La conquista della terra. Sviluppi dell'agricoltura proprietaria piemontese nella prima metà dell'800.
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Intorno alla metà del secolo
numerose macchine avevano fatto ingresso nelle campagne:
aratri metallici,
trebbiatrici, sgranellatrici per il granoturco, seminatrici, pompe
idrauliche. La concimazione chimica, l’uso dei fertilizzanti e degli
anticrittogamici non erano più sconosciuti. Grazie a queste prime
innovazioni e alle opere assai più consistenti di sistemazione fondiaria e
d’irrigazione, si erano avute variazioni nel valore dei fondi rustici e dei
fabbricati. |
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La rivoluzione agronomica
inglese
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Le teorie fisiocratiche in
Francia
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Nelle zone di pianura a coltura asciutta parecchie grandi proprietà nobiliari, di fronte alla costante domanda di terre e all’inasprimento del regime fiscale, si erano in parte disgregate per far posto a minuscoli poderi misti di seminativi e gelsi. I grossi possidenti fondiari nei terreni irrigui e nelle distese alluvionali tra il Tanaro e la Sesia avevano cercato di consolidare le loro tenute con accorpamenti. Nella località di collina la progressiva diminuzione di vigneti d’alta qualità contribuì all’estensione delle piccole proprietà. Alcune annate sfavorevoli e le gravi devastazioni arrecate dopo il 1840 dal diffondersi della crittogama, rendendo inesigibili i canoni d’affitto e mettendo in crisi i contratti di mezzadria, avevano indotto alcuni proprietari a vendere parte dei loro poderi: se ne erano avvantaggiate quelle famiglie contadine che si accontentavano di colture vinicole più grossolane con filari intervallati a tratti coltivati a mais o cavoli e fagioli. Era così cresciuto il ceto dei piccoli possidenti.
Fra le categorie benestanti
s’inserì una nuova schiera di proprietari fondiari
che avevano fatto fortuna
nel commercio, nelle professioni o al servizio dello Stato, che
acquistavano
appezzamenti di terra sia a fini di prestigio sociale sia
per accrescere il loro reddito, e davano i poderi in affitto a contadini e
fattori.
Durante il periodo cavouriano erano state
solo le vecchie famiglie
dell’aristocrazia provinciale a gestire bene i loro affari e le loro terre con
efficace spirito d’iniziativa per conservare le propria posizione sociale o
migliorarla. Tra i proprietari borghesi non di estrazione rurale ( avvocati,
notai, medici, speziali, geometri, misuratori ) c'era stata poca propensione
ad accogliere le novità agronomiche. La rotazione quadriennale e
l’impiego di più moderni attrezzi, avevano interessato solo aziende
piemontesi poste tra la fascia asciutta e la collina. Il progresso delle
tecniche più competitive assunse dimensioni importanti unicamente nella zona
tra la Dora Baltea e il Ticino. Il fenomeno di maggior rilievo nelle campagne
piemontesi era piuttosto l’ispessimento della proprietà terriera ai livelli
più bassi. Nel corso dell’ultimo mezzo secolo non
poche barriere alla mobilità e al libero commercio delle terre erano state
abolite. Dopo le alienazioni di più consistenti quote di terre
demaniali o confiscate al clero, il codice Albertino del 1848 e le leggi del
1855 avevano svincolato la proprietà immobiliare dai residui obblighi di
natura feudale. Nel 1857 nuove norme avevano concesso agli
enfiteuti la facoltà di riscatto per i fondi da essi coltivati. Questi
provvedimenti contribuirono a liquidare tradizionali privilegi
gentilizi e di corporazione religiose e a mettere progressivamente sul
mercato rilevanti porzioni di terra. |
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Intorno alla metà del
decennio cavouriano le casse di risparmio
raccoglievano depositi di piccoli e medi proprietari. Nel 1871
si
giungerà ad una prima rilevazione statistica per attività e categorie
professionali, dopo i censimenti preunitari e si conterà
in Piemonte un
proprietario-coltivatore ogni sette abitanti (quasi il 15%
dell'intera popolazione, tre volte tanto rispetto alla Lombardia ). |
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