Liberismo ed imprenditorialità
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Le teorie liberiste
L'orientamento dominante della dottrina
economica del tempo era quello del
liberoscambismo o
liberismo, fieramente in lotta contro le protezioni doganali, i
monopoli, i divieti ed i vincoli statalistici. Dalla libertà degli scambi
gli economisti si attendevano
decisivi incrementi del commercio e degli affari, riduzione generale dei
prezzi dei generi alimentari e delle materie prime, dei salari, dei costi di
produzione, accompagnati da generali
ampliamenti delle possibilità di
consumo e da una espansione delle produzioni più convenienti a ciascun
paese con vantaggi di specializzazione. Un circolo virtuoso,
insomma.
I
protezionisti ripetevano vecchie teorie mercantiliste di secoli
passati ( la ricchezza di una
nazione si realizzerebbe esportando molto e importando poco: si esprimerebbe
cioè negli avanzi di bilancia commerciale saldati in oro ),
oppure cominciavano a considerare l'industrializzazione come un imperativo
da realizzare a tutti i costi. Temevano che la divisione del lavoro potesse
produrre un vantaggio per i paesi ad economia industriale a danno dei paesi
a prevalente economia agricola. |
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Altra grande disputa italiana tra protezionisti
e liberoscambisti aveva riguardato divieti, vincoli, imposizioni sulle
esportazioni delle sete gregge. Vietando o ostacolando tale
esportazione, se ne teneva basso il prezzo, favorendo la loro lavorazione
all'interno, nella torcitura, cioè nella produzione intermedia del filo
pronto per la tessitura. Amici di Cavour, come l'avvocato
Giovannetti
di Novara, o il
Giulio, avevano sostenuto il contrario e i fatti avevano dato loro
ragione. L'abolizione dei vincoli e il conseguente ribasso sui mercati
esteri della sete gregge, ne aveva favorito l'uso e con esso l'impiego
nell'industria tessile, con conseguente incremento della domanda mondiale
non solo delle sete gregge ma anche dei prodotti filati, fra cui quelli
piemontesi. Inoltre la soppressione di quei vincoli aveva stimolato un
intenso ammodernamento tecnico per la riduzione dei costi. |
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Un ragionamento analogo Cavour svolse, spiegando
che le lane merinos europee avrebbero potuto continuare a
gareggiare con quelle neozelandesi o russe
se si fosse accresciuta la
produttività dell'allevamento, associando alla produzione
commerciale delle lane quella dei formaggi ricavabili dal
latte degli stessi animali: metodo a lui direttamente noto per esperienza. |
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Cavour imprenditore e uomo d'affari
Come al solito occorre far riferimento all'opera
fondamentale di Rosario Romeo,
Cavour e il suo tempo ( nella sezione intitolata Agricoltura e
affari ) per avere precise informazioni sull'attività
di Cavour come imprenditore agricolo, che non rinuncia al suo
coinvolgimento in ogni sorta di affari, quali la compartecipazione
ad attività economiche e finanziarie, che possono utilmente coniugarsi
con i suoi progetti di messa a frutto della tenuta di Leri e più in generale
con la sistematizzazione dei progressi dell'economia piemontese.
Basti pensare al problema dell'uso
nuovi
concimi chimici, che convince Cavour alla creazione di una
società in accomandita, la
Rossi Schiapparelli e C., nata con i capitali raccolti presso gli
amici banchieri De La Rüe
di Genova e organizzata per la fabbricazione di un fosfato di calcio
ad uso agronomico, che purtroppo non ebbe mai successo e portò
all'estinzione dell'attività industriale. Ed all'
impiego del guano del Perù, fatto importare inizialmente in grandi
quantità, commercializzato anche in altre aziende piemontesi e oggetto
di qualche piccola speculazione, fino alla creazione di una nuova attività
industriale della ditta
Ecarrissage ( del genovese
Gavino e poi del
Rossi )
volta alla diretta fabbricazione di guano "normale e concentrato" che
veniva definito uguale al migliore del Perù.
Problemi di non minore entità, tecnica e
finanziaria, comportava
l'ammodernamento dell'ultima fase di lavorazione del riso,
destinata ad ottenere dal risone, mediante l'asportazione dei
tegumenti, il riso mercantile. Ancora in questo
periodo essa si effettuava all'interno del fondo nelle
antichissime « piste da riso»,
azionate dalla forza idraulica, e munite di un robustissimo palo di legno a
punta ferrata (il « pestello »), che batteva sul risone contenuto in
un vaso di pietra sottostante. Il notevole fabbisogno idrico delle
piste poneva non lievi problemi all'azienda, costretta talora, in
tempi di gelo, a rinunciare ad un'adeguata irrigazione delle marcite.
In questo caso l'incentivo a una radicale innovazione del sistema
tradizionale fu offerto a Cavour dalle proposte di associazione della
ditta
Fourrat. di Bordeaux,
che già da un paio d'anni gestiva in quella città uno stabilimento per la
brillatura del riso utilizzando macchinario brevettato da
G.Ochsner,
console svizzero ad Amsterdam. Fourrat
aveva inviato in Piemonte un
suo agente, che Cavour mise subito in contatto con l'ingegner
Colli,
desiderando conoscere la sua opinione sull'invenzione, mentre cominciò a
sondare qualcuno dei suoi amici ginevrini per un'eventuale
partecipazione finanziaria all'impresa. Verso la fine del 1846 si attendeva l'entrata in funzione per l'anno successivo di un nuovo grande brillatoio nel Regio Parco di Torino, che però iniziò la sua attività solo nel 1849 e Cavour contribuì in modo considerevole ad avviare l'iniziativa. Egli fu indotto ad allargare la partecipazione dal favorevole andamento iniziale dell'impresa. Si venne perciò alla costituzione, il 10 gennaio 1850, di una società in partecipazione, formata dal Cavour, stipulante anche per la società d'affitto di Lerí, dai Fourrat Frères e dalla società Gaston Blondel. Quest'ultíma, nella sua qualità di proprietaria dello stabilimento del Parco, lo metteva a disposizione esclusiva della società in partecipazione, la quale a sua volta si obbligava ad alimentare l'impianto fornendo un quantitativo annuo di riso bianco da brillare (o di risone in misura equivalente) del peso netto, dopo la lavorazione, di 45 mila quintali.
Cavour non abbandonò mai l'interesse per l'industria
molitoria. I
Fourrat,
intenti ad allargare sempre più le posizioni che già possedevano nel
commercio delle farine e nell'industria molitoria piemontese, gli
avevano proposto, fin dall'aprile 1850, di entrare in una nuova società
per azioni "pour l'établissement d'un moulin à l'américaine ",
chiedendo il suo appoggio " pour une telle industrie, nouvelle mais très
avantageuse pour le pays et pour les actionnaires". La «
Società anonima dei molini anglo-americani di Collegno », destinata a
gestire i « molini a farína » di grano nel territorio di Collegno, ma
che lavorerà anche i risi di Leri, venne costituita il 13 maggio 1850,
con un capitale di 400 mila lire: fra i maggiori azionisti, i
Fourrat con 140 mila
lire, Cavour
con 90 mila e l'Albertin
con 50 mila. Venne acquistato il vecchio mulino, costruito un nuovo
edificio, installate macchine Tavlor. |
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L'interesse di Cavour per la nascita di un nuovo sistema bancario
Tra gli affari e la politica, sta la
partecipazione di Cavour alla creazione dei primi
moderni istituti
di credito a Genova e a Torino, destinati di lì a qualche anno a
confluire nella Banca Nazionale degli Stati Sardi, che più tardi
divenne, com'è noto, la Banca
d'Italia. La larga disponibilità di mezzi da parte delle regie finanze sollecitò una serie di provvedimenti con i quali esse venivano autorizzate a concedere prestiti su deposito di titoli del debito pubblico e cedole della città di Torino o, a partire dal 1837, su depositi di sete effettuati da negozianti, grazie a un fondo di sei milioni istituito a questo scopo. Lo Stato in tal modo procedeva a finanziare direttamente il mercato, mentre veniva anche istituita una Cassa di depositi ed anticipazioni, alimentata con i fondi giacenti presso le province e i comuni, e destinata a finanziare le spese degli enti locali. Il grosso del credito commerciale restava tuttavia nelle mani delle banche private, quasi sempre a carattere strettamente familiare e spesso interessate anche in affari di commercio, le quali, accanto ad operazioni su titoli del debito pubblico, praticavano un ristretto credito di esercizio, scontando cambiali, concedendo anticipazioni su depositi di merci, soprattutto seriche, ed effettuando altre operazioni a breve termine. Esse accettavano anche depositi a custodia, emettendo perciò moneta bancaria nella forma di titoli negoziabili e a scadenza: ma appunto tale caratteristica differenziava la circolazione originata da queste banche dai biglietti al portatore, emessi da un moderno istituto di emissione, convertibili a vista senza aggravio di sconto e formalità di girate; e l'azione ne risultava dunque assai meno conforme alle cresciute esigenze del commercio e della vita economica in generale. La richiesta di più adeguate strutture creditizie venne dunque facendosi sempre più vivace: e se ne ha la riprova nel moltiplicarsi delle proposte in tal senso che si registra in questi anni. Il problema era specialmente sentito a Genova, che alle crescenti esigenze del grande commercio d'oltremare univa le tradizioni ancora recenti di un grande centro finanziario e bancario a livello europeo. E appunto gli amici e corrispondenti genovesi del Cavour, i banchieri De La Rüe, già nella primavera del 1836 avevano sottoposto al governo il progetto di una nuova banca, alla quale offrivano di partecipare per 600 mila franchi. Il progetto, di cui anche Cavour aveva caldeggiato l'accettazione, era naufragato contro le difficoltà incontrate nelle sfere di governo, nelle quali si era persuasi che « les actíons de la banque projétée ont été accaparées par un petit nombre de capitalistes, pour la plupart étrangers, ce qui rendrait son établissement peu populaire parmi le commerce de Génes ». Erano preoccupazioni radicate nel paternalismo del regime assoluto, e con esse Cavour dovrà fare i conti più volte negli anni successivi.
Tuttavia, l'iniziativa riuscì finalmente ad
avere successo quando, verso la fine del 1843, venne
ripresa da un gruppo di finanzieri liguri con a capo, ancora una volta,
il
duca di Galliera,
che contemporaneamente sollecitava la concessione della linea ferroviaria da
Genova alla frontiera lombarda e ad Alessandria.
Ancora prima che la Banca iniziasse la sua
attività si scatenò tuttavia una attivissima speculazione sui suoi
titoli, che vennero ceduti con premi del 37 e fino del 40 per cento,
assicurando al fondatori cospicui benefici: così che nell'aprile del
1845 le azioni appartenenti al loro gruppo si erano ridotte da 1.400 a 671.
Fuori di quel gruppo erano però
rimasti i De La Rüe
e i
Ricci,
e cioè le due case bancarie
genovesi con cui Cavour
aveva più stretti rapporti, sembra per dissapori sorti nelle
prime fasi dell'iniziativa. Nel tentativo di far rientrare in qualche
modo le due ditte nel lucroso affare, Cavour in un primo tempo sollecitò
la concessione, a favore di un gruppo in cui esse avrebbero avuto la parte
maggiore, di tutte le 2.600 azioni non spettanti ai promotori'.
Respinta la proposta, troppo evidentemente contraria ai criteri di
equidistanza dai vari interessi seguiti dal governo,
Cavour
dovette invece accontentarsi di sollecitare per i propri soci una cospicua
partecipazione alla successiva distribuzione,
mentre cercava di assicurarne al
Naville,
in cerca di buoni investimenti, una quota consistente ai
prezzi di borsa. |
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Ma soprattutto il successo dell'iniziativa
genovese sollecitò
alcuni uomini d'affari piemontesi, e il
conte
fra essi, a realizzare, anche su questo terreno, qualcosa di analogo a
Torino.
Frattanto la
Banca di Genova completava la
propria organizzazione e il 19 maggio 1845 apriva gli sportelli. Essa
era rimasta saldamente controllata dai
maggiori
finanzieri liguri: e nelle sue file veniva emergendo la figura di
Carlo Bombrini,
venuto su nella ditta del primo presidente della Banca,
Bartolomeo Parodi,
e nominato fin dall'inizio direttore, che questa carica avrebbe poi
conservato nella Banca Nazionale, e che sarebbe rimasto sino alla morte
(1882) al centro della vita finanziaria dell'Italia unita. In relazione
alla prevalenza di questo tipo d'interessi la Banca nel primo periodo
della sua attività si dedicò al servizio di pochi grossi clienti ed
ottenne anche una apertura di credito da parte dello Stato.
Un ultimo intervento di Cavour in ambito
finanziario lo vide impegnato nell'operazione che portò alla fusione del
Banco di Genova con il Banco di Torino, avvenuta nel 1848, nel
periodo delicatissimo dello scoppio del moto rivoluzionario e
dell'instaurazione della repubblica in Francia. Quando la fusione fu
decretata, si produsse sul mercato una spinta al rialzo dei titoli del
nuovo e provvisorio istituto torinese di cui Cavour non mancò di profittare. |
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Alcune conclusioni Nel periodo fra il ritorno dall'estero nel giugno 1843 e l'ingresso al governo nell'ottobre 1850, Cavour si dedicò dunque a una serie numerosa di iniziative agricole, industriali, commerciali, finanziarie, bancarie, nelle quali si impegnò con energia, senso di adattabilità alle circostanze, ricchezza e varietà di espedienti. L'iniziativa del conte si impegna ad infrangere tutte le consuetudini di un ambiente, quello sabaudo, nel quale tuttavia non mancano uomini d'affari avveduti, rotti a tutte le astuzie, spregiudicati e ambiziosi. Michelangelo Castelli riferisce che in gran parte le speculazioni cavouriane si chiusero in perdita per il conte, e così ha giudicato anche qualche scrittore più recente. L'affermazione probabilmente trae origine dall'insuccesso di imprese propriamente industriali come la Rossi e Schiapparelli e la partecipazione alla Società del Parco, ovvero dal mediocre andamento della società per i Mulini di Collegno: ma è insostenibile sul piano generale.
Numerosi furono gli esempi di iniziative
fortunate, ma soprattutto fu
la considerazione
e l'autorità da Cavour acquistata nel mondo degli affari non solo torinese
ma anche genovese e ginevrino, presso uomini dotati di larghissime
esperienze ed importanti relazioni finanziarie, che lo fanno
considerare una personalità centrale nel panorama economico dell'epoca.
Costoro assai spesso si mostrarono disposti a rischiare capitali rilevanti
in imprese condotte dal conte, e talune di esse giudicarono
possibili solo sotto la sua guida. L'impressione di abilità e di concretezza che emanava da tutta la personalità del conte finiva per imporsi ai più vari osservatori: insomma, Cavour possedette in altissimo grado capacità imprenditoriale che è dote apprezzatissima nel settore economico e finanziario. Nel mondo degli affari torinese l'autorità personale ch'egli aveva acquistata rendeva praticamente indispensabile la sua partecipazione a ogni impresa importante, così da farlo spesso figurare, a titolo personale, a fianco delle maggiori case bancarie, alle quali riuscì talora, come nell'affare della Banca di Torino, a imporre linee di condotta alle quali erano state a lungo recalcitranti.
Certo, nessuna impresa produttiva di grandi dimensioni rimase stabilmente
legata al suo nome: e di ciò, a parte la estrema rarità di tali
imprese nel Piemonte di allora e
l'arretratezza tuttora persistente di certe strutture
finanziarie, l'origine
va vista anche nella limitatezza dei mezzi a sua
disposizione. In effetti,
egli era bensì titolare di un ingente patrimonio, ma a carattere quasi
esclusivamente immobiliare, e per gran parte sottoposto a vincoli di
comproprietà, che lo rendevano indisponibile per avventure finanziarie.
Da ciò il suo operare per gran
parte con capitali altrui, e il carattere prevalentemente speculativo di
molte sue iniziative, assai redditizie sul piano del reddito, e
di notevole significato anche per il contributo che finivano col dare
alla generale mobilitazione produttiva del risparmio,
ma avare di risultati
materialmente individuabili. Assai
spesso, dunque, la
molla dell'interesse economico, della pura avidità di profitto, che
tanto spesso invidiosi e rivali politici gli rimproverarono,
si univa in lui
alla fede più alta nel progresso civile, alla convinzione, profondamente
caratteristica del liberalismo della sua epoca, che le nuove conquiste
dell'economia e della produzione erano conquiste di tutta la civiltà;
e dunque all'ambizione di contribuire anch'egli a quell'opera con le sue
iniziative di imprenditore e di moderno uomo d'affari. « Nella nostra
impresa agricola - scriveva per esempio al
Corio -
non si tratta solo di far guadagni, ma altresì di mantenere l'acquistata
riputazione. Per noi è un affare altrettanto d'amor proprio quanto
d'interesse ». |
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