Elena Muti e Maria Ferres
due incarnazioni della bellezza femminile. Il piacere ( 1888 )



Klimt, Giuditta II
 



Whistler, Sinfonia in bianco
 


La vicenda si svolge sul finire dell’ 800 nel mondo dell'alta aristocrazia romana. Il protagonista è il conte Andrea Sperelli tutto penetrato e imbevuto di spirito e gusto artistico ( estetismo ), avido di amore e di piacere ( edonismo ), amante raffinato ed elegantissimo, circondato di lusso, ma dalla vita densa di contraddizioni e senza alcuna forza morale e volontà, educato dal padre all'indifferenza per i principi etici

La narrazione prende le mosse dal momento in cui Andrea si prepara a ricevere nella sua casa  Elena  Muti la donna al quale è stato legato da una passione travolgente, sperando di riannodare la relazione, e che due anni prima aveva improvvisamente deciso di lasciarlo, senza spiegazioni. Ma quando la donna giunge da lui e gli dice che non  può più essere la sua amante il racconto ricostruisce la storia di Andrea e Elena seguendo il filo dei ricordi.

I due si erano conosciuti in casa della marchesa d’ Ateleta immediatamente attratti, immersi in un mondo magico e passionale, attraversato dalla continua tensione, dalla ricerca del piacere e dalla vita mondana. Improvvisamente però Elena era scomparsa e riapparsa due anni dopo sposata con  un ricchissimo lord inglese. Nel frattempo per alleviare le pene d’amore Andrea si era dato a una vita dissoluta passando da un amore a un altro cercando una donna che gli ricordasse Elena. Giunto a diverbio con un giovane amico a causa di un’amante contesa lo affronta in duello e resta gravemente ferito.

Convalescente, ospitato nella villa della cugina inizia la fase spirituale e purificatrice. A contatto con la natura  aveva ripensato all’assurdità della propria esistenza e aveva trovato l’unico rifugio e l'unica apparente vera meta della propria vita nella ricerca estetica e nella passione per l'Arte. Durante questa fase incontra Maria Ferres donna dall’ aspetto nobile e dall’animo purissimo e sensibile, moglie di un diplomatico guatemalteco. In lei vede dapprima il simbolo della sua purificazione, ma in un secondo momento tra i due il rapporto si trasforma in amore, grazie al comune legame per la bellezza artistica e musicale.

I due tornano poi a Roma dove Andrea ricomincia ad essere ossessionato dall’ idea di riallacciare il rapporto con Elena, la quale però ad un appuntamento notturno non si presenta, facendo intuire un suo tradimento. Andrea decide di rivolgere tutta la sua attenzione a Maria, la quale gli cede, pur vivendo tragicamente la relazione, turbata dalla gelosia per Elena. Uno scandalo costringe il marito di Maria ad abbandonare la città e lei deve seguirlo; Andrea scopre che Elena ha un nuovo amante e nell’ultimo convegno d’amore con Maria si lascia fuggir il nome di Elena. Il romanzo termina con Maria che fugge inorridita, mentre avviene la vendita all’asta dei suoi mobili e Andrea, solo e sconfitto, visita le sale ormai vuote.
 


L'attesa di Andrea Sperelli in un'atmosfera rarefatta ed impregnata di arte.
Estetismo ed edonismo nella memoria di Elena amante.
 

 Libro I

  L'anno moriva, assai dolcemente. Il sole di San Silvestro spandeva non so che tepor velato, mollissimo, aureo, quasi primaverile, nel ciel di Roma. Tutte le vie erano popolose come nelle domeniche di Maggio. Su la piazza Barberini, su la piazza di Spagna una moltitudine di vetture passava in corsa traversando; e dalle due piazze il romorio confuso e continuo, salendo alla Trinità de' Monti, alla via Sistina, giungeva fin nelle stanze del palazzo Zuccari, attenuato.
  Le stanze andavansi empiendo a poco a poco del profumo ch'esalavan ne' vasi i fiori freschi. Le rose folte e larghe stavano immerse in certe coppe di cristallo che si levavan sottili da una specie di stelo dorato slargandosi in guisa d'un giglio adamantino, a similitudine di quelle che sorgon dietro la Vergine del tondo di Sandro Botticelli alla Galleria Borghese. Nessuna altra forma di coppa eguaglia in eleganza tal forma: i fiori entro quella prigione diafana paion quasi spiritualizzarsi e meglio dare imagine di una religiosa o amorosa offerta.
  Andrea Sperelli aspettava nelle sue stanze un'amante. Tutte le cose a torno rivelavano infatti una special cura d'amore. Il legno di ginepro ardeva nel caminetto e la piccola tavola del tè era pronta, con tazze e sottocoppe in maiolica di Castel Durante ornate d'istoriette mitologiche da Luzio Dolci, antiche forme d'inimitabile grazia, ove sotto le figure erano scritti in carattere corsivo a zàffara nera esametri d'Ovidio. La luce entrava temperata dalle tende di broccatello rosso a melagrane d'argento riccio, a foglie e a motti. Come il sole pomeridiano feriva i vetri, la trama fiorita delle tendine di pizzo si disegnava sul tappeto.
  L'orologio della Trinità de' Monti suonò le tre e mezzo. Mancava mezz'ora. Andrea Sperelli si levò dal divano dov'era disteso e andò ad aprire una delle finestre; poi diede alcuni passi nell'appartamento; poi aprì un libro, ne lesse qualche riga, lo richiuse; poi cercò intorno qualche cosa, con lo sguardo dubitante. L'ansia dell'aspettazione lo pungeva così acutamente ch'egli aveva bisogno di muoversi, di operare, di distrarre la pena interna con un atto materiale. Si chinò verso il caminetto, prese le molle per ravvivare il fuoco, mise sul mucchio ardente un nuovo pezzo di ginepro. Il mucchio crollò; i carboni sfavillando rotolarono fin su la lamina di metallo che proteggeva il tappeto; la fiamma si divise in tante piccole lingue azzurrognole che sparivano e riapparivano; i tizzi fumigarono.
  Allora sorse nello spirito dell'aspettante un ricordo. Proprio innanzi a quel caminetto Elena un tempo amava indugiare, prima di rivestirsi, dopo un'ora di intimità. Ella aveva molt'arte nell'accumulare gran pezzi di legno su gli alari. Prendeva le molle pesanti con ambo le mani e rovesciava un po' indietro il capo ad evitar le faville. Il suo corpo sul tappeto, nell'atto un po' faticoso, per i movimenti de' muscoli e per l'ondeggiar delle ombre pareva sorridere da tutte le giunture, e da tutte le pieghe, da tutti i cavi, soffuso d'un pallor d'ambra che richiamava al pensiero la Danae del Correggio. Ed ella aveva appunto le estremità un po' correggesche, le mani e i piedi piccoli e pieghevoli, quasi direi arborei come nelle statue di Dafne in sul principio primissimo della metamorfosi favoleggiata.
  Appena ella aveva compiuta l'opera, le legna conflagravano e rendevano un sùbito bagliore. Nella stanza quel caldo lume rossastro e il gelato crepuscolo entrante pe' vetri lottavano qualche tempo. L'odore del ginepro arso dava al capo uno stordimento leggero. Elena pareva presa da una specie di follia infantile, alla vista della vampa. Aveva l'abitudine, un po' crudele, di sfogliar sul tappeto tutti i fiori ch'eran ne' vasi, alla fine d'ogni convegno d'amore. Quando tornava nella stanza, dopo essersi vestita, mettendo i guanti o chiudendo un fermaglio sorrideva in mezzo a quella devastazione; e nulla eguagliava la grazia dell'atto che ogni volta ella faceva sollevando un poco la gonna ed avanzando prima un piede e poi l'altro perché l'amante chino legasse i nastri delle scarpe ancóra disciolti.
  
Il luogo non era quasi in nulla mutato
. Da tutte le cose che Elena aveva guardate o toccate sorgevano i ricordi in folla e le imagini del tempo lontano rivivevano tumultuariamente. Dopo circa due anni, Elena stava per rivarcar quella soglia. Tra mezz'ora, certo, ella sarebbe venuta, ella si sarebbe seduta in quella poltrona, togliendosi il velo di su la faccia, un poco ansante, come una volta; ed avrebbe parlato. Tutte le cose avrebbero riudito la voce di lei, forse anche il riso di lei, dopo due anni.
  Il giorno del gran commiato fu appunto il venticinque di marzo del mille ottocento ottanta cinque, fuori della Porta Pia, in una carrozza. La data era rimasta incancellabile nella memoria di Andrea. Egli ora, aspettando, poteva evocare tutti gli avvenimenti di quel giorno, con una lucidezza infallibile. La visione del paesaggio nomentano gli si apriva d'innanzi ora in una luce ideale, come uno di quei paesaggi sognati in cui le cose paiono essere visibili da lontano per un irradiamento che si prolunga dalle loro forme..........
 


Andrea Sperelli rivive interiormente atmosfere di bellezza ed è vittima del magico incantesimo degli oggetti, legati alla sacralità della memoria d'amore.
 


Perciò la sua casa era un perfettissimo teatro; ed egli era un abilissimo apparecchiatore. Ma nell'artificio quasi sempre egli metteva tutto sé; vi spendeva la ricchezza del suo spirito largamente; vi si obliava così che non di rado rimaneva ingannato dal suo stesso inganno, insidiato dalla sua stessa insidia, ferito dalle sue stesse armi, a somiglianza d'un incantatore il quale fosse preso nel cerchio stesso del suo incantesimo.
  
Tutto, intorno, aveva assunto per lui quella inesprimibile apparenza di vita che acquistano, ad esempio, gli arnesi sacri, le insegne d'una religione, gli strumenti d'un culto, ogni figura su cui si accumuli la meditazione umana o da cui l'imaginazione umana poggi a una qualche ideale altezza
. Come una fiala rende dopo lunghi anni il profumo dell'essenza che vi fu un giorno contenuta, così certi oggetti conservavano pur qualche vaga parte dell'amore onde li aveva illuminati e penetrati quel fantastico amante. E a lui veniva da loro una incitazione tanto forte ch'egli n'era turbato talvolta come dalla presenza d'un potere soprannaturale.
  Pareva, in vero, ch'egli conoscesse direi quasi la virtualità afrodisiaca latente in ciascuno di quegli oggetti e la sentisse in certi momenti sprigionarsi e svolgersi e palpitare intorno a lui. Allora, s'egli era nelle braccia dell'amata, dava a sé stesso ed al corpo ed all'anima di lei una di quelle supreme feste il cui solo ricordo basta a rischiarare una intiera vita. Ma s'egli era solo, un'angoscia grave lo stringeva, un rammarico inesprimibile, al pensiero che quel grande e raro apparato d'amore si perdeva inutilmente.

  Inutilmente! Nelle alte coppe fiorentine le rose, anch'esse aspettanti, esalavano tutta la intima lor dolcezza. Sul divano, alla parete, i versi argentei in gloria della donna e del vino, frammisti così armoniosamente agli indefinibili colori serici nel tappeto persiano del XVI secolo, scintillavano percossi dal tramonto, in un angolo schietto disegnato dalla finestra, e rendevan più diafana l'ombra vicina, propagavano un bagliore ai cuscini sottostanti. L'ombra, ovunque, era diafana e ricca, quasi direi animata dalla vaga palpitazion luminosa che hanno i santuarii oscuri ov'è un tesoro occulto. Il fuoco nel camino crepitava; e ciascuna delle sue fiamme era, secondo l'imagine di Percy Shelley, come una gemma disciolta in una luce sempre mobile. Pareva all'amante che ogni forma, che ogni colore, che ogni profumo rendesse il più delicato fiore della sua essenza, in quell'attimo. Ed ella non veniva! Ed ella non veniva!

  Sorse allora nella mente di lui, per la prima volta, il pensiero del marito.
  Elena non era più libera. Aveva rinunziato alla bella libertà della vedovanza, passando in seconde nozze con un gentiluomo d'Inghilterra, con un Lord Humphrey Heathfield, alcuni mesi dopo l'improvvisa partenza da Roma. Andrea infatti si ricordava di aver visto l'annunzio del matrimonio in una cronaca mondana, nell'ottobre del mille ottocento ottanta cinque; e d'aver sentito fare su la nuova Lady Helen Heathfield una infinità di commenti per tutte le villeggiature di quell'autunno romano. Anche si ricordava di avere incontrato una decina di volte, nel precedente inverno, quel Lord Humphrey ai sabati della principessa Giustiniani-Bandini e nelle vendite pubbliche.  (...)

  Qual parte aveva quell'uomo nella vita di Elena? Da quali legami, oltre che dalle nozze, era Elena legata a colui? Quali transformazioni aveva operato in lei il contatto materiale e spirituale del marito?
  Gli enigmi sorsero d'un tratto nell'animo di Andrea, tumultuariamente. In mezzo al tumulto, gli apparve netta e precisa l'imagine del connubio fisico di que' due; e il dolore fu così insopportabile ch'egli si levò col balzo istintivo d'un uomo il quale si senta d'improvviso ferire in un membro vitale. Attraversò la stanza, uscì nell'anticamera, origliò alla porta ch'egli aveva lasciata socchiusa. Eran quasi le cinque meno un quarto.
  Dopo un poco, egli udì su per le scale un passo, un fruscìo di vesti, un respiro affaticato. Certo, una donna saliva. Tutto il sangue gli si mosse con tal veemenza, che, snervato dalla lunga aspettazione, egli credeva di smarrire le forze e di cadere. Ma pure udì il suono del piede feminile su gli ultimi gradini, un respiro più lungo, il passo sul pianerottolo, su la soglia. Elena entrò.
 

La personalità di Elena avida di piacere, passionale ed incapace di spiritualità.
La comune falsità degli atteggiamenti e l'autoinganno di Andrea.

 

Libro III, cap. II

...Quella quiete gelida e precisa gli ricondusse lo spirito alla realità, gli ridiede la conscienza vera del suo stato. Egli richiuse, e tornò a sedersi. L'enigma di Elena lo attrasse ancóra; le interrogazioni gli risorsero in tumulto, lo incalzarono. Ma ebbe la forza di ordinarle, di coordinarle, di esaminarle a una a una, con una strana lucidità. Come più procedeva nell'analisi, più acquistava di lucidità; e di quella sua crudele psicologia godeva come d'una vendetta. Infine, gli pareva d'aver denudata un'anima, d'aver penetrato un mistero. Gli pareva, infine, di possedere Elena assai più a dentro che non al tempo dell'ebbrezza.
  
Chi era ella mai?

 Era uno spirito senza equilibrio in un corpo voluttuario. A similitudine di tutte le creature avide di piacere, ella aveva per fondamento del suo essere morale uno smisurato egoismo. La sua facoltà precipua, il suo asse intellettuale, per dir così, era l'imaginazione: una imaginazione romantica, nudrita di letture diverse, direttamente dipendente dalla matrice, continuamente stimolata dall'isterismo. Possedendo una certa intelligenza, essendo stata educata nel lusso d'una casa romana principesca, in quel lusso papale fatto di arte e di storia, ella erasi velata d'una vaga incipriatura estetica, aveva acquistato un gusto elegante; ed avendo anche compreso il carattere della sua bellezza, ella cercava, con finissime simulazioni e con una mimica sapiente, di accrescerne la spiritualità, irraggiando una capziosa luce d'ideale.
  Ella portava quindi, nella comedia umana, elementi pericolosissimi; ed era occasion di ruina e di disordine più che s'ella facesse publica professione d'impudicizia.
  Sotto l'ardore della imaginazione, ogni suo capriccio prendeva un'apparenza patetica. Ella era la donna delle passioni fulminee, degli incendii improvvisi. Ella copriva di fiamme eteree i bisogni erotici della sua carne e sapeva transformare in alto sentimento un basso appetito...

  Così, in questo modo, con questa ferocia, Andrea giudicava la donna un tempo adorata. Procedeva, nel suo esame spietato, senza arrestarsi d'innanzi ad alcun ricordo più vivo. In fondo ad ogni atto, a ogni manifestazione dell'amor d'Elena trovava l'artifizio, lo studio, l'abilità, la mirabile disinvoltura nell'eseguire un tema di fantasia, nel recitare una parte dramatica, nel combinare una scena straordinaria. Egli non lasciò intatto alcuno de' più memorabili episodii: né il primo incontro al pranzo di casa Ateleta, né la vendita del cardinale Immenraet, né il ballo del'Ambasciata di Francia, né la dedizione improvvisa nella stanza rossa del palazzo Barberini, né il congedo su la via Nomentana nel tramonto di marzo. Quel magico vino che prima lo aveva inebriato ora gli pareva una mistura perfida.
  Ben però, in qualche punto, egli rimaneva perplesso, come se, penetrando nell'anima della donna, egli penetrasse nell'anima sua propria e ritrovasse la sua propria falsità nella falsità di lei; tanta era l'affinità delle due nature. E a poco a poco il disprezzo gli si mutò in una indulgenza ironica, poiché egli comprendeva. Comprendeva tutto ciò che ritrovava in sé medesimo.
  Allora, con fredda chiarezza, definì il suo intendimento.
  Tutte le particolarità del colloquio avvenuto nel giorno di San Silvestro, più d'una settimana innanzi, tutte gli tornarono alla memoria; ed egli si piacque a riconstruir la scena, con una specie di cinico sorriso interiore, senza più sdegno, senza concitazione alcuna, sorridendo di Elena, sorridendo di sé medesimo. -

Perché ella era venuta? Era venuta perché quel convegno inaspettato, con un antico amante, in un luogo noto, dopo due anni, le era parso strano, aveva tentato il suo spirito avido di commozioni rare, aveva tentata la sua fantasia e la sua curiosità. Ella voleva ora vedere a quali nuove situazioni e a quali nuove combinazioni di fatti l'avrebbe condotta questo giuoco singolare. L'attirava forse la novità di un amor platonico con la persona medesima ch'era già stata oggetto d'una passion sensuale. Come sempre, ella erasi messa con un certo ardore all'imaginazione d'un tal sentimento; e poteva anche darsi ch'ella credesse d'esser sincera e che da questa imaginata sincerità avesse tratto gli accenti di profonda tenerezza e le attitudini dolenti e le lacrime. Accadeva in lei un fenomeno a lui ben noto. Ella giungeva a creder verace e grave un moto dell'anima fittizio e fuggevole; ella aveva, per dir così, l'allucinazione sentimentale come altri ha l'allucinazione fisica. Perdeva la conscienza della sua menzogna; e non sapeva più se si trovasse nel vero o nel falso, nella finzione o nella sincerità.

  Ora, a questo punto era lo stesso fenomeno morale che ripetevasi in lui di continuo. Egli dunque non poteva con giustizia accusarla. Ma, naturalmente, la scoperta toglieva a lui ogni speranza d'altro piacere che non fosse carnale. Omai la diffidenza gli impediva qualunque dolcezza d'abbandono, qualunque ebbrezza dello spirito. Ingannare una donna sicura e fedele, riscaldarsi a una grande fiamma suscitata con un baglior fallace, dominare un'anima con l'artifizio, possederla tutta e farla vibrare come uno stromento, habere non haberi, può essere un alto diletto. Ma ingannare sapendo d'essere ingannato è una sciocca e sterile fatica, è un giuoco noioso e inutile.
  
Egli doveva dunque ottener che Elena rinunziasse all'idea di fraternizzare e gli tornasse fra le braccia come un tempo. Egli doveva riprendere il possesso materiale della bellissima donna, trarre dalla bellezza di lei il maggior possibile godimento, e quindi esserne per sempre liberato dalla sazietà. Ma in questa impresa conveniva usar prudenza e pazienza. Già nel primo colloquio l'ardor violento aveva fatto cattiva prova. Appariva manifesto ch'ella fondava il suo progetto di impeccabilità su la famosa frase: « Soffriresti tu di spartire con altri il mio corpo? » La grande macchina platonica era mossa da questo santo orrore delle mescolanze. Poteva anche darsi che, in fondo in fondo, questo orrore fosse sincero. Quasi tutte le donne d'amorosa vita, se giungono a concluder nozze, affettano ne' primi tempi del matrimonio una feroce purità e si pongono a far professione di mogli caste con leale proposito. Poteva quindi anche darsi che Elena fosse presa dal comune scrupolo. Nulla di peggio, allora, che assalirla di fronte e apertamente urtare la sua novella virtù. Invece, conveniva secondarla nelle aspirazioni spirituali, accettarla come « la sorella più cara, l'amica più dolce » , inebriarla d'ideale, platonizzando con accortezza; e a poco a poco trarla dalla candida fraternità a un'amicizia voluttuosa, e da un'amicizia voluttuosa alla total resa del corpo. Probabilmente queste transizioni sarebbero state rapidissime. Tutto dipendeva dalla circostanza....
 


Nei primi due paragrafi del testo ci si trova di fronte allo scorrere dei pensieri di Andrea Sperelli, il protagonista, il quale  risponde - attraverso un
monologo interiore - alla domanda iniziale “Chi era ella mai? ”indicando appunto la sua amata Elena Muti con la quale aveva avuto una relazione, ma che lo aveva abbandonato per sposare un lord inglese. Andrea , disgustato dallo scoprire che la loro passione e il loro piacere possa essere stato interrotto da una questione di denaro, cerca di tracciare un ritratto crudele di Elena ma finisce con il costruirne un altrettanto di sé stesso.

Elena viene descritta come uno spirito in un corpo sensuale, come una creatura avida di piacere, caratterizzata da uno smisurato egoismo ( bellezza egoista ) che la rende insensibile e disumana, anche se ciò è mascherato da una vaga incipriatura estetica e da una capziosa luce d’ideale ( idea di falsificazione ). Essa riusciva a  portare disordine e rovina nei rapporti tra gli uomini ( il suo fascino e la sua bellezza appaiono pericolosi). Andrea nel ricordare il carattere di Elena dice che essa è la donna delle passioni fulminee e degli incendi improvvisi e che tutto ciò che ha fatto e fa è caratterizzato dalla falsità.

A questo punto però
penetrando nell’anima della donna amata sente di percepire nella sua anima quella stessa falsità, arrivando a mettere a nudo la menzogna che si cela dietro sublimazioni estetizzanti. Inizia così ad entrare in crisi il concetto di esteta- superuomo e l'autore stesso cerca di prendere le distanze da tali atteggiamenti, denunciandone le mistificazioni e le intime debolezze. Senza però riuscirci ed essendo alla fine vittima.
 

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