1.1. LA COLLOCAZIONE DELLA LEZIONE
ALL'INTERNO DEL CURRICOLO
Competenze generali
Alla fine della sezione II, dedicata all'analisi della scienza
economica, sono state indicate le competenze da far acquisire,
attraverso lo studio dell'economia politica, agli studenti della
scuola superiore. Tra di esse ne è stata sottolineata una relativa
alla necessità di costruire indici sintetici per conoscere la
dimensione quantitativa dei fatti sociali. Tale competenza, di
natura generale, diviene realizzabile grazie all'acquisizione di
specifici saperi, come l'analisi, l'interpretazione, la costruzione
e l'utilizzazione degli indicatori statistici.
Tra le competenze generali, inoltre,
abbiamo posto la capacità di utilizzare in modo critico i mezzi di
comunicazione di massa, da realizzare attraverso la comprensione dei
limiti delle statistiche del mercato del lavoro.
Competenze specifiche
Ambedue queste competenze generali, e le relative competenze
specifiche, hanno poi trovato un puntuale riscontro nell'indicazione
dei contenuti irrinunciabili, tra i quali compaiono appunto i
concetti fondamentali della statistica economica e, in particolare,
quelli relativi al mercato del lavoro. Si tratta, adesso, di vedere
in concreto come tutto ciò possa tradursi in un percorso curricolare
in cui la lezione frontale venga relegata in un angolo per fare
spazio ad attività didattiche più consone rispetto all'approccio
psico-pedagogico illustrato nella sezione del presente lavoro.
Ciò che dobbiamo fare, in altre parole, è la messa a punto di una
metodologia di insegnamento che aumenti il valore d'uso delle
conoscenze scientifiche grazie al loro innesto nelle conoscenze
spontanee.
1.2. GLI OBIETTIVI FORMATIVI
Leggere le statistiche
Il lavoro didattico che qui si propone ha tre
importanti obiettivi formativi:
1) In primo luogo, esso mira a far acquisire agli allievi
le competenze necessarie per analizzare dati statistici
costruendo e utilizzando appositi indicatori.
Descrivere società con
dati empirici
2) In secondo luogo, il lavoro ha lo scopo di far
capire agli studenti che la società può essere analizzata anche
utilizzando dati quantitativi e che la conoscenza che da essi si
ottiene permette di evitare la trappola del totale relativismo in
questo campo di indagine. L'obiettivo, in altre parole, è quello di
far capire che la comprensione dei fenomeni sociali non è affidata
solo all'intuito e alle proprie esperienze personali. Si tratta,
piuttosto, di uno studio che deve avvalersi di riscontri empirici,
senza i quali lo sforzo di comprensione non può essere definito
scientifico. Solo l'uso dei dati empirici, infatti, permette
di distinguere le mere impressioni dalla conoscenza scientifica
Pluralità di letture dei
dati empirici
3) Al secondo obiettivo, però, occorre aggiungerne subito
un terzo, per evitare che si formi nell'allievo la
convinzione che in economia politica i dati possano essere letti in
modo univoco così da convalidare o falsificare una volta per tutte
un'ipotesi interpretativa. L'uso dei dati statistici, infatti, è
l'unico laboratorio utilizzabile nelle scienze sociali per mettere
alla prova una teoria (e ciò rende diversa la conoscenza scientifica
da quella metafisica); ma la lettura di tali dati può essere
condotta in modi molto diversi: i numeri possono essere incrociati
in mille modi, una serie statistica può essere sintetizzata con
tanti indici diversi, serie e indici possono essere interpretati
diversamente a seconda dell'importanza che si attribuisce a certi
fenomeni piuttosto che ad altri. Occorre quindi far comprendere agli
allievi che nel campo dell'economia politica non esistono soluzioni
semplici per problemi complessi ma soluzioni diverse a seconda del
modo in cui si legge la realtà
I contenuti
propri di questo lavoro si prestano, molto più di altri, a
perseguire tali importantissimi obiettivi formativi che giustificano
di per sé anche un insegnamento con finalità
non professionali dell'economia
politica in un biennio comune a tutti gli indirizzi di studio.
Utilizzare strumenti
matematici elementari
Il primo obiettivo ha risvolti più importanti di quanto
possa sembrare: gli allievi studiano, a matematica e - negli
indirizzi economici - ad economia aziendale, le proporzioni, i
calcoli percentuali e le medie, ma tale acquisizione è spesso
meccanica e le conoscenze sono scarsamente utilizzate nella vita
quotidiana. Per aumentare il valore d'uso delle conoscenze
acquisite in tutte le discipline che trattano tali argomenti,
l'analisi del mercato del lavoro offre un'occasione importante.
1.3.1 SUGGERIMENTI OPERATIVI
Il punto di partenza....
1) Si può proporre agli studenti, d'accordo con
l'insegnante di matematica e di economica aziendale, un'indagine
presso le proprie famiglie circa la condizione lavorativa e il
tipo di attività svolta. In pratica, gli studenti devono scrivere su
un foglio il proprio "stato di famiglia" indicando, accanto a
ciascun componente, la condizione rispetto al lavoro: casalinga,
impiegata, studente, pensionato ecc.
... e il punto di arrivo
2) Quindi si deve chiedere agli allievi di elaborare
una tabella nella quale le diverse condizioni lavorative vengano
raggruppate secondo criteri omogenei. L'insegnante deve guidare il
lavoro in modo che essi individuino una struttura di questo genere:
A tal fine occorre indirizzarli
affinché si rendano conto che la prima distinzione da fare è quella
tra coloro che lavorano e coloro che non lavorano. Il secondo gruppo
però, è costituito da persone diverse. La loro stessa esperienza
mette gli studenti di fronte al fatto che la condizione del fratello
disoccupato non è uguale a quella del nonno ottantenne e a quella
della madre casalinga. Un po' alla volta, dunque, occorre che gli
allievi arrivino alla grande distinzione tra forze di lavoro e non
forze di lavoro. Il passaggio non è affatto semplice e deve essere
perciò adeguatamente guidato dall'insegnante il quale deve mettere
ben in evidenza la differenza esistente, per ciò che riguarda il
lavoro, tra chi è giovanissimo o vecchio rispetto a chi è nel pieno
della maturità.
Distinguere le forze di
lavoro
Un po' alla volta, si arriverà alla conclusione che il
criterio più logico per dividere il totale delle persone è quello
dell'età. A questo punto, l'insegnante può fornire l'informazione
che, dal punto di vista statistico, si considerano giovanissimi
coloro che non superano i 15 anni e anziani coloro che superano i 70
anni. Occorre adesso far riflettere gli studenti sul fatto che
coloro che sono nella fascia di età 15-70 possono trovarsi in
condizioni molto diverse.
Come distinguere le
casalinghe dai disoccupati
Ci sono le casalinghe, ma ci sono anche i disoccupati.
Per separare le due diverse condizioni occorre considerare chi, pur
avendone l'età, non vuole lavorare come coloro che non lavorano
perché non ne hanno l'età. Il criterio distintivo fondamentale è
dunque quello che divide le persone in base al fatto che esse fanno
parte del mondo del lavoro, sebbene disoccupate, da coloro che di
tale mondo non fanno parte per mancanza di età oppure per loro
scelta. Una volta trovato il criterio distintivo, è facile che gli
allievi stessi, autonomamente, arrivino alla conclusione che nel
primo gruppo occorre mettere una linea di demarcazione tra chi
lavora e chi non lavora perché non ha trovato lavoro oppure perché
lo ha perso. Gli studenti, quindi, sono nella condizione di redigere
la seguente scheda:
L'elaborazione dei dati
3) Una volta individuati i criteri per raggruppare tutti
i componenti delle famiglie della classe, e dopo aver redatto la
scheda, si invita gli studenti a sintetizzare, in ogni scheda
loro riempita, i dati raggruppati in base alle categorie
individuate. Carlo, ad esempio, il cui padre è impiegato di
banca, la cui madre è operaia in una fabbrica e i cui due fratelli
sono uno disoccupato alla ricerca di prima occupazione e un altro
studente, scriverà: "componenti: 5; occupati: 2; in cerca di prima
occupazione: 1: non forze di lavoro in età lavorativa: 2 (dato che
sia Carlo che il fratello hanno più di 15 anni).
4) Dai dati riepilogativi presenti in
ciascuna scheda è possibile ricavare la condizione di tutte le
famiglie della classe: basta sommare, per ciascuna delle
categorie individuate, i numeri presenti in ciascuna scheda.
Se i componenti delle famiglie della classe, per esempio, sono 90,
essi risulteranno divisi in 32 nelle forze di lavoro e in 58 nelle
non forze di lavoro. Ognuno dei due gruppi, poi, darà vita a
sottogruppi che andranno a riempire tutta la scheda predisposta.
Adattamento delle categorie
5) Compiuta questa operazione, occorrerà far
riflettere gli allievi sul fatto che la classificazione adottata
è un po' troppo rigida in quanto considera le persone, come ad
esempio le casalinghe, o come non appartenenti al mondo del lavoro
oppure come disoccupate. Può verificarsi invece la situazione per
cui una casalinga non fa parte del mondo del lavoro ma lavorerebbe
se ne avesse la possibilità. In questo caso, ella non può essere
considerata come disoccupata perché non è alla ricerca continua di
lavoro, ma neppure come decisamente esclusa dal mondo del lavoro. Il
problema, allora, è quello di decidere, in via convenzionale, come
considerare casi come questo. Il fatto è che bisogna prevedere una
terza categoria per le persone in cerca di occupazione, che accolga
coloro che vorrebbero un posto di lavoro anche se non sono sempre
alla sua ricerca. Questa convenzione è stata modificata dall'ISTAT:
in precedenza bastava una semplice dichiarazione di disponibilità al
lavoro per essere inseriti nel terzo gruppo; oggi, al contrario, vi
viene inserito solo chi dichiara di aver effettuato una ricerca
attiva di lavoro in un certo periodo di tempo prima dell'indagine.
Si tratta di un passaggio importante perché gli allievi devono
capire che la raccolta di dati statistici è molto complessa e
necessita di scelte che possono essere fatte solo in via di
convenzione. La lettura dei dati, di conseguenza, non può fare a
meno della conoscenza delle convenzioni adottate, altrimenti essa
risulta falsata. La stessa comparazione tra dati raccolti in periodi
storici diversi o in paesi diversi può risultare fuorviante se sono
differenti le regole adottate.
6) Passando "dentro" queste
difficoltà, gli allievi si renderanno conto che adesso devono
rielaborare la scheda costruita per tenere conto di questa
ulteriore classificazione. Occorrerà, a tal fine, fare una stima di
quante sono le persone collocate tra quelle non appartenenti al
mondo del lavoro e che invece devono essere considerate come "altre
persone" da aggiungere ai
disoccupati e alle persone in cerca di prima occupazione. Si
conviene poi di chiamare coloro che fanno parte del mondo del lavoro
come "forze di lavoro" e coloro che non ne fanno parte come "non
forze di lavoro". Alla fine di questa ulteriore operazione, si
ottiene la seguente scheda:
7) Occorre adesso fornire agli allievi
i dati assoluti relativi al mercato del lavoro italiano. Si può, ad
esempio, fotocopiare la seguente tabella.
Operare confronti tra
situazioni diverse
8) Gli allievi vanno posti, adesso, di fronte a questo
problema: La situazione della classe
rispecchia quella dell'Italia? Oppure è più vicina a quella della
zona del paese in cui la loro scuola si trova?
Gli studenti faranno quindi delle
ipotesi basandosi sull'analisi delle schede che hanno di fronte.
Si accorgeranno ben presto che non è semplice fare il confronto
perché si tratta di numeri troppo diversi e la comparazione è resa
difficile dalla massa enorme dei dati a disposizione. Procedendo per
approssimazioni successive, gli allievi potranno arrivare alla
conclusione che occorre impostare delle proporzioni per ciascuna
delle categorie individuate. Per sapere se ci sono più disoccupati
in Italia o nelle famiglie della classe, infatti, non si possono
paragonare i numeri assoluti perché, ovviamente, i primi sono molti
di più dei secondi. È probabile che venga intrapresa, per prima, la
strada della comparazione diretta delle singole categorie. Così, ad
esempio, per ciò che riguarda i disoccupati, si paragonano quelli
nazionali a quelli della classe i quali, ovviamente, costituiscono
un sottoinsieme del primo gruppo.
L'intero deve essere posto pari a 100,
così da esprimere il dato della classe come una sua parte. La
proporzione da impostare è quindi di questo tipo: Disoccupati in
Italia : 100 = disoccupati della classe : x
Da cui deriva che i disoccupati della classe, espressi
come parte dei disoccupati nazionali, sono pari a:
A questo punto
può essere effettuata una riflessione generale circa
l'efficacia di tale semplice indicatore costituito dal quoziente
ottenuto dividendo la parte per l'intero e moltiplicando tale
quoziente per 100.
Una comparazione spazio-temporale
A differenza dei
numeri assoluti, infatti, che sono paragonabili solo se si mettono a
confronto sempre gli stessi "oggetti" (ad esempio, i disoccupati
italiani di un anno con quelli di un altro anno), le percentuali
risultanti consentono comparazioni nel tempo e nello spazio. Il
numero ottenuto in tal modo, infatti, può essere paragonato a quello
di un'altra classe della scuola per verificare se una delle due
contribuisce in misura maggiore al totale della disoccupazione
nazionale. Si tratta però di un'informazione di scarso valore.
L'occasione è propizia comunque per far rilevare che in un caso come
questo l'informazione è di scarso rilievo, ma non lo è quando il
fenomeno in esame è costituito da una somma di elementi e si vuole
sapere qual è il ruolo di ciascuno di essi nell'insieme.
10) Nel caso in
esame, invece, ci interessa paragonare due classificazioni i cui
numeri assoluti sono diversi. La cosa più logica, allora, è quella
di porre pari a 100 l'insieme e rapportare a questa base ciascuna
parte. Per ottenere un indicatore adeguato alle necessità,
occorre dunque rapportare i disoccupati di ciascun "aggregato"
(classe e Italia) al totale complessivo delle persone prese in esame
in ciascun caso. Lo stesso occorre fare con riferimento alle forze
di lavoro.
La ricerca dell'indicatore più adatto
11) Si propone a questo punto un delicato passaggio,
costituito dalla ricerca della migliore
"base" a cui rapportare i singoli
valori assoluti. Per le persone che fanno parte del mondo del
lavoro, chiamate nelle statistiche nazionali "forze di lavoro", la
base migliore è costituita ovviamente dal totale della popolazione.
Si ottiene così una percentuale che permette di sapere quante sono,
per ogni cento persone della popolazione, coloro che appartengono al
mondo del lavoro. Si può convenire perciò di
chiamare tale percentuale
tasso di partecipazione oppure tasso di
attività. Per i disoccupati, invece, la base migliore è
costituita dal numero di persone che fanno parte del mondo del
lavoro. Le forze di lavoro, infatti, comprendono tanto coloro che
lavorano quanto coloro che non lavorano ma vorrebbero farlo. Sono
escluse, invece, le persone che non lavorano perché non ne hanno
l'età oppure perché non lo vogliono. È più utile, pertanto,
dividere il numero dei disoccupati per il totale delle forze di
lavoro. Si può convenire di chiamare tale percentuale tasso
di disoccupazione.
Interpretare i risultati
12) L'interpretazione di questi indicatori statistici
adesso risulta abbastanza agevole. Un tasso di attività del 40% sta
ad indicare che,su 100 persone di una popolazione, 40 lavorano e 60
non lavorano perché non ne hanno l'età, oppure perché non lo
vogliono. Il significato di una variazione del tasso in esame, però,
non è così semplice perché occorre effettuare valutazioni circa il
fatto che più persone non vogliano lavorare. L'interpretazione
dell'indice, in questo modo, introduce gli allievi nei complessi
discorsi circa il modo in cui è organizzata una società. Una
diminuzione del tasso di attività, infatti, può essere dovuta
semplicemente al fatto che è aumentata la fascia di età della
popolazione sopra i 70 anni, oppure al fatto che un maggior numero
di persone preferisce continuare a studiare anche dopo la scuola
dell'obbligo. La diminuzione, però, può essere anche dovuta al fatto
che le donne non riescono a entrare nel mondo del lavoro dato che
nessuno le aiuta nei lavori domestici ed esse devono comunque
farsene carico. Le donne, in tal caso, non si presentano nel mercato
del lavoro, solo perché nella società l'allevamento dei figli e la
cura della casa viene ritenuta un fatto esclusivamente personale, di
cui non si deve fare carico la collettività attraverso gli asili
nido e strutture sociali di supporto alla famiglia. Un aumento del
tasso di attività, di converso, può essere dovuto al fatto che le
donne pretendono di esercitare una funzione attiva nel mercato del
lavoro e ci si affacciano; in tal caso, esse passano nelle forze di
lavoro attive, anche se dovessero rimanere disoccupate.
L'interpretazione del tasso di disoccupazione permette di fare
altrettante interessanti osservazioni circa il modo in cui è
organizzata la società. Un elevato tasso di disoccupazione
concentrato in alcune fasce della popolazione sta ad indicare
l'esistenza di un problema che può essere il frutto di un'azione
spontanea del mercato ma che, al contrario, può anche essere il
frutto di precise politiche sociali.
13) Il terreno è adesso pronto per
effettuare il confronto tra i dati della classe e quelli
nazionali. L'eventuale divario tra i tassi deve essere oggetto
di analisi collettiva al fine di individuare le specificità locali
del mercato del lavoro.
14) Tale analisi apre la strada alla
seconda fase dell'unità didattica. Adesso occorre far riflettere
gli alunni sulla realtà sociale che i numeri esprimono.
Questa seconda fase può avvalersi di una certa quantità di dati
statistici relativi al mercato del lavoro nazionale e degli altri
paesi facilmente reperibili sulle pubblicazioni dell'ISTAT (I
conti degli italiani, Annuario ecc.) e dell' OCSE. Più
semplicemente, si può utilizzare il seguente grafico e i dati
statistici ivi richiamati:
Possiamo così far
capire agli allievi che la semplice comparazione dei tassi di
disoccupazione tra diversi paesi a seconda della fascia di età
permette di comprendere molte caratteristiche delle politiche
sociali praticate nelle diverse società. Gli studenti, in tal modo,
realizzano che possono comprendere in maniera molto più approfondita
la società in cui vivono utilizzando semplici dati statistici. È
evidente la valenza formativa di un simile risultato: l'educando
impara ad affrontare le questioni sociali utilizzando un approccio
di tipo scientifico che gli consente di farsi un'opinione ragionata
su questioni nelle quali giocano, al di fuori dell'aula scolastica,
un ruolo determinante l'impressione estemporanea e lo schematismo.
Dalla descrizione alla
spiegazione
15) Può iniziare a questo punto la parte più impegnativa,
dal punto di vista cognitivo, dell'intera unità didattica. Si tratta
della ricerca delle cause della disoccupazione. Non si tratta
qui di fare un semplice elenco delle possibili cause (che verrebbero
semplicemente imparate a memoria non essendoci alcuna possibilità di
integrarle nelle conoscenze fin qui acquisite), ma di far pervenire
gli allievi ad una nuova fase di ricerca nella quale i numeri sono
la base per verificare possibili ipotesi. Gli studenti, in altre
parole, devono essere invitati a formulare delle ipotesi circa le
possibili cause dell'elevata disoccupazione presente nel paese
e, forse, anche nella zona in cui essi vivono. È probabile che, a
questo punto, vengano avanzate ipotesi molto semplicistiche come, ad
esempio, quella secondo cui
sono gli extracomunitari a privarci dei posti di lavoro. Basta a
questo punto presentare i dati relativi al numero di immigrati nel
paese e i tipi di lavoro che essi svolgono, per rigettare l'ipotesi.
Attraverso la guida dell'insegnante, gli allievi devono rendersi
conto che la tecnologia può creare disoccupazione, ma solo in certe
condizioni, così come può essere fonte di disoccupazione una
strozzatura nel mercato del lavoro derivante dalla mancanza di
specializzazioni richieste dalle imprese. Un po' alla volta, si
andrà delineando un ventaglio di possibili cause che l'insegnante
deve via via sistemare in uno schema riconducendo alle tipologie
canoniche:
16) Occorre adesso proporre agli
alunni di applicare la classificazione "scoperta" alla specifica
situazione italiana descritta attraverso le statistiche analizzate.
Gli studenti si renderanno così conto che tale confronto non è
affatto facile, dato che i valori complessivi del tasso di
disoccupazione possono essere ricondotti a qualunque causa e non
esiste un criterio per attribuire il risultato ad una sola di esse.
Si apre così la strada per far comprendere agli allievi quanto sia
difficile l'elaborazione di politiche del lavoro efficaci. Non si
possono utilizzare solo i dati statistici per individuare la causa
della disoccupazione, occorre anche una teoria complessiva
del modo in cui funziona il sistema economico. Non si tratta,
adesso, di aprire le porte alla teoria neoclassica e a quella
keynesiana, ma semplicemente di far capire che esiste una
differenza di fondo tra chi vede all'opera nel mercato del lavoro un
meccanismo di autoregolazione e chi, invece, vi vede la prova
dell'esistenza di difficoltà che chiamano in causa la necessità di
politiche attive del lavoro.
È utile, a tal fine, distinguere
tali diversi approcci separando gli economisti liberali da
quelli non liberali. La distinzione è ovviamente assai
rozza, ma utile per richiamare il concetto di "liberale" già più
volte incontrato dagli studenti nello studio del diritto. Saranno
gli stessi allievi, probabilmente, ad effettuare tale collegamento
tra la visione liberale del diritto e quella del sistema economico.
L'occasione è propizia per far comprendere agli allievi che anche
l'analisi di altri dati statistici, come ad esempio quelli relativi
ai paesi che hanno agito nel senso della liberalizzazione del
mercato del lavoro e quelli dei paesi che invece effettuano
politiche attive del lavoro, non consente di sbrogliare una volta
per tutte l'intricata matassa costituita dalla disoccupazione. Si
noti che, come è stato detto (sez. IV, par. 2.4), un tale
"relativismo" viene incontrato alla fine del percorso, e non
all'inizio. Anzi, la prima fase era servita proprio per far
acquisire, nello studio dei fenomeni sociali, un approccio che
permetteva di separare la ricerca scientifica dalla conoscenza
ingenua. Il "relativismo" che adesso incontrano gli allievi conserva
tutta la sua dignità scientifica e li spinge alla tolleranza nei
confronti delle opinioni altrui, purché adeguatamente argomentate.
Ciò che gli alunni imparano, in altre parole, è l'attenzione al
rigore delle spiegazioni e, nello stesso tempo, il rispetto delle
ragioni altrui.
da
Bacceli, La didattica del diritto e dell'economia, La
Nuova Italia, 2000)
pp. 311 - 322 |