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La gestione di Leri
I bilanci di Leri

Una sintesi delle vicende storiche del territorio di Leri

Nel 1179 la grangia venne acquistata dal monastero di S. Genuario, cui apparteneva già in gran parte. Nell'atto di quell'anno sono nominati il castrum et villa de loco Alerii. Era dunque presente un centro fortificato, di cui più oltre si perde memoria e del quale non esistono tracce visibili. Passato a Napoleone in seguito all'occupazione francese, fu da lui ceduto con decreto del 1807 al cognato Principe Camillo Borghese quale controvalore di un quarto della galleria Borghese ceduta al governo francese.
Nel 1822 Leri fu acquistata dal marchese Michele Benso di Cavour, padre di Camillo, ed i Cavour trasformarono Leri in una grande azienda modello, probabilmente eliminando o riadattando edifici più antichi.
La Tenuta  comprendeva Leri (1.000 giornate, cioè a dire 381 ettari), Montarucco (960 giornate, cioè 365,8 ettari) e Torrone (836 giornate, cioè 318,5 ettari) per un totale di 1177 ettari. Devono essere anche compresi il
gerbido di San Basilio (80 giornate, cioè 30,5 ettari) e il bosco di Trino (213 giornate, cioè 81,1 ettari).

Con l'atto del novembre 1849
Michele, Gustavo e Camillo Benso di Cavour affittarono per 9 anni la tenuta di Leri ad una società formata da Gustavo, Camillo Benso e Giacinto Corio per 103.000 lire. Il 22 aprile 1857 venne rinnovato il contratto di affitto per altri 9 anni alla società che rimase formata solo da Camillo Benso e Giacinto Corio.(1)
 




Vue de la Grange de Leri
- acquarello predisposto per il Principe Camillo Borghese al momento della sua acquisizione delle terre dell'Abbazia di Santa Maria di Lucedio ( 1807 )


La  struttura edilizia della tenuta di Leri nel '900.


L'assunzione della gestione di Leri da parte di Camillo Cavour.

Nel giugno del 1835 il marchese Michele di Cavour, padre di Camillo,  viene nominato "vicario e sovrintendente generale di politica e di polizia della città di Torino". Egli aveva accettato la carica forse con l'intenzione di avvalersene in vista di incarichi e funzioni più alte, come quella di ministro, alla quale riteneva di poter aspirare. Gli impegni della nuova carica gli rendono difficile conservare nelle proprie mani il diretto controllo dell'intero patrimonio familiare, come aveva fatto fino a quel momento. Inoltre una lunga serie di delusioni e di crisi economiche lo aveva disaffezionato alla gestione diretta della tenuta, acquistata dal principe Borghese per assicurare alla famiglia una solida fortuna terriera, ma i cui benefici erano ben lontani dai livelli sperati.
Maturò così la decisione di trasferire la gestione diretta di Leri, sia pure sotto l'alto controllo paterno, a Camillo, figlio cadetto, più incline alla pratica ed agli affari, mentre nell'altro fratello Gustavo si era ormai delineata la prevalente vena filosofica. Camillo fu pronto ad accogliere il nuovo impegno, che lo staccherà per un certo tempo dagli  interessi politici, e nel novembre dello stesso 1835 assunse formalmente la responsabilità dell'amministrazione della tenuta in vista della nuova annata agraria.
Una sistemazione più precisa di questa sua responsabilità nei confronti dei proprietari di Leri, delle sue funzioni e dei termini dell'alta sorveglianza che il marchese continuò a riservarsi, si ebbe un anno e mezzo dopo, con una scrittura privata del 24 gennaio 1837.  Questa scrittura, più volte rinnovata in  seguito, costituiva tra la duchessa di Clermont-Tonnerre, il marchese Michele e il conte Camillo di Cavour, per la durata di nove anni, una società che assumeva l'amministrazione delle tenute di Leri e Montarucco, con un canone annuo di 45 000 lire, da versare al marchese di Cavour, al quale si riconosceva che i fondi amministrati erano « esclusivamente spettanti ». L'amministrazione delle tenute era affidata, « sotto la generale sorveglianza del suo Sig.  Padre », al conte Camillo, « per conto sociale a terzo », in maniera, cioè, che gli utili netti della gestione andassero in parti uguali ai tre componenti la società. A carico della quale era il pagamento delle imposte, sia erariali che comunali, e di ogni e qualsiasi peso, di natura tanto civile che religiosa, come pure le spese per irrigazione, l'assegno del « parroco cappellano » ecc.; mentre le veniva consegnata (a debito), oltre le scorte (calcolate, con estimo dell'11 novembre 1835, a 79 092 lire), anche la somma di lire 102 000, riconoscendosi la necessità di « un considerevole fondo sociale per l'andamento de' Tenimenti ». Con la morte del duca Clermont-Tonnerre nel 1837 si venne ad una definitiva sistemazione dei rapporti con la vedova, la duchessa di Clermont-Tonnerre a cui sarebbe spettata per 11 anni una quota di affitto e di interessi a partire appunto dal 1837. La duchessa rimase però estranea alla società per l'amministrazione di Leri, che restava limitata ai due Cavour, padre e figlio " a giusta metà caduno ".

Una nuova scelta di vita

La decisione di assumere la direzione di Leri e di dedicarsi così alla carriera di agricoltore assumeva, agli occhi di Cavour, il significato di una scelta di fondo, destinata a determinare tutto il corso ulteriore della sua vita.  Era la conclusione, ch'egli credeva definitiva, di anni di tormentose incertezze, di amari interrogativi su se stesso e il suo avvenire che non avevano cessato di assediarlo in tutto l'oscuro periodo seguito alla grande delusione del 1830-31.  Erano stati gli anni del pessimismo e della crisi, della sfiducia e talora della disperazione, dominati dalla coscienza sempre più netta dell'impossibilità di trovare una qualsiasi via d'uscita da una situazione in cui egli sentiva logorarsi e svanire le sue doti più autentiche.  Tuttavia, l'idea di una soluzione al tempo stesso realizzabile e non del tutto negativa era venuta delineandosi man mano che lo stato d'animo veniva mutando, e una nota di vigore e di ottimismo tornava a farsi sentire: « Si papa . m'assure un petit sort - aveva scritto al fratello
" - je me consacre à l'administration de sa fortune et à l'étude; je renonce au monde et aux plaisirs; je m'adonne aux occupations sérieuses.  Ce serait d'ailleurs une eccellente position à prendre dans le public.  Publiciste philantrope et indépendant, je puis me préparer une place honorable pour l'avenir ».

Ma anche dopo il grande viaggio a Parigi e a Londra restavano inalterate le motivazioni di fondo. « Cela m'occupe, cela m'interesse jusqu'à un certain point, et cela m'aide à passer le temp - scriveva il conte a Paul-Emile Maurice qualche giorno dopo l'arrivo a Leri, dandogli notizia della nuova attività intrapresa -.

"D'ailleurs, que faire?  Toutes les routes me sont fermées, je ne pourrais rien espérer que d'un avenir éloigné et incertain que je ne suis pas si fou d'attendre. j'aime mieux faire tout bêtement tel métier de l'agriculteur, qui vit tranquiIlement au milieu des champs qu'il fait cultiver de son mieux.  C'est un métier peu brillant, il m'aurait mal convenu dans mes temps de jeunesse et illusion, mais maintenant que je suis las d'un monde dont j'ai connu tous les plaisirs, que je suis revenu de tous les réves qui m'offusquaient l'esprit, il me va à merveille... Tu me diras que je matérialise mon existence, c'est vrai, mais qu'y faire?  Ce n'est pas la volonté de suivre une route plus élevée qui m'a manqué.  Mais tous les chemins que j'ai tentés ne m'ont mené qu'à des précipices.  Si j'étais seul je pourrais les poursuivre sans crainte, mais je suis trop étroitement lié à ma famiille pour l'entrainer avec moi au milieu de dangers mortels... Et dans le statu quo je ne puis être rien qu'un honnête agriculteur ».

E tuttavia,
« je ne sais pourquoi, cette fichue politique me tient toujours à coeur, j'oserais dire presque autant que mes veaux et mes fromages ».

In effetti, le incertezze del conte dovettero durare per qualche mese, se ancora nell'ottobre il fratello Gustavo lo esortava a superare ogni esitazione e a diventare « un insigne agronomo », ribadendo gli argomenti ben noti, ch'egli stesso mostrava di condividere:
« è ciò che hai di meglio a fare e spero che tu lo faccia per lunghi anni... perocché ci vorrà ancora molto tempo prima che l'Europa sia giunta ad una condizione stabile e definitiva, ed è probabilissimo che la nostra vita se passera que nous serons tout à fait worn out avant qu'il y ait pour nous chance raisonnable d'agir politiquement »
 



La porta principale di entrata nella cascina di Leri
< Tratto da O. Mattirolo - Il Conte Camillo di Cavour e la Reale Accademia di Agricoltura di Torino - Torino 1931 >
 


La chiesa di Leri
< Tratto da O. Mattirolo - Il Conte Camillo di Cavour e la Reale Accademia di Agricoltura di Torino - Torino 1931 >

I soggiorni a Leri da allora si moltiplicarono, tra un fervore di iniziative, di riflessioni e di attività che venne crescendo con gli anni.  Anche a quei soggiorni si alterneranno, sino al 1843, lunghi viaggi all'estero ed assenze, ma dell'andamento di Leri egli si terrà costantemente informato non solo a Torino ma a Parigi, a Ginevra e nella provincia francese. Anche se nuove attività verranno ad aggiungersi a quella agricola, questa occuperà sempre un posto centrale nella vita del conte e ad essa egli sarà indotto a tornare in tutti i momenti più diffìcili, così che Leri assumerà ai suoi occhi quel valore di rifugio e di soggiorno atto a rítemprare lo spirito dalle prove degli affari prima, e della politica poi, che ha legato indissolubilmente il nome della grande tenuta a quello dello statista.  Era, beninteso, un rifugio fatto non di riflessione e di quiete ma fervido, conforme al carattere dell'uomo che lo aveva eletto, di ogni sorta di iniziative e di attività.  Nasceva così, in questi anni, il Cavour agricoltore, convinto, com'egli dirà nel 1841, che
« l'agriculture est la plus agréable et la plus convenable occupation dans ce
siècle » "; e l'immagine dello statista quale egli stesso l'aveva disegnata, nell'atto in cui, con « un immense gourdin à la main, et un énorme chapeau de paille... je m'en vais courant les champs du matin au soir » , sullo scenario delle grandi risaie del Vercellese, è rimasta tra le più popolari della oleografia risorgimentale. 
 


Caricatura ottocentesca di Cavour agricoltore tratta dal foglio satirico "Il fischietto"
 

Un'eco assai viva di questa esperienza si coglie nella descrizione che qualche anno dopo il conte farà dell'interesse che le cose agricole possono suscitare anche in chi provenga da ambiente con abitudini ben diverse:
« au premier abord l'agriculture a peu d'attrait... Il est tout naturel que l'habitué des salons éprouve une certaine répugnance pour des études qui commencent par l'analyse des fumiers, et qui s'achèvent au milieu des étables; il trouvera d'abord les travaux champétres fastidieux, monotones, puérils mème.  Cependant s'il parvíent à surmonter ce premier dégoút, s'il peut se résoudre à diriger les plus simples opérations agricoles, à faire semer un champ de pommes de terre, ou à élever une jeune génisse, il s'opérera presque à son insu une transformation dans ses goúts et dans ses idées; il découvrira dans la pratique de l'agriculture un intérét croissant, et ce qui le rebutait le plus ne tardera pas à avoir pour lui un charme qu'il n'avait jamais soupçonné »

 E' questa una pagina del 1843, scritta, cioè, quando già aveva avuto inizio, dopo la fine dei grandi viaggi all'estero e prima dell'ingresso nella vita politica, la fase culminante dell'attività di Cavour come imprenditore agricolo, in un quadro dove l'agricoltura si lega da un lato con l'industria chimica e dall'altro con le attività trasformatrici dei prodotti agrari e con quelle commerciali e bancarie: un nesso caratteristico nel quale si rispecchia con straordinaria evidenza la struttura di quelle forze capitalistiche e borghesi che di lì a qualche anno, appunto sotto la guida del Cavour, conquisteranno la direzione dell'Italia unita. Ma non v'è dubbio che fin d'ora, tra il 1835 e il 1842, Cavour trovò modo di soddisfare a Leri, in qualche misura, il suo bisogno di azione e di responsabilità concrete, la sua capacità creativa e il suo gusto del dominio, assicuratogli da una superiorità che era insieme sociale e intellettuale.

Certo, alla base della rinuncia all'attività e alle speranze politiche c'era una sostanziale sconfitta, che si collegava alla forzata immobilità in cui il conte vedeva costretto tutto il moto liberale in Europa; e il riconoscimento di questa sconfitta significava anche, da parte sua, l'accettazione, sia pure forzata, dello stato di cose esistente, e la decisione di inserirvisi e di lavorare non più contro, come aveva sperato, ma all'interno di esso.  Era ciò di cui prendevano atto adesso i familiari, lieti che Camillo si fosse risolto finalmente ad abbandonare i sogni e le audaci speranze per accostarsi invece « aux choses existantes, aux choses matérielles, aux choses enfin qui tiennent aux besoins de la vie »; e certo fu questa anche la base dei sia pur tenui legami che Cavour venne allacciando negli anni successivi con alcuni esponenti e organismi del regime.  Non già ch'egli abbia mai smesso la sua opposizione di principio all'assolutismo sul terreno politico: ma le esigenze connesse a un'attività che si radicava sempre più largamente nell'economia del paese e nel mondo degli affari comportavano di necessità contatti con i pubblici poteri, che un tempo il giovane liberale si sarebbe rifiutato anche solo di prendere in considerazione.
 


  Fonti bibliografiche e telematiche:
- Rosario Romeo, Cavour e il suo tempo, Laterza 1969 ( vol.1°) - L'attività agricola e i suoi problemi, pp. 607- 626
-
da http://www.camillocavour.com/Luoghi000.html#2
 

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