Venezia nelle luci del tramonto |
Klimt, Danae |
Il
fuoco ( 1900 )
Primo e unico dei Romanzi del
Melagrano di Gabriele D'Annunzio (1863-1938), pubblicato nel 1900. Come il
melagrano del sopratitolo è
simbolo di abbondanza, di
regalità e di gioia, così il titolo allude al prepotere distruggitore e
creatore e all'indomabilità del fuoco.
Simboli tutti del Superuomo, secondo la dottrina affacciatasi già nel
Trionfo della morte. Nelle prime pagine del Fuoco
Stelio
Effrena, il
protagonista, tragediografo esce in parole che suonano condanna al rammarico
"d'esser nati troppo tardi o troppo presto", lo stesso rammarico del
protagonista delle Vergini delle Rocce. Il Fuoco è per eccellenza il romanzo
del dominatore che ignora
limiti e catene, sia pure
quelli dell'umano dolore:
"creare con gioia"
è il motto, di questa figura che risulta una proiezione e un'amplificazione
dello stesso personaggio di D'Annunzio.
Stelio Effrena è
infatti un poeta e musicista glorioso,
cui fa da pungolo assiduo la presenza, nella città dove vive, di un enorme
artista trionfatore, il vecchio
Wagner.
E' la stessa città,
Venezia, sentita come città lussuriosa, autunnale e regale,
ad esaltare pensieri di voluttà e di gloria, che nel Fuoco sono una
cosa sola;
Un'altra fonte di
tensione ispiratrice è la figura femminile,
Foscarina,
grande e celebre artista
drammatica ( in cui può riconoscersi la
Duse),
col dono che gli fa di sé. Di età non più giovine, ma estremamente devota a
Stelio,
l'imaginifico poeta,
saprà sacrificargli in ultimo il proprio amore, prima che gli diventi un
peso.
La scrittura non tende più alla stilizzazione e rifiuta allo stesso modo il
modulo naturalistico e psicologico dei primi romanzi per intonarsi a una
continua celebrazione.
"L'Imaginifico"
nel romanzo
anticipa tutti temi della Laus vitae.
Stelio lavora alla realizzazione de La città morta, il dramma totale
che dovrà incarnare il mito wagneriano della perfetta unità tra parola e
musica. In esso si celebrerà la piena vittoria dell'Uomo nel gesto omicida
dell'incestuoso fratello, che ottiene la vittoria superumana sulla propria
passione.
Ma la vera poesia del romanzo è
nelle parti malinconiche, elegiache e idilliche:
soprattutto nella figura patetica della donna amante, nella gelosia che la
contraddistingue, nella pietà di sé e di lui che infine la piega;
e nei paesaggi ed episodi
che commentano quella malinconia, quella disperazione e quella grazia, il
sole di novembre, la laguna, le statue sul Brenta, san Francesco, il
labirinto di Strà, la fondamenta di Murano.
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L'epifania del fuoco e la bellezza
autunnale di Venezia
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"La mutua passione di Venezia e dell'Autunno, che esalta l'una e l'altro al
sommo grado di lor bellezza sensibile, ha origine in una affinità profonda;
poiché l'anima di Venezia, l'anima che foggiarono alla Città bella gli
antichi artefici, è autunnale. Avendo io scoperta la rispondenza tra
l'esterno spettacolo e l'interiore il mio gaudio ne fu moltiplicato
indicibilmente. L'immensa moltitudine di forme imperiture, che popola le
chiese e i palazzi, rispondeva dalle sue sedi alle armonie della luce diurna
con un accordo così pieno e così possente che in breve divenne dominatore .
E - poiché la luce del cielo s'avvicenda con l'ombra ma la luce dell'arte
dura inestinguibile nell'anima umana - quando cessò nelle cose il prodigio
dell'ora, il mio spirito si trovò solo ed estatico tra le magnificenze di un
Autunno ideale ".
Do beni vu ghavé
Beleza e zoventù
Co i va no i torna più,
Nina mia cara.....
"Non vi sembra che sia questa la vera anima di Venezia e che quella da voi
figurata alla folla non sia se non la vostra, Effrena ?" disse la Foscarina,
dondolando un poco il capo nel ritmo molle della melodia che fluiva
per tutto il Canal Grande ripetuta in lontananza dalle altre barche canore.
"No, non è questa " rispose Stelio. "E' dentro di noi, vagante come una
farfalla volubile su per la superficie della nostra anima profonda, un'animula,
un esiguo spirito giocoso che spesso ci seduce e ci persuade a inclinarci
verso i piaceri blandi e mediocri, verso i passatempi puerili, verso le
musiche facili. (...)Voi udite ora canterellare sulle chitarre l'animula di
Venezia, ma l'anima vera non si discopre se non nel silenzio e più
terribilmente nella piena estate, di mezzogiorno, come il Gran Pan".
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Klimt, Giuditta I |
Klimt, Medicina |
L'imaginifico Stelio
Effrena |
"Egli era giunto a compiere in sé
stesso l'intimo connubio dell'arte con la vita
e a ritrovare così nel fondo della sua sostanza una
sorgente perenne di armonie. Egli era giunto a perpetuare nel suo spirito,
senza intervalli, la condizione misteriosa da cui nasce l'opera di bellezza
e a trasformare così ad un tratto in specie ideali tutte le figure
passeggere della sua esistenza volubile. Egli aveva indicato appunto questa
sua conquista quando aveva messo in bocca ad una delle sue persone le
parole: "Io assisteva in me medesimo alla continua genesi di una vita
superiore in cui tutte le apparenze si trasfiguravano come nella virtù di un
magico specchio"
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Le ville del Brenta: la lenta agonia della
bellezza classica |
Le ville del Brenta: villa Foscari |
Villa Seriman Foscari, Widmann- Rezzonico |
- Tu soffri? - le chiese egli con una pietà
angosciosa che fece impallidire la donna. - Senti questo spavento?
Ella si guardò intorno con l'ansia di chi sia incalzato, e credette di veder
sorgere dai campi mille fantasmi funesti.
- Quelle statue! – disse Stelio con un accento che le mutò agli occhi di lei
in testimoni della sua propria ruina. E la campagna si distendeva intorno a
loro silenziosa come se gli abitatori l'avessero disertata da secoli o
dormissero tutti coricati nelle fosse da ieri. [... ]
Il Passato regnava solo intorno, ed
essi erano niente, e tutto era niente. «Siamo moribondi; io e tu siamo due
moribondi. Sognamo, e moriamo».
- Taci! - ella disse con un fievole soffio, come se andasse per un
sepolcreto; e le apparve a fior della bocca un sorriso tenuissimo, eguale a
quello ch'era diffuso nelle campagne, e vi si fermò, vi rimase immobile come
su le labbra d'un ritratto.
Le ruote scorrevano scorrevano, nella strada bianca, lungo gli argini della
Brenta. Il fiume, magnifico e glorioso nei sonetti degli abati cicisbei
quando per la sua corrente scendevano i burchielli pieni di musiche e di
piaceri, aveva ora l'aspetto umile d'un canale ove guazzavano le anitre
verdazzurre in frotte. Per la pianura bassa e irrigua i campi fumigavano,
le piante si spogliavano, il fogliame marciva nell'umidità delle zolle.
Il lento vapor d'oro fluttuava su
una immensa decomposizione vegetale che sembrava toccare anche le pietre le
mura le case e disfarle come le frondi. Dalla Foscara alla Barbariga
le ville patrizie - ove la vita dalle vene pallide, avvelenata delicatamente
dai belletti e dagli odori, s'era spenta in languidi giochi sopra un neo,
intorno a un cagnolino o dietro a un bombé - si disgregavano nell'abbandono
e nel silenzio. Talune avevano l'aspetto della ruina umana, con le loro
aperture vacue che somigliavano alle orbite cieche, alle bocche senza
denti. Altre al primo vederle parevano sul punto di ridursi in frantumi e
in polvere come le capellature delle defunte quando si scoperchiano le
tombe, come le vecchie vesti róse dai tarli quando si aprono gli armarli da
lungo tempo chiusi. I muri di cinta erano abbattuti, rotti i pilastri,
contorti i cancelli, invasi dalle ortaglie i giardini. Ma qua, là, da
presso, da lungi, ovunque, nei frutteti, nelle vigne, tra i cavoli
argentati, tra i legumi, in mezzo ai pascoli, su i cumuli di concime e di
vinaccia, sotto i pagliai, alla soglia dei tugurii, ovunque per la campagna
fluviàtile s'alzavano le statue superstiti.
Erano innumerevoli, erano un popolo
disperso, ancóra bianche, o grige, o gialle di licheni, o verdastre di
muschi, o maculate, e in tutte le attitudini e con tutti i gesti, Iddie,
Eroi, Ninfe, Stagioni, Ore, con gli archi, con le saette, con le
ghirlande, con le cornucopie, con le faci, con tutti gli
emblemi della potenza, della ricchezza e della
voluttà, esuli dalle fontane dalle grotte dai labirinti dalle pergole dai
portici, amiche del busso e del mirto sempreverdi, protettrici degli amori
fuggitivi, testimoni dei giuramenti eterni, figure di un sogno ben più
antico delle mani che le avevano formate e degli occhi che le avevano mirate
nei giardini distrutti. E nel dolce
sole di quella tardiva estate dei morti le loro ombre, che s'allungavano a
poco a poco su la campagna, erano come le ombre del Passato irrevocabile, di
ciò che non ama più, che non ride più, che non piange più, che non rivivrà
più mai, che non ritornerà più mai. E la muta parola su le loro
labbra di pietra era quella medesima che diceva l'immobile sorriso su le
labbra della donna consunta": - NIENTE.
Ma essi conobbero in quel giorno altre ombre, altri spaventi.
Il senso tragico della vita li occupava omai entrambi; ed invano tentavano
di vincere quella corporale tristezza entro di cui gli spiriti si facevano
d'attimo in attimo più lucidi e più inquieti. Si tenevano per mano come se
camminassero nel buio o per luoghi pericolosi. Di rado parlavano, ma a
quando a quando si guardavano nelle pupille e l'uno sguardo versava
nell'altro un'onda confusa che non era se non l'orrore e l'amore
traboccanti. Ma i loro cuori non s'alleviavano.
- Andiamo innanzi
- Sì, andiamo.
Si tenevano per mano strettamente, come se fossero a una strana prova,
risoluti di esperimentare sino a qual profondità potessero giungere le forze
della loro malinconia commiste.(...)
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Il labirinto di Villa Pisani |
Villa Pisani a Stra presso Padova |
[Stelio e Foscarina visitano la
villa Pisani a Stra presso Padova, dove restano le memorie dei grandi
personaggi che vi avevano abitato, Maria Luisa di Parma, regina di Spagna,
Napoleone, Massimiliano d'Asburgo].
Ella fuggiva sbigottita, quasi che
tutto stesse per crollarle addosso e la luce fosse per mancare ed ella
temesse di ritrovarsi sola nelle tenebre con quei fantasmi di sventura e di
morte. Camminando nell'aria mossa da quella fuga tra quelle pareti
gravi di reliquie e di larve", dietro l'attrice famosa", che su tutte le
scene del mondo aveva simulato il furore delle passioni mortali, gli sforzi
disperati della volontà e del desiderio, il contrasto violento delle sorti
superbe, Stelio Effrena perdeva il calore delle sue vene come se camminasse
in un vento gelido, sentiva il suo cuore agghiacciarsi, il suo coraggio -
affievolirsi, la sua ragione di vivere perdere ogni forza, i suoi legami con
gli esseri e con le cose allentarsi, vacillare e dileguare le illusioni
magnifiche ch'egli aveva date alla sua anima per incitarla a sorpassar sé
medesima e il suo destino.
- Siamo ancóra viventi? - disse egli
quando furono all'aperto, nel parco, lungi dall'odore tetro.
[Uscito nel sole e
nel tepore, Stelio riprende la «voluttà di vivere», come il convalescente
«dopo aver guardata la morte».
Entrano quindi nel labirinto, costruito nel parco con pareti di
siepi. Stelio si lancia nell'intrico, Foscarina lo segue per ritrovarlo, ma
si perde ed è assalita da una terribile angoscia: sentendosi come
prigioniera senza scampo, essa obiettiva nel labirinto il supplizio
interiore in cui si dibatte, nel suo rapporto difficile con Stelio. Mentre
Foscarina diviene come folle, Stelio gioca crudelmente con lei].
Egli rise tra le foglie,
senza mostrarsi, come un fauno in agguato. Il gioco l'eccitava: tutte le
sue membra si riscaldavano snodandosi nell'esercizio della destrezza; e il
mistero selvaggio, il contatto del suolo, l'odore dell'autunno, la
singolarità dell'avventura impreveduta,
lo sbigottimento della donna, la
presenza stessa delle deità di pietra mescevano al suo piacere corporeo
un'illusione di antica poesia.
- Dove sei? Oh, non giocar più! Non ridere così! Basta.
Carponi egli s'era insinuato nel cespuglio, a capo scoperto: Sentiva sotto i
ginocchi le foglie macere, il musco molle. E come egli respirava nei rami e
palpitava in essi e aveva tutti i sensi presi da quel piacere, la comunione
della sua vita con la vita arboreall si fece più stretta e l'incanto della
sua imaginazione rinnovò in quel viluppo di vie dubbie l'industria del primo
fabbro di ali, il mito del mostro nato da Pasifae e dal Toro, la favola
attica di Teseo in Creta . Tutto quel mondo si fece reale per lui.
Sotto la
sera purpurea d'autunno egli si trasfigurava, secondo gli istinti del suo
sangue e i ricordi del suo intelletto, in una di quelle forme ancipiti tra
bestiali e divine, in uno di quei genii agresti la cui gola era gonfia delle
glandule stesse che pendono dal collo delle capre. Una salacità ilare gli
suggeriva atti e gesti strani, sorprese, insidie; gli figurava l'allegrezza
d'un inseguimento, d'un abbattimento, d'un congiungimento rapido sul museo o
contro il busso inculto. Egli desiderò allora una creatura che gli
somigliasse, un petto fresco a cui egli potesse comunicare le sue risa, due
gambe veloci, due braccia pronte alla lotta, una preda da ghermire, una
verginità da sforzare, una violenza da compiere. Donatella dalle reni
falcate gli riapparve. [ ... ]
[Colpito dalla sofferenza di Foscarina,
Stelio cessa il gioco e si preoccupa di portarla in salvo].
Tornarono verso il Dolo,
ripresero la stessa via lungo la Brenta. Ella non parlò, non apri mai
bocca, non rispose mai, come se non potesse disserrare i denti, distesa in
fondo alla vettura, coperta dal mantello sino al mento, attraversata a
quando a quando da brividi forti come sussulti. soffusa d'un lividore simile
a quello della febbre palustre . Il suo amico le prendeva le dita e le
teneva entro le sue per riscaldarle, ma inutilmente: erano inerti,
sembravano esanimi. E 'le statue passavano passavano. [... ]
E di qua, di là, nella campagna irrigua, le statue passavano passavano
Era come una landa stigia come una
visione dell'Ade: un paese di ombre, di vapori e di acque. Tutte le cose
vaporavano e vanivano come spiriti. La luna incantava e attirava la
pianura com'ella incanta e attira il mare: beveva dall'orizzonte la grande
umidità terrestre, con la gola insaziabile e silenziosa. Ovunque brillavano
pozze solinghe; si vedevano piccoli canali argentei riscintillare in una
lontananza indefinita tra file di salci reclinati. La terra pareva perdere
a ora a ora la sua saldezza e liquefarsi; il cielo poteva mirarvi la sua
malinconia riflessa da innumerevoli specchi quieti. E di qua, di là, per la
scolorata riviera, come i Mani d'una gente scomparsa le statue
passavano passavano.
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