Dalla crisi agraria alla prima guerra mondiale
Il superamento della crisi agraria A partire dagli anni Novanta dell’Ottocento la risicoltura italiana, e con essa quella del Vercellese, si trovò costretta a vivere un processo di revisione dei processi produttivi. Gli agricoltori furono costretti a rivedere i loro comportamenti tradizionali intervenendo sulle pratiche colturali, sulle rotazioni agrarie, sulle varietà coltivate, sulla qualità del prodotto, sui concimi, sugli strumenti e le macchine. Con la ricerca di una nuova redditività aziendale si attuarono innovazioni che portarono l’agricoltura delle zone risicole verso una nuova organizzazione, con la quale sembrò superata la crisi di fine Ottocento con il primo decennio del Novecento. Si verificò una riduzione complessiva della superficie coltivata a riso, con una progressiva concentrazione della produzione. Nei primi anni del Novecento incominciarono a tenersi i Congressi internazionali di risicoltura, il primo a Novara nel 1901, il terzo a Vercelli nel 1906. Si prese atto di innovazioni importanti come l’abbandono su larga scala delle risaie stabili, che prolungando per più anni consecutivi la semina del riso diminuivano via via la qualità del prodotto e le capacità generative della terra, rendendola inadatta a recepire nuove colture. Si estesero le risaie in rotazione, in grado di sfruttare meglio le risorse dei terreni, e la pratica della monda, con l’eliminazione delle piante infestanti. Frumento e foraggi ebbero più ampi spazi. Si scelsero varietà di riso dall’Oriente, come il cinese, con una maggiore resistenza alle malattie anche se di qualità minore. Un ruolo fondamentale ebbe lo sviluppo di una migliore conoscenza dei concimi, che portò alla diffusione della concimazione bilanciata.
La
Federazione dei
Consorzi
agrari aveva supportato la
nascita di molte fabbriche cooperative di concimi. Lo sviluppo della
produzione di fertilizzanti fu tale che verso il 1910 incominciò a
verificarsi una certa saturazione del mercato e si cercò di formare dei veri
e propri cartelli fra i produttori. Strumenti di lavoro e macchine
riguardanti la semina, la mietitura e la lavorazione del prodotto finito si
diffusero con una certa intensità. Si impiegavano
aratri ormai totalmente di ferro,
seminatrici
meccaniche e mietitrici. Vennero curate le fasi del trapianto del
riso e dell’essiccazione, fu ridotta così la deperibilità dei grani nei
magazzini. I risultati ottenuti e quelli ancora da perseguire vennero
constatati nel quarto Congresso internazionale di risicoltura a Pavia nel
1912. Dopo la caduta della produzione e dei mercati degli ultimi decenni
dell’Ottocento ci furono risultati con caratteristiche molto diverse. La
varietà dei risi fu di bassa qualità e determinò una produzione di massa. Le
correnti di esportazione ripresero vigore fino a quando dovettero
confrontarsi con le norme e le limitazioni imposte dalla guerra incombente. |
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La grande guerra
L’entrata in guerra dell’Italia pose la questione fondamentale
dei rifornimenti alimentari, che furono essenziali per i
reparti militari. L’Italia della prima guerra mondiale andò incontro a
notevoli carenze alimentari, insieme ad altri prodotti di base per il
soddisfacimento dei bisogni dei suoi cittadini. Le risorse assorbite dai
reparti militari furono una delle cause della modificazione nella
distribuzione delle fonti di alimentazione. Per un Paese da sempre
tributario dall’estero per una parte importante dei consumi di cereali,
l’inizio della guerra già nel 1914 segnò gravi difficoltà di
approvvigionamento. I primi provvedimenti presi dagli Stati belligeranti
erano tesi a impedire
la fuoriuscita dai rispettivi territori dei beni indispensabili, con l’intento di crearsi delle specie di riserve strategiche. La riconversione postbellica Finita la guerra le industrie dovettero riconvertire la produzione di beni, per così dire, di guerra, per i consumi pubblici, in beni di consumo privato. La riconversione industriale avvenne con evidenti difficoltà per la inevitabile riduzione della produzione, non più sostenuta dall’elevata domanda pubblica e affidata a una debole domanda privata. Anche l’agricoltura si trovò ad affrontare una riconversione, pur se in condizioni diverse dal mondo industriale. La riconversione non toccava di per sé la quantità prodotta, in quanto il mercato poteva assorbirla, ma piuttosto le modalità organizzative, dai metodi di coltivazione sino al regime dei prezzi. L’industria doveva riconvertirsi cambiando i prodotti, gli agricoltori del riso cambiando i comportamenti. L’estate del 1919 vide la costituzione di forme associative sindacali come il Consorzio nazionale per il riso, che si trovò ancora ad operare con l’intervento pesante della mano pubblica. Tre anni difficili furono quelli compresi fra il 1919 e il 1921 dove il settore del riso fu percorso da eventi che andavano ben oltre il problema tradizionale della produzione, della trasformazione e dello smercio del riso, compresi i rapporti internazionali. Rapporti difficili Gli anni successivi alla guerra videro esplodere molte situazioni conflittuali in quasi tutti i settori economici produttivi, tanto che si giunse a definire il periodo come biennio rosso. Nelle industrie e nelle campagne vi fu il problema della carenza di braccia e vi si provvide in qualche modo, sino a giungere all’utilizzo nelle campagne dei prigionieri di guerra, con tutta una serie di difficoltà soprattutto in termini di normativa applicata. Il ritorno alla normalità si scontrò con numerose tensioni. La primavera del 1919, alle prime semine primaverili del dopoguerra, vide subito esplodere i contrasti su temi come il collocamento, per i quali si cercava di organizzare appositi uffici. In questi si sarebbero dovuti prendere in considerazione prioritaria i lavoratori locali, allontanando dai campi i prigionieri di guerra che ancora permanevano, e ricorrendo soltanto in seconda battuta ai lavoratori provenienti da altre aree. Salari e orari di lavoro costituirono inoltre i punti di maggiore pressione. Le tensioni parvero ottenere alcune concessioni a favore delle richieste dei lavoratori come una diminuzione dell’orario di lavoro, una regolamentazione del lavoro straordinario e la revisione dei salari. Le nuove regole trovarono scarsa applicazione e l’estate del 1919 vide ulteriori momenti di scontro, toccando ulteriori argomenti di importanza basilare. Il Vercellese poteva vantare una sorta di primato nel campo delle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro. L’Associazione fra gli agricoltori del Vercellese
Nei primi anni del Novecento, nel clima
favorevole creatosi con la fase di sviluppo positivo, gli agricoltori del
Vercellese si organizzarono in una associazione. La necessità di una
organizzazione rappresentativa era ormai sentita da molti e la spinta
decisiva venne da un personaggio cresciuto proprio in una famiglia di
imprenditori agricoli.
Eusebio Saviolo fu il promotore della
Associazione
tra gli agricoltori del Vercellese. Gli scopi dell’associazione erano
molteplici e andavano dall’esigenza di seguire con attenzione le innovazioni
tecnologiche, alla necessità di essere presenti nel dibattito sui problemi
dell’agricoltura, al collocamento della manodopera, ai patti di lavoro.
Un ruolo centrale per Vercelli
La Cassa mutua vercellese fu incaricata
di gestire anche le province di Novara, Pavia ed Alessandria, cioè le zone
risicole più importanti e con le maggiori aziende agricole. Anche dopo la
costituzione dell’INAIL, nel
1933, aumentò la sua competenza su un intero
compartimento fra i 18 nei quali era stato diviso il territorio nazionale.
Nel 1949 la Cassa mutua infortuni agricoli di Vercelli passò definitivamente
le sue competenze all’INAIL. A Vercelli nel
1908 ebbe vita un’altra
iniziativa molto significativa, la
Stazione sperimentale di risicoltura. |
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