scalmo.
Le voci umane nel traghetto.
Il rastrello su la ghiaia del giardino.
Il pianto d'un bimbo non racconsolato.
Una voce di donna che parla e non s'intende.
Un'altra voce di donna che dice: «A che ora? a che ora?»
[...]
Dal bulbo dell'occhio, con una fitta improvvisa, rompe il giacinto violetto.
Serro i denti. Sento le barbe" aggrovigliate nel cervello. Sento distinte
le membrane e le squame carnose.
Il gambo s'allunga. Il fiore si compisce, s'infoltisce, s'appesantisce. E'
cupo, è quasi nero. Lo vedo.
Chi me l'ha scerpato?
Ho paura del mio grido folle.
L'umore vischioso impiastra la compressa, mi cola giù per la gota.
Il nero rispunta, con una fitta più acuta. Rinasce e si stronca e
m'invesca". E io grido.
Rigitta ancóra, si spezza ancóra.
Oggi non ho più nell'occhio il giacinto cupo. Oggi ho nell'occhio non so
che fiore villoso, tra rossigno e gialligno, simile all'orecchio di un
cuccioletto.
(...)
Come può la pioggia di marzo avere questo suono
argentino, questo clangore che brilla?
Slegatemi i piedi.
Come può la pioggia di marzo aver rapito gli spiriti del tripudio alla
baccante che dorme?
Slegatemi i piedi.
Per i capelli, per i lunghi lunghi capelli afferrerò la pioggia di marzo
sonatrice di cròtalo.
Ecco che la grazia della mia giovinezza entra, senza toccare il
pavimento, sollevando piano piano l'arcobaleno .
E' la mia magìa, questa?
Davvero dunque la malattia è d'essenza magica?
Tutto è presente. Il passato è presente. Il futuro è
presente.
Questa è la mia magìa. Nel dolore e nelle tenebre, invece di diventar più
vecchio, io divento sempre più giovine.
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