Gente
del monte, gente del piano
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Un decennio dopo il compimento dell'Unità d'Italia, il Piemonte conservava intatta la sua robusta fisionomia di regione a economia agricola. Solo in tempi recenti la popolazione aveva cominciato ad addensarsi in pianura, nelle città e in alcune grosse comunità rurali; dagli inizi dell'Ottocento avevano cominciato a disgregarsi le comunità delle aree alpine più isolate. In pianura non si stava molto meglio che sulle Alpi, le spese per l'alimentazione si portavano via quasi l'intero salario di un lavoratore a giornata e di un avventizio. I contadini, chiusi nei loro affanni quotidiani e in certa "barbara selvatichezza", apparivano legati ad una vita meccanica, quasi animale, e perciò valutati solo per il loro operato e niente di più. Assai più pesante era la sorte di quanti vivevano nelle zone più alte. Pane di segala e orzo, cotto a dicembre per tutto l'anno, polenta e patate, un po' di castagne, latticini di infima qualità, era quanto compariva invariabilmente sul desco di famiglia: si risparmiava il sale nella minestra e il vino era riservato ai giorni di festa. La vita di un montanaro durava in media trentotto anni rispetto ai quarantacinque-cinquant'anni che riusciva a vivere un uomo in pianura; la proprietà contadina, troppo sminuzzata, non dava da vivere.
In collina e nella pianura irrigua c'era inoltre di che impiegare le donne nel lavoro dei campi, e il bracciante poteva fare affidamento, se non riusciva a realizzare la speranza di acquistare un palmo di terra, sull'alloggio a carico del padrone, sulla legna per riscaldarsi, sugli animali da cortile e sui proventi di qualche prestazione sussidiaria. Per buona parte dell'Ottocento le località di collina registrarono incrementi demografici; il movimento assistenziale e umanitario, i soccorsi e le cure mediche contribuirono ad alleviare le condizioni dei più indigenti. Nelle principali cittadine rurali, s'era cominciato ad abbattere le vecchie mura, a slargare le cinte e a costruire nuove strade. La popolazione dei capoluoghi era cresciuta infatti tra il 1824 e il 1861 di quasi il 64 per cento a Novara e a Vercelli, e del 48 per cento ad Alessandria; tuttavia non di rado la campagna continuava a penetrare fin nel cuore dell'abitato con fienili, orti e stalle.
I campi e
le fabbriche
Gran parte della popolazione continuava a
vivere nei quartieri centrali fra le dimore civili della buona borghesia e
le palazzine patrizie, le une allineate con le altre senza stridenti
difficoltà, mentre il popolino s'addensava nelle soffitte.
Il sistema di
fabbrica costituiva un fenomeno marginale, limitato alla presenza di
alcuni stabilimenti militari governativi. Prevalevano i laboratori
artigianali, gli esercizi dei mercanti-imprenditori che dalla città
raccoglievano quanto si dava da lavorare nelle campagne circostanti, le
agenzie commerciali o la rappresentazione di imprese sorte in provincia. I nuovi orientamenti politici e culturali, le riforme economiche e amministrative introdotte da Cavour, e l'incremento del commercio estero avevano contribuito a far uscire il Piemonte da una lunga stagione di relativo immobilismo a stabilire contatti meno labili con il corso generale delle società borghesi europee. Nelle campagne, la conduzione capitalistica, basata sullo sviluppo degli investimenti fondiari e su un agricoltura a rotazione continua, rimase dopo l'Unità un fenomeno circoscritto ad alcuni circondari.
Il lavoro disseminato
a domicilio costituiva ancora lo scenario consueto in cui si svolgeva
l'opera degli esercizi industriali. All'industria provvedevano soprattutto
i piccoli centri e le borgate rurali. Un po' di lana, lino o di seta veniva prodotto quasi dovunque in Piemonte, spesso con il trattamento di fibre vegetali che si rinvenivano sul posto; i piccoli quantitativi di ferro o altri metalli di minor pregio bastavano ad alimentare una costellazione di fornaci e fucine dislocate lungo i principali corsi d'acqua e nelle zone boschive. Cavour aveva puntato, sullo sviluppo di una moderna industria meccanica e amatoriale a Genova, per favorire l'integrazione politica del principale centro d'opposizione al governo sabaudo e inoltre per assecondare l'inserimento degli Stati sardi nel sistema dei commerci e delle grandi comunicazioni su scala europea. In tempi di crisi il piccolo fabbricante era in grado di arrestare la produzione con poco danno o di alzare i prezzi, adulterando la merce con mille accorgimenti, e di riprendere poi il lavoro non appena il mutamento della congiuntura lo rendeva possibile. L'attività siderurgica concentrata in prossimità delle miniere aostane era rimasta indietro rispetto ai metodi più progrediti. Soltanto l'industria meccanica aveva assunto dimensioni relativamente solide e meno disperse, almeno a Torino dove s'era affermato anche un primo embrione di imprese chimiche e affini. Non c'era quasi paese in Piemonte che non annoverasse le sue brave lavorazioni casalinghe per la tessitura di ruvidi panni di lana e di coperte da letto, per la confezione di saggine,zoccoli, per la fabbricazione di maioliche, pale e falci. L'origine degli imprenditori era campagnola. Ad eccezione dei principali cotonieri e di alcuni padroni di fonderie e di officine meccaniche calati dalla Svizzera, dal Belgio o dall'Alsazia con una buona scorta di cognizioni tecniche, la maggior parte dei fabbricanti piemontesi, affermatasi a capo di grandi complessi meccanizzati, proveniva da una schiera minuta di artigiani rurali impadronitasi di cognizioni di meccanica, di geometria, di calcolo in fatto di velocità e di potenza delle macchine. La possibilità di ingaggiare sul posto una massa di lavoranti che si accontentava di poco, l'accesso a buon mercato per l'energia motrice ai corsi d'acqua locali, il ricorso in caso di necessità al giro dei parenti e degli amici più stretti giustificavano ampiamente certo istintivo attaccamento di questi primi fabbricanti al campanile e alla parrocchia, intriso di geloso individualismo, di calcolo terragno e di rude paternalismo. Per tutta la prima metà del 1800 il sistema di fabbrica era cresciuto così a fianco dell'industria e dell'agricoltura mercantilizzata. Il buon andamento delle lavorazioni rurali aveva incoraggiato i matrimoni in età più bassa che in passato e favorito la crescita numerica dei nuclei familiari.
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Il contesto regionale e locale
nel XVIII e XIX secolo