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Un nuovo ruolo per la donna. Le suggestioni della presenza femminile,
   bellezza raffinata e sfuggente, che invade la città
 

● La donna sensibile al mondo dell'arte: modella  e pittrice

Berthe Morisot nasce a Bourges nel 1841. La famiglia è piuttosto facoltosa. Il padre infatti è prefetto. Nel 1855 si trasferisce a Parigi. Inizia a occuparsi di arte nel 1857 prendendo lezioni di pittura e disegno insieme alla sorella Edma.
Dopo un breve apprendistato  presso un allievo di Ingres e Delacroix nel 1861 conosce Camille Corot.
Si interessa alla pittura di paesaggio e lavora spesso "en plein air". Dipinge con Corot a Ville d'Avray e con Oudinot ad Auvers. Conosce Daubigny e Daumier. Studia scultura con Aimé Millet.
Nel 1864 Berthe Morisot espone al Salon dei paesaggi. Spesso, però, si cimenta anche con interni e scene quotidiane. Nel 1868, mentre sta copiando un dipinto di Rubens al Louvre, Fantin-Latour le presenta Edouard Manet. Inizia un sodalizio con il grande pittore, di cui diventa allieva e modella. Posa per l'opera Le Balcon (1868-69), che si ispira a Goya. Stringe amicizia anche con Puvis de Chavannes e Degas. Nel 1870 partecipa nuovamente al Salon con un ritratto della sorella e con La lettura. Ritratto della madre e della sorella Edma, cui ha posto mano anche Manet. Nel 1872 si reca in Spagna per vedere dal vivo le opere dei grandi maestri: Goya e Velázquez. Berthe Morisot frequenta il Salon fino al 1873. Poi, nonostante la disapprovazione di Manet, inizia a esporre col gruppo degli Impressionisti. Nello stesso anno sposa Eugène Manet, fratello di Edouard Manet. Fino al 1886 espone a tutte le mostre degli impressionisti. Unica eccezione quella del 1979, perché in attesa di un figlio. È presente anche a New York, alla mostra organizzata da Durand-Ruel in onore del gruppo.

"Un'altra donna, giovane (appena ventenne) e molto seducente, fa un ingresso tumultuoso nello studio di Manet: è Eva Gonzalez, figlia del celebre romanziere popolare Emmanuel Gonzalés, . Come Berthe, è pittrice, e ha scelto come maestro il vilipeso autore di Olympia. Una forte tensione si stabilisce tra le due allieve. Berthe si lamenta con la madre: «Manet mi fa la morale e mi ripropone continuamente la Sig.na Gonzales come modello. Lei sa come comportarsi, è perseverante, sa condurre a buon termine ogni cosa; io invece non sono capace di niente». Comunque sia, il pittore si dedica tenacemente al ritratto della scura Eva, che inizia nella primavera del 1869 e finisce solo nel marzo 1870, appena in tempo per iscriverlo all'ultimo Salon del Secondo impero. Ci mostra Eva seduta con un vestito bianco ( come quello di Berthe nel quadro Il riposo dello stesso anno 1870 ) mentre dipinge un quadro floreale. Eva appare altera e volitiva. Tra le due allieve modelle e rivali sarà Berthe Morisot a risultare vincitrice e Manet la ritrarrà ancora in una serie di quadri che la esaltano ( tra tutti Berthe Morisot con ventaglio )"
( da Gérard-Georges Lemaire, Manet, Arte e Dossier, n.51, Giunti, novembre 1990 )

 

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E. Manet, Il riposo ( Berthe Morisot ), 1870
 

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Edouard Manet, Ritratto di Berthe Morisot, 1872
 


Edouard Manet, Ritratto di Eva Gonzalez, 1870
 


E. Degas, Al Louvre, la pittura, 1885

 

● Baudelaire - Tableaux parisiens

La città, la metropoli ( la Parigi cantata nei Tableaux parisiens ) è il luogo che rende possibile apparizioni sconvolgenti come quelle di  A  une passante  ( le vie cittadine come lo scenario cangiante, e la città in genere come luogo del Bello contemporaneo ) e non è solo luogo dell'abiezione, dello squallore, della bruttezza. A Parigi lo sguardo della donna, incrociata casualmente, è paragonato al "cielo livido dove cresce l'uragano", promettendo "una dolcezza che incanta ed il piacere che uccide".
 


P. Bonnard, Une passante, 1894 - 1895

 

A una passante

La via assordante attorno a me urlava.
Alta, sottile, in lutto, dolore maestoso
una donna passò con la mano fastosa
sollevando orlo e balza, facendoli oscillare;

agile e aristocratica, con la sua gamba di statua.
Io, io contratto come un maniaco, bevevo
dai suoi occhi, cielo livido gonfio di bufera,
la dolcezza che affascina e il piacere mortale.

Un lampo... poi la notte! - Fuggitiva beltà
il cui sguardo in un attimo mi ha risuscitato,
ti rivedrò soltanto nell'eternità?

Lontano, chissà dove! troppo tardi! forse mai più!
Poiché non so dove fuggi, tu non sai dove vado,
o tu che avrei amata, o tu che l'hai saputo!
 

da Charles Baudelaire, I fiori del male, Tableaux parisiens

 ● Baudelaire - Scritti sull'arte - Il pittore della vita moderna ( 1859 ): la donna soggetto
    di misteriosa e inedita bellezza


Baudelaire - Scritti sull'arte - Il pittore della vita moderna - Dell'eroismo della vita moderna

Per tornare alla questione principale ed essenziale, che è quella di sapere se possediamo una bellezza particolare, inerente a passio­ni nuove, osservo che la maggior parte degli artisti che hanno affrontato i soggetti moderni si sono limitati ai temi pubblici e ufficiali , alle nostre vittorie e al nostro eroismo politico.(...)
Lo spettacolo della vita elegante e delle innumeri esistenze vaganti che si aggirano negli ipogei di una grande città, — criminali e puttane mantenute, — «La Gazette des tribunaux» e «Le Moniteur»> dimostrano che bisogna solo aprire gli occhi per conoscere il nostro eroismo.
La vita parigina è fertile di soggetti poetici e meravigliosi. Il meraviglioso ci avvolge e ci bagna come l'atmosfera; ma non lo vediamo.
Il  nudo
, cosa così cara agli artisti e tanto necessario al successo, è frequente e indispensabile non meno che nel mondo antico: — a letto, nel bagno, nell'anfiteatro. I mezzi e i motivi della pittura sono del pari vari e copiosi: ma c'è un elemento nuovo, che è la
bellezza moderna.

Baudelaire - Scritti sull'arte - Il pittore della vita moderna - La donna

L'essere che per la maggior parte degli uomini è la fonte dei piaceri più vivi e anche più durevoli ( sia detto a mortificazione delle voluttà filosofiche); l'essere verso di cui o a beneficio del quale tendono tutti gli sforzi del maschio; codesto essere terribile e incomunicabile al pari di Dio (con la sola differenza che l'infinito non si comunica in quanto accecherebbe e schiaccerebbe il finito, mentre l'essere di cui si parla è forse incomprensibile solo perché non ha niente da comunicare); l'essere in cui Joseph de Maistre ravvisava un bell'animale le cui grazie allietavano e rendevano più agevole il gioco severo della politica; per il quale e in virtù del quale si costruiscono e si annientano le fortune; per il quale, ma soprattutto in virtù del quale gli artisti e i poeti compongono le loro gemme più delicate; donde derivano i piaceri più snervanti e i dolori più fertili, la donna, per dirla in una parola, non è soltanto per l'artista in generale, e per G. in particolare, la femmina dell'uomo. Essa è piuttosto una divinità, un astro, che presiede a tutte le concezioni del cervello virile; uno scintillio di tutte le grazie della natura condensate in un unico essere; l'oggetto dell'ammirazione e della curiosità più acuta che l'affresco della vita possa offri­re allo spettatore che contempla. È una specie d'idolo, forse stupido, ma fascinante e stregato, che tiene sospesi ai suoi sguardi i destini e le volontà. Non è, dirò, un animale le cui membra, convenientemente composte, forniscano un esemplare perfetto di armonia; e non è neppure il tipo di bellezza pura, quale può essere sognata dallo scultore nelle sue meditazioni più austere; no, questo non giungerebbe ancora a esplicarne il misterioso e intricato incantesimo. Qui non dobbiamo rifarci a Winckelmann e a Raffaello; (...) Tutto ciò che adorna la donna, che serve a illuminare la sua bellezza, fa parte di lei; e gli artisti che si sono particolarmente consacrati allo studio di questo essere enigmatico adorano tutto il mundus muliebris non meno che la donna nel suo essere.
 


C. Monet, Donna con parasole, 1886


A. Renoir, Donna al pianoforte, 1875


A. Renoir, Il palco, 1874
 


E. Degas, Dalla modista, 1881


Baudelaire - Scritti sull'arte - Il pittore della vita moderna
- Elogio del trucco

C'è una canzone, tanto volgare e sciocca da non poter quasi essere citata in un lavoro che ha qualche pretesa di serietà, ma che traduce assai bene, nello stile dell'operetta, l'estetica della gente che non pensa.
La natura abbellisce la bellezza! È da supporre che se avesse potuto esprimersi in francese, il poeta avrebbe detto: La semplicità abbellisce la bellezza! il che equivale a questa verità, che è una verità di un genere del tutto inatteso: II niente abbellisce ciò che è. La maggior parte degli errori intorno al bello nasce dalla falsa concezione del XVIII secolo intorno alla morale. La natura in quel periodo era considerata quale base, origine e archetipo di tutto il bene e di tutto il bello possibili. E nell'accecamento generale di quel secolo, non ebbe poca parte la negazione del peccato originale. Se nondimeno accettiamo di riferirci semplicemente al fatto visibile, all’esperienza di tutti i tempi e alla «Gazette des tribunaux», possiamo vedere che la natura non insegna nulla, o quasi nulla, in altre parole, che essa costringe l'uomo a dormire, a bere, a mangiare e a proteggersi, nei modi che può, contro gli effetti ostili dell’atmosfera. Proprio la natura spinge l’uomo ad uccidere il proprio simile, a mangiarlo a sequestrarlo, a torturarlo; che non appena si esce dall'ordine delle necessità e dei bisogni per entrare in quello del lusso e dei piaceri, si osserva che la natura non può consigliare altro che il delitto. Così, questa infallibile natura ha creato il parricidio e l'antropofagia e mille altri abomini che il pudore e la delicatezza impediscono di nominare. E la filosofia poi ( parlo di quella onesta), è la religione a comandarci di nutrire i genitori poveri e infermi. La natura (che altro non e se non la voce del nostro interesse) ci ordina di ammazzarli. Si passi m rassegna, si esamini tutto ciò che è naturale, tutte, le azioni e i desideri del semplice uomo naturale e non si troverà altro che orrore. Tutto quanto è bello e nobile è il risultato della ragione e del calcolo. Il delitto, di cui la bestia umana ha appreso il gusto nel ventre della madre, è originariamente naturale.  La virtù, al contrario, è artificiale soprannaturale, giacché sono stati necessari, in tutti i tempi e in tutti i popoli divinità e profeti per insegnarla all'umanità imbestiata, e l'uomo, da solo, sarebbe stato impotente a scoprirla. Il male si fa senza sforzo, naturalmente, per fatalità, ma il bene è sempre il prodotto di un arte.

Tutto quello che affermo della natura com’è malvagia consigliera nell'ambito della morale, e della ragione come vera redentrice e riformatrice, può essere trasferito nell'ordine del bello.
Sono perciò indotto a considerare l'acconciatura come uno dei segni della nobiltà primitiva dell'anima umana. Le razze che la nostra civiltà, confusa e pervertita, ama trattare da selvagge, con un orgoglio e una fatuità incredibilmente risibili, comprendono, proprio al pari del fanciullo, la profonda spiritualità dell’abbigliamento. Il selvaggio e l’infante con la loro ingenua aspirazione verso ciò che brilla, i piumaggi multicolori, le stoffe cangianti, la maestà superlativa delle forme artificiali, attestano il loro disgusto per il reale, e dimostrano così,  inconsapevoli l’immaterialità della propria anima. Guai a colui che, come Luigi XV ( il quale fu il prodotto non di una vera civiltà, ma di un ricorso di barbarie), spinge la depravazione al punto di non godere se non la
semplice natura.

La moda deve dunque considerarsi come uno sintomo del gusto, dell'ideale, che galleggia nel cervello umano al di sopra di tutto ciò  che la vita umana vi accumula di volgare, di terrestre e d’immondo, come una deformazione sublime della natura o meglio come un tentativo inesauribile e ricorrente di riforma della natura. Si è anche ragionevolmente osservato (senza peraltro coglierne la ragione) che tutte le mode sono seducenti, ma seducenti in modo relativo, giacché ciascuna rappresenta uno sforzo nuovo, più o meno felice, verso il bello, una qualche approssimazione a un ideale, il cui desiderio solletica senza sosta lo spirito umano non soddisfatto. Senonché le mode, se si vogliono apprezzare appieno, non vanno considerate come cose morte, che sarebbe come ammirare i vecchi cenci appesi, flosci e inerti come la pelle di san Bartolomeo, nell’armadio di un rigattiere. Occorre immaginarle vive, vivificate dalle belle donne che le indossarono. È soltanto così se ne può comprendere il senso e lo spirito. Se dunque l'aforisma: Tutte le mode sono seducenti, vi urta come troppo assoluto, si dica, e si sarà certi di non sbagliare: tutte sono state in modo legittimo seducenti.

La donna è proprio nel suo diritto e anzi compie una sorta di dovere quando si studia di apparire  magica e soprannaturale: è necessario che stupisca e incanti; idolo, deve dorarsi per essere adorata. La donna perciò deve prendere a prestito da tutte le arti i mezzi di elevarsi al di sopra della natura per meglio soggiogare i cuori e colpire gli spiriti, importa poco che l'astuzia è l'artificio siano noti a tutti, se il loro successo è certo e l'effetto sempre irresistibile. In questo genere di riflessioni l'artista filosofo può trovare facilmente la legittimazione di tutte le pratiche messe in opera in tutti i tempi dalle donne per consolidare e divinizzare, in certo qual modo, la loro fragile bellezza. Enumerarle tutte, sarebbe interminabile, ma per ridurci a ciò che il nostro tempo chiama volgarmente trucco, non vi è chi non veda come l'uso della polvere di riso, così insulsamente messo al bando dai filosofi candidi, abbia come fine e come risultato quello di far scomparire dalla carnagione tutte le macchie che la natura vi ha oltraggiosamente disseminate, e di creare un'unità astratta nella grana e nel colore della pelle, la quale, come quella prodotta dalla maglia, accosta immediatamente l'essere umano alla statua, cioè a un essere divino e superiore. E quanto al nero artificiale che cerchia l'occhio e al rosso che segna la parte superiore della guancia, benché l'uso derivi dallo stesso principio, che è il bisogno di superare la natura, il risultato vale per soddisfare a un bisogno del tutto opposto. Il rosso e il nero rappresentano la vita; vita soprannaturale e smisurata; il bordo nero fa lo sguardo più profondo e singolare, dona all'occhio un'apparenza più risoluta di finestra aperta sull'infinito; il rosso che infiamma i pomelli, accresce vieppiù la luminosità della pupilla e insinua in un bel volto femminile la misteriosa passione della sacerdotessa. Così, se non vengo frainteso, la coloritura del viso non deve essere usata con il fine volgare, inconfessabile, di imitare la bella natura e di sfidare la giovinezza. Si è osservato d'altro canto che l'artificio non abbellisce il brutto e può servire soltanto la bellezza. Chi mai oserebbe attribuire all'arte la sterile funzione di imitare la natura? Il trucco non ha da nascondersi, né evitare di farsi percepire; al contrario, può esibirsi se non proprio con affettazione, con una sorta di candore.

Concedo con piacere a coloro cui la gravità compassata, vieta di cercare il bello sin nelle sue manifestazioni più minute, di ridere delle mie riflessioni e di denunciarne la solennità tutta infantile; il loro giudizio austero non mi tocca; e a me basta, ora, fare appello ai veri artisti e a quelle donne, del pari, che hanno ricevuto alla nascita una scintilla di quel fuoco sacro di cui vorrebbero illumi­narsi in tutto il loro essere.
 



Edouard Manet, Giovane donna, 1876
 








Edouard Manet,
Dans la serre - 1879

 


Edouard Manet, La viennoise (portrait d'Irma Brunner) - 1882

 


H. Toulouse Lautrec, Madame Honorin, 1900

 


H. Toulouse Lautrec, La modista, 1901

 


G. Klimt, Signora con cappello e boa di piume, 1909

 


E. Degas, Donne davanti al cafè Terrasse,  1877


E. Degas, Tre donne alle corse, 1880
 


Considerato il più parigino dei pittori della Belle Epoque, Jean Béraud è nato in Russia, a Pietroburgo. Trasferitosi giovanissimo in Francia, diventa celebre per le sue scene di vita parigina. I suoi numerosissimi quadri riflettono gli aspetti più diversi della società francese durante la Terza Repubblica. Oggi molte sue opere si trovano al Musée Carnavalet di Parigi. Nel febbraio del 1897 fu uno dei due testimoni nel duello di Proust con Jean Lorrain, causato da un articolo scritto dal giornalista in occasione della pubblicazione de Les Plaisirs et les Jours e da Proust giudicato ingiurioso. Secondo Painter e Tadiè, Jean Béraud fu uno dei modelli di Elstir per i quadri di vita parigina.
 


Jean Béraud, Theatre du vaudeville
 



Jean Béraud, Soirée, 1890
 


Jean Béraud,, La Soirée, 1880



Jean Béraud,I bevitori, 1909
 








Jean Béraud, Giardini parigini, 1905
 


Jean Béraud, Le grand escalier dell'Opéra di Parigi, 1877
 


Jean Béraud, Modiste aux Champ Elysées, 1888
 


Jean Béraud, Jeune femme traversant le boulevard, 1889
 


Molte opere di Giovanni Boldini  ( 1842 - 1931 ) ritraggono giovani donne che frequentano il bel mondo parigino, tra cui una celebre femme fatale dell´epoca, la marchesa Luisa Casati, un´icona della Belle Époque, definita da Jean Cocteau "il bel serpente del paradiso terrestre" e da Gabriele D´Annunzio, di cui divenne amante, "la sola donna che mi abbia mai sbalordito". Originale ed eccentrica nell’abbigliamento, Luisa Casati amava vestirsi di nero, come appare nel bellissimo ritratto che le fece Boldini, perché esaltava il pallore del suo incarnato. La marchesa si adornava di piume di struzzo, portava lunghi fili di perle e pitoni veri, andava in giro con leopardi che indossavano collari di diamanti: voleva diventare un´opera d´arte vivente. In questo folle clima fin-de-siècle si svolse l´esistenza di Boldini, capace di muoversi con eleganza mondana tra le modelle e le cocottes dei salotti parigini (splendido il ritratto della cocotte Lanthelme, amante di un celebre avvocato), dove ebbe modo di fare la conoscenza anche di Marcel Proust.

Questo affascinante ritratto sembra una perfetta sintesi della poetica formale del pittore, caratterizzata dal vigore della pennellata e dalla figura serpentinata che sembra espandersi nello spazio circostante.  L’immagine è giocata sui diversi toni del nero dello scintillante abito, che si distacca appena dall’oscurità “astratta” del fondo. Il volto, fermo e impassibile, emerge con intensità dai riccioli neri e dal cappello piumato, e guizzi luminosi accendono le maniche del vestito dove spicca una splendida rosa che sembra dialogare con l’incarnato del viso. La posa quasi frontale e il piglio deciso della donna vestita di nero sono elementi che ritroveremo anche nel famoso ritratto della Marchesa Casati con i levrieri, del 1908. A proposito del dinamismo di Boldini, alle origini della sensibilità artistica delle avanguardie, come gran parte della critica sostiene, e in sintonia con il fotodinamismo di Anton Giulio Bragaglia, molto significativo appare un ricordo del fratello di Boldini, Gaetano, che nel 1926 dichiara nel corso di un’intervista: «Molto strano era il suo modo di dipingere giacché egli non faceva posare il modello ma voleva che si muovesse dinanzi a lui per imprimere i tratti vitali con maggiore evidenza sulla tela».
 


G. Boldini, La Marchesa Luisa Casati con levriero, 1908


ml
G. Boldini, Mademoiselle Lanthelme, 1907
 

br
Anton Giulio Bragaglia, Thais, 1916


G. Boldini, Ritratto di Emiliana Concha de Ossa, 1905

 

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