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Le
problematiche comunitarie degli anni '70 e '80
 

L'allargamento a 9 membri e gli inizi della crisi

Nel corso della prima fase della costruzione del mercato comune, le economie degli Stati membri hanno sperimentato uno dei periodi più rosei dal punto di vista dei risultati economici complessivi, tanto che gli scambi comunitari agli inizi degli anni '60 risultavano aumentati del  30% rispetto al periodo precedente la creazione della Comunità.

Ma a questo periodo di prosperità, che caratterizzò tutti gli anni '60, è seguito un periodo oscuro per le economie europee e per i processi d'integrazione. Gli anni '70 hanno visto intrecciarsi, in un rapporto di causa-effetto, crisi economica e crisi politica della Comunità. Le prime crepe politiche sono apparse per la verità già a metà degli anni '60 quando la Francia intraprese la strategia della "sedia vuota", per opporsi alla creazione di un sistema di risorse proprie per finanziarie il bilancio comunitario che avrebbe accelerato l'evoluzione sovra-nazionale della Comunità. La Francia del generale Charles De Gaulle era contraria a un'integrazione troppo spinta.  La crisi fu risolta nel gennaio 1966 con il compromesso di Lussemburgo secondo cui gli Stati membri si sarebbero impegnati a ricercare in ogni modo l'unanimità quando una decisione, suscettibile di essere adottata a maggioranza, toccasse «interessi molto importanti di uno o più Stati».

Il compromesso sbilanciò l'equilibrio istituzionale a vantaggio del Consiglio, nel quale gli Stati membri disponevano del diritto di veto. Questa situazione venne a crearsi proprio nel momento in cui maturava l'esigenza di coordinare le politiche economiche e monetarie e di rafforzare le politiche comuni. Di fronte alla crescente apertura dei mercati e dell'interdipendenza economica e finanziaria, i soli strumenti di liberalizzazione non apparivano sufficienti a garantire uno sviluppo economico equilibrato. Se non si fosse dotata la Comunità di strumenti più incisivi di intervento, i processi di liberalizzazione avrebbero finito per produrre effetti negativi e squilibri tra le diverse aree territoriali. Esistevano fondati rischi che di fronte a una congiuntura sfavorevole i singoli paesi avrebbero reagito autonomamente per proteggere le loro economie. Un'accelerazione dell'integrazione era dunque necessaria per non compromettere i risultati raggiunti nella costruzione del mercato comune.


Questo obiettivo venne riconosciuto dal Vertice dell'Aia del 1969 insieme al completamento del mercato comune e all'allargamento della Comunità da 6 a 9 membri. L'ampliamento fu realizzato nel 1973 con l'entrata di Irlanda, Danimarca e Regno Unito. Per rafforzare l'integrazione economica venne definito il progetto di istituire nel corso di tre fasi un'unione economica e monetaria che, oltre a una politica monetaria comune, avrebbe dovuto disporre di strumenti per armonizzare le strutture economiche e fiscali degli Stati e coordinare le loro politiche economiche. La realizzazione del progetto, la cui prima fase fu avviata nel 1971, fu tuttavia vanificata dall'incapacità del Consiglio di prendere le decisioni necessarie a causa dell'impossibilità di superare, specie dopo l'entrata nella Comunità del Regno Unito, lo scoglio del diritto di veto. Il rapido deteriorarsi della situazione internazionale colse allora impreparata la Comunità, che non seppe attuare una strategia comune per contrastare la recessione e la disoccupazione.

 

La decisione degli Usa nel 1971 di non convertire il dollaro in oro decretò la fine del sistema di cambi fissi deciso a Bretton Woods nel 1946 provocando un'instabilità monetaria alla quale la Comunità rispose con un timido tentativo di mantenere cambi stabili tra i paesi mèmbri (il «serpente monetario»).

A mettere in ginocchio la Comunità fu soprattutto la crisi energetica provocata dal quarto confitto arabo-israeliano e dalla conseguente impennata dei prezzi mondiali del petrolio (il cui livello quadruplicò nel corso di pochi mesi). La crisi distolse l'attenzione degli Stati membri dal progetto di unione economica e monetaria anche se un coordinamento delle politiche economiche avrebbe almeno attutito gli effetti negativi sulla crescita e l'occupazione. Lo shock petrolifero, nel 1974, non solo seppellì questo progetto, ma ebbe effetti dirompenti sul funzionamento del mercato comune. Nel reagire in ordine sparso, gli Stati membri non resistettero alla tentazione di applicare misure protezionistiche anche all'interno della Comunità sotto forma di barriere tariffarie e fiscali. Queste misure furono facilitate dai varchi concessi dalla legislazione comunitaria ancora largamente incompleta. Aumentarono gli aiuti di stato e si moltiplicarono violazioni riguardanti la libera circolazione delle merci e dei servizi. Ne derivò una notevole frammentazione del mercato comune e una brusca frenata degli scambi intra-comunitari.
 


Una moderna mietitrebbia al lavoro - La meccanizzazione e le buone rese
delle colture cerealicole furono caratteristiche della politica agricola comunitaria


Dal mercato comune all'Atto unico europeo

Il periodo di crisi, nella creazione del mercato comune, era innanzitutto lo specchio della crisi politica della Comunità. Se da una parte si moltiplicarono gli impegni politici per il rilancio dell'unione politica e il rafforzamento delle politiche comuni, dall'altra il Consiglio non prendeva le decisioni necessarie a metterli in atto. Uniche due felici eccezioni degli "oscuri" anni settanta furono la creazione del Sistema monetario europeo (Sme) e le elezioni a suffragio universale diretto del Parlamento europeo.
 

► La decisione del Consiglio europeo di Bruxelles del dicembre 1978 di istituire il Sistema monetario europeo ebbe una notevole rilevanza economica poiché, oltre a essere l'unico risultato concreto dei tentativi di avviare l'unione economica e monetaria, ha permesso di limitare le fluttuazioni delle monete nazionali. Concepito attorno alla creazione di un'unità monetaria europea, l'Ecu (che è una moneta fittizia), alla fissazione delle parità centrali tra le monete europee e all'istituzione di un meccanismo di intervento in caso di superamento della banda di oscillazione fra monete, lo Sme ha gettato le basi per la creazione di una zona di stabilità monetaria. Non ha tuttavia risolto il problema dei gravi squilibri nello sviluppo economico e sociale tra le aree regionali della Comunità.


Con l'ingresso di Danimarca, Irlanda e Regno Unito, il centro e il nord dell'Europa avevano colmato un vuoto di rappresentanza nella CEE. Alcuni grandi Stati meridionali, però, ne rimanevano fuori: Spagna, Portogallo e Grecia non potevano entrare nella comunità perché non erano democratici. Fu infatti solo nel 1974 che, con la caduta del regime fascista dei colonnelli in Grecia e del regime militare di Salazar in Portogallo, che Lisbona e Atene poterono chiedere l'ammissione in Europa. Seguì la Spagna che - caduto il quarantennale assolutismo franchista - conquistò la democrazia tra il 1975 e il 1978. Il ciclo si chiuse in due fasi: nel 1981 entrò nella CEE la Grecia; nel 1986 Il Portogallo e la Spagna. Nasceva quindi - vinte le resistenze e le preoccupazioni della Francia orientata a un protezionismo agricolo "spinto" nei confronti dei diretti concorrenti mediterranei - un "fronte meridionale", e la CEE arrivava a 12 membri.

 

► Il 1 Luglio 1987, superata la crisi del decennio precedente, i governi dei paesi CEE decisero di riprendere il cammino verso una maggiore integrazione. Allora, infatti, entrò in vigore l'Atto Unico europeo, col quale i Dodici decisero di dar vita, entro il 1993, a un vero e proprio mercato unico, all'interno del quale avrebbero avuto libera circolazione non solo le merci, ma anche le persone, i servizi e i capitali. Se infatti già nel 1968 erano stati aboliti i dazi doganali, nulla aveva fino ad allora impedito ai singoli Stati di promulgare leggi protezionistiche, magari legate a dettagli sulla sicurezza dei materiali o dei collaudi relativi a singoli prodotti, resi da queste misure non competitivi sui mercati nazionali. Fu così che il 1 Gennaio 1993 - dopo sei anni di faticosi e complessi sforzi di armonizzazione legislativa tra le differenti normative - gli stati membri della CEE si ritrovarono unificati dal mercato.

Unificato concretamente il mercato, ripartono i negoziati per un ulteriore allargamento dell'Unione. Sono trattative complesse e difficili, perché i Paesi candidati pretesero cospicue facilitazioni finanziarie, sia per i prezzi dei prodotti agricoli che per i tempi di pagamento dei contributi dovuti per il funzionamento delle attività comuni. Comunque, con l'adesione di Austria, Finlandia e Svezia (ex Efta), il 1 Gennaio 1995, l'Unione Europea raggiunge i quindici membri. Manca ancora la Norvegia, il cui accesso è bloccato nuovamente da un referendum popolare contrario.


Il Trattato di Maastricht


Gli anni Novanta sono stati decisivi per il consolidamento di un processo lungo quasi mezzo secolo. Uno dei momenti più solenni fu la firma del Trattato di Maastricht, entrato in vigore il 1 Novembre 1993, col quale la CEE assunse ufficialmente la denominazione di Unione europea. L'UE, da allora, comprende le tre comunità già esistenti: CECA, Euratom e CEE, che continuano a esistere come organismi interni. La CEE perde una "e" per divenire "Comunità Europea" (CE): non si occupa più - questo il senso - solamente di problematiche economiche.
Il Trattato di Maastricht aveva tra i suoi obiettivi primari quello della gestione delle economie nazionali secondo parametri comuni, denominata UEM ( unione economica e monetaria ). Il complesso sistema di direttive e norme da adottare avrebbe portato all'apertura della frontiera della moneta unica e alla nascita dell’euro.

 



L'Europa a 15 stati.

L'euro

Frutto delle difficile armonizzazione delle strutture di bilancio dei Paesi partecipanti all'Unione, l'euro vede la luce il 3 Maggio 1998, a Bruxelles. Allora furono 12 i membri che decisero di abbandonare le proprie valute "storiche" per condividerne una tutta nuova. Rimasero fuori il Regno Unito, la Svezia e la Danimarca che - pur continuando a far parte dell'UE - mantennero l'uso di sterlina e corone.
L'obiettivo della moneta unica fu raggiunto al prezzo di estenuanti trattative: al centro delle restrizioni per l'accesso sono stati alcuni elementi strutturali delle economie dei singoli partecipanti. Risanamento dell'economia, inflazione stabile, rapporto rigidissimo tra PIL e indebitamento. Sono locuzioni ormai entrate a far parte del linguaggio comunitario quotidiano, e non hanno mancato, in dieci anni, di suscitare polemiche e scontri sempre aspri. Nonostante tutto, l’euro è entrato effettivamente in circolazione il 1° gennaio 2002.


Il Trattato di Schengen

Il 26 Gennaio 1995 entrano in vigore gli Accordi di Schengen sulla libera circolazione delle persone e l'immigrazione. La novità è di quelle che fanno epoca: i cittadini dell’Unione acquisiscono il diritto di muoversi liberamente tra i Paesi membri, senza dover esibire alcun documento d’identità alle frontiere. Con le nuove regole, però, si crea un problema per la regolamentazione dei flussi di immigrazione, che vengono sottratti dal controllo degli Stati: un cittadino proveniente da un paese non UE potrebbe entrare legalmente in un paese UE che vuole favorire l’immigrazione, e da qui spostarsi, senza subire alcun controllo, in un paese UE che invece preferisce mantenere basso il numero degli immigrati. Gli accordi di Schengen - di fatto - potrebbero favorire l'immigrazione clandestina.
Una soluzione è stata individuata nella condivisione di regole comuni tra Paesi membri sulla concessione dei visti, sul diritto d'asilo e, più in generale, sull'immigrazione.

 


Fonti bibliografiche:-
- R. Santaniello, Il Mercato Comune Europeo, Il Mulino, 1998
- E. Villa ( a cura di ) Federazione Provinciale Coltivatori diretti -2001 e dintorni- Agroalimentare, territorio, credito verso la svolta del nuovo millennio
- -- D. Casati, A. Banterle, L.Baldi, Il distretto agro-industriale del riso, Franco Angeli, 1999
 

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