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Ottone Rosai e il purismo metafisico di vicoli dimessi


O. Rosai, Villaggio, 1914
 

Dal 1919 al 1922 Rosai elaborò il proprio linguaggio pittorico, mediato attraverso interessi diversi: alla stagione futurista seguirono le esperienze del purismo e della pittura metafisica, soprattutto verificabile tramite le opere di Carrà e di Morandi, e l'influsso di Paul Cézanne, nonché il recupero del Quattrocento toscano. Rosai sperimenta una nuova pittura di nature morte, paesaggi e composizioni con figure. Il suo interesse si rivolse a immagini di luoghi, cose e uomini di una Firenze minore, dimessa e quasi angusta diventarono famosi i suoi omini, le viuzze e le osterie.

Rosai vuole per la pittura una continuità con la vita, dunque una collocazione nel panorama interiore, nell’animo più che sulle pareti delle stanze («Io voglio scoprire l’anima della mia creatura, il suo viso interno; voglio trovare il suo dramma: essere quella santità di luce e di spazio dipinti in cui si esala il suo grido»), e questo lo accomuna a pittori come Carrà, come Sironi, per certi versi come Viani, che agiscono nell’intimo, nel silenzio arcaico, nelle forze essenziali e primordiali, che fanno crescere sensazioni di densità drammatica e di vastità misteriosa dell’universo umano dando così profilo moderno al tempo nostro. Pensiamo anche a Rouault, a Munch.

A queste specifiche intese Rosai ha sempre tenuto fede, e nella patria dell’ermetismo non si è mai mimetizzato su posizioni nebulose o indecise per apparire raffinato. Al di fuori delle cose vere - sincerità è pure accettare quanto di strano e inquietante la natura ha seminato dentro l’individuo - non vi era, secondo lui, che un esercizio professionale.

Nel mondo avvilito dal dilagare della finzione,  i propositi rosaiani, i suoi scrupoli essenzialmente morali ed etici - tanto libero era di costumi quanto rigoroso nel proprio mestiere - possono sembrare rottami di medioevo, davvero infrequentabili sul filo della velocità, della superficialità e del provvisorio che sono i denominatori, se non i dominatori del contemporaneo. Ma costituiscono anche un’alternativa di pensiero e di meditazione.

«La mia vita e la mia arte son corse avanti con me, [...] io credo alla strada, ai fatti della strada, alla vita vivente e mutevole, all’umanità cui piace stare in piedi e mordere il vento e l’azzurro delle salite; credo alle cose ch’empiono il santo giorno, e non a tutto ciò che sa di sbiadito riflesso di tutta questa divina diversità [...]. Credo in Dio nel senso più vasto della parola, e cioè a un Dio giusto e persino tremendo: l’Iddio degli uomini e non dei mezz’uomini che han sempre paura di compromettersi con un po’ di cervello o di cuore.»

 


 Ottone Rosai, Via Toscanella, 1922


O. Rosai, Scorcio di via Cittadella



O. Rosai, Conversazione, 1922
 






O. Rosai, Giocatori di toppa, 1928
 


Ottone Rosai, Paesaggio, 1944


O. Rosai, Figure al caffè, 1941

 

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