Alcuni
contesti significativi in cui compare
l'occorrenza ombra nei testi di Torquato Tasso
Il motivo dell’ombra in Tasso
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Mappa concettuale sul motivo
dell'ombra
in T.Tasso
* TASSO, T. Aminta. At.1, sc.2
74 più fida compagnia 76 non sarà mai, né fue. 77 Congiunti eran gli alberghi, 78 ma più congiunti i cori; 79 conforme era l'etate, 80 ma 'l pensier più conforme; 81 seco tendeva insidie con le reti 82 ai pesci ed agli augelli, e seguitava 83 i cervi seco e le veloci damme: 84 e 'l diletto e la preda era commune. 85 Ma, mentre io fea rapina d'animali, 86 fui non so come a me stesso rapito. 87 A poco a poco nacque nel mio petto, 88 non so da qual radice, 89 com'erba suol che per se stessa germini, 90 un incognito affetto, 91 che mi fea desiare 92 d'esser sempre presente 93 a la mia bella Silvia; 94 e bevea da' suoi lumi 95 un'estranea dolcezza, 96 che lasciava nel fine 97 un non so che d'amaro; 98 sospirava sovente, e non sapeva 99 la cagion de' sospiri. 100 Così fui prima amante ch'intendessi 101 che cosa fosse Amore. 102 Ben me n'accorsi al fin: ed in qual modo, 103 ora m'ascolta, e nota. \ 104 \AMINTA\ A l'*ombra* d'un bel faggio Silvia e Filli 105 sedean un giorno, ed io con loro insieme, 106 quando un'ape ingegnosa, che, cogliendo 107 sen' giva il mel per que' prati fioriti, 108 a le guancie di Fillide volando, 109 a le guancie vermiglie come rosa, 110 le morse e le rimorse avidamente: 111 ch'a la similitudine ingannata 112 forse un fior le credette. Allora Filli 113 cominciò lamentarsi, impaziente 114 de l'acuta puntura: 115 ma la mia bella Silvia disse: - Taci, 116 taci, non ti lagnar, Filli, perch'io 117 con parole d'incanti leverotti 118 il dolor de la picciola ferita. 119 A me insegnò già questo secreto 120 la saggia Aresia, e n'ebbe per mercede 121 quel mio corno d'avolio ornato d'oro. - 122 Così dicendo, avvicinò le labra 123 de la sua bella e dolcissima bocca 124 a la guancia rimorsa, e con soave 125 susurro mormorò non so che versi. 126 Oh mirabili effetti! Sentì tosto 127 cessar la doglia, o fosse la virtute 128 di que' magici detti, o, com'io credo, 129 la virtù de la bocca, 130 che sana ciò che tocca.
* TASSO, T. Gerusalemme liberata. Canto 4
cavalier, né nobil arte apprese, nulla di pellegrino o di gentile gli piacque mai, né mai troppo alto intese; sotto diforme aspetto animo vile, e in cor superbo avare voglie accese: ruvido in atti, ed in costumi è tale ch'è sol ne' vizi a se medesmo eguale. 45 Ora il mio buon custode ad uom sì degno unirmi in matrimonio in sé prefisse, e farlo del mio letto e del mio regno consorte; e chiaro a me più volte il disse. Usò la lingua e l'arte, usò l'ingegno perché 'l bramato effetto indi seguisse, ma promessa da me non trasse mai, anzi ritrosa ognor tacqui o negai. 46 Partissi alfin con un sembiante oscuro, onde l'empio suo cor chiaro trasparve; e ben l'istoria del mio mal futuro leggergli scritta in fronte allor mi parve. Quinci i notturni miei riposi furo turbati ognor da strani sogni e larve, ed un fatale orror ne l'alma impresso m'era presagio de' miei danni espresso. 47 Spesso l'*ombra* materna a me s'offria, pallida imago e dolorosa in atto, quanto diversa, oimè!, da quel che pria visto altrove il suo volto avea ritratto! «Fuggi, figlia,» dicea «morte sì ria che ti sovrasta omai, pàrtiti ratto, già veggio il tòsco e 'l ferro in tuo sol danno apparecchiar dal perfido tiranno.» 48 Ma che giovava, oimè!, che del periglio vicino omai fosse presago il core, s'irresoluta in ritrovar consiglio la mia tenera età rendea il timore? Prender fuggendo volontario essiglio, e ignuda uscir del patrio regno fuore, grave era sì ch'io fea minore stima di chiuder gli occhi ove gli apersi in prima. 49 Temea, lassa!, la morte, e non avea (chi 'l crederia?) poi di fuggirla ardire; e scoprir la mia tema anco temea, per non affrettar l'ore al mio morire. Così inquieta e torbida traea la vita in un continuo martìre, qual uom ch'aspetti che su 'l collo ignudo ad or ad or gli caggia il ferro crudo. de l'Asia ha le ricchezze absorte?
* TASSO, T. Gerusalemme liberata, Canto 8
men che morte sia profondo e grave. Sono le interne sue virtù deluse e riposo dormendo anco non have, ché la furia crudel gli s'appresenta sotto orribili larve e lo sgomenta. 60 Gli figura un gran busto, ond'è diviso il capo e de la destra il braccio è mozzo, e sostien con la manca il teschio inciso, di sangue e di pallor livido e sozzo. Spira e parla spirando il morto viso, e 'l parlar vien co 'l sangue e co 'l singhiozzo: - Fuggi, Argillan; non vedi omai la luce? Fuggi le tende infami e l'empio duce. 61 Chi dal fero Goffredo e da la frode ch'uccise me, voi, cari amici, affida? D'astio dentro il fellon tutto si rode, e pensa sol come voi meco uccida. Pur, se cotesta mano a nobil lode aspira, e in sua virtù tanto si fida, non fuggir, no; plachi il tiranno essangue lo spirto mio co 'l suo maligno sangue. 62 Io sarò teco, *ombra* di ferro e d'ira ministra, e t'armerò la destra e 'l seno. - Così gli parla, e nel parlar gli spira spirito novo di furor ripieno. Si rompe il sonno, e sbigottito ei gira gli occhi gonfi di rabbia e di veneno; ed armato ch'egli è, con importuna fretta i guerrier d'Italia insieme aduna. 63 Gli aduna là dove sospese stanno l'arme del buon Rinaldo, e con superba voce il furore e 'l conceputo affanno in tai detti divulga e disacerba: - Dunque un popolo barbaro e tiranno, che non prezza ragion, che fé non serba, che non fu mai di sangue e d'or satollo, ne terrà 'l freno in bocca e 'l giogo al collo? 64 Ciò che sofferto abbiam d'aspro e d'indegno sette anni omai sotto sì iniqua soma, è tal ch'arder di scorno, arder di sdegno potrà da qui a mill'anni Italia e Roma. Taccio che fu da l'arme e da l'ingegno del buon Tancredi la Cilicia doma,
* TASSO, T. Gerusalemme liberata,Canto 9
a l'uso de l'arme si riserba, fugge, e libero al fin per largo calle va tra gli armenti o al fiume usato o a l'erba: scherzan su 'l collo i crini, e su le spalle si scote la cervice alta e superba, suonano i piè nel corso e par ch'avampi, di sonori nitriti empiendo i campi; 76 tal ne viene Argillano: arde il feroce sguardo, ha la fronte intrepida e sublime; leve è ne' salti e sovra i piè veloce, sì che d'orme la polve a pena imprime, e giunto fra nemici alza la voce pur com'uom che tutto osi e nulla stime: - O vil feccia del mondo, Arabi inetti, ond'è ch'or tanto ardire in voi s'alletti? 77 Non regger voi de gli elmi e de gli scudi sète atti il peso, o 'l petto armarvi e il dorso, ma commettete paventosi e nudi i colpi al vento e la salute al corso. L'opere vostre e i vostri egregi studi notturni son; dà l'*ombra* a voi soccorso. Or ch'ella fugge, chi fia vostro schermo? D'arme è ben d'uopo e di valor più fermo. - 78 Così parlando ancor diè per la gola ad Algazèl di sì crudel percossa che gli secò le fauci, e la parola troncò ch'a la risposta era già mossa. A quel meschin sùbito orror invola il lume, e scorre un duro gel per l'ossa: cade, e co' denti l'odiosa terra pieno di rabbia in su 'l morire afferra. 79 Quinci per vari casi e Saladino ed Agricalte e Muleasse uccide, e da l'un fianco a l'altro a lor vicino con esso un colpo Aldiazìl divide; trafitto a sommo il petto Ariadino atterra, e con parole aspre il deride. Ei, gli occhi gravi alzando a l'orgogliose parole, in su 'l morir così rispose: 80 - Non tu, chiunque sia, di questa morte vincitor lieto avrai gran tempo il vanto; pari destin t'aspetta, e da più forte destra a giacer mi sarai steso a canto. -
* TASSO, T. Gerusalemme liberata, Canto 14
Gange, Eufrate, Istro derivi, ond'esca pria la Tana; e non asconde gli occulti suoi princìpi il Nilo quivi. Trovano un rio più sotto, il qual diffonde vivaci zolfi e vaghi argenti e vivi; questi il sol poi raffina, e 'l licor molle stringe in candide masse e in auree zolle. 39 E miran d'ogni intorno il ricco fiume di care pietre il margine dipinto; onde, come a più fiaccole s'allume, splende quel loco, e 'l fosco orror n'è vinto. Quivi scintilla con ceruleo lume il celeste zafiro ed il giacinto; vi fiammeggia il carbonchio, e luce il saldo diamante, e lieto ride il bel smeraldo. 40 Stupidi i guerrier vanno, e ne le nove cose sì tutto il lor pensier s'impiega che non fanno alcun motto. Al fin pur move la voce Ubaldo e la sua scorta prega: - Deh, padre, dinne ove noi siamo ed ove ci guidi, e tua condizion ne spiega, ch'io non so se 'l ver miri o sogno od *ombra*, così alto stupore il cor m'ingombra. - 41 Risponde: - Sète voi nel grembo immenso de la terra, che tutto in sé produce; né già potreste penetrar nel denso de le viscere sue senza me duce. Vi scòrgo al mio palagio, il qual accenso tosto vedrete di mirabil luce. Nacqui io pagan, ma poi ne le sant'acque rigenerarmi a Dio per grazia piacque. 42 Né in virtù fatte son d'angioli stigi l'opere mie meravigliose e conte (tolga Dio ch'usi note o suffumigi per isforzar Cocito e Flegetonte), ma spiando me 'n vo da' lor vestigi qual in sé virtù celi o l'erba o 'l fonte, e gli altri arcani di natura ignoti contemplo, e de le stelle i vari moti. 43 Però che non ognor lunge dal cielo tra sotterranei chiostri è la mia stanza, ma su 'l Libano spesso e su 'l Carmelo in aerea magion fo dimoranza; ivi spiegansi a me senza alcun velo Venere e Marte in ogni lor sembianza, e veggio come ogn'altra o presto o tardi
* TASSO, T. Gerusalemme liberata, Canto 14
Gange, Eufrate, Istro derivi, ond'esca pria la Tana; e non asconde gli occulti suoi princìpi il Nilo quivi. Trovano un rio più sotto, il qual diffonde vivaci zolfi e vaghi argenti e vivi; questi il sol poi raffina, e 'l licor molle stringe in candide masse e in auree zolle. 39 E miran d'ogni intorno il ricco fiume di care pietre il margine dipinto; onde, come a più fiaccole s'allume, splende quel loco, e 'l fosco orror n'è vinto. Quivi scintilla con ceruleo lume il celeste zafiro ed il giacinto; vi fiammeggia il carbonchio, e luce il saldo diamante, e lieto ride il bel smeraldo. 40 Stupidi i guerrier vanno, e ne le nove cose sì tutto il lor pensier s'impiega che non fanno alcun motto. Al fin pur move la voce Ubaldo e la sua scorta prega: - Deh, padre, dinne ove noi siamo ed ove ci guidi, e tua condizion ne spiega, ch'io non so se 'l ver miri o sogno od *ombra*, così alto stupore il cor m'ingombra. - 41 Risponde: - Sète voi nel grembo immenso de la terra, che tutto in sé produce; né già potreste penetrar nel denso de le viscere sue senza me duce. Vi scòrgo al mio palagio, il qual accenso tosto vedrete di mirabil luce. Nacqui io pagan, ma poi ne le sant'acque rigenerarmi a Dio per grazia piacque. 42 Né in virtù fatte son d'angioli stigi l'opere mie meravigliose e conte (tolga Dio ch'usi note o suffumigi per isforzar Cocito e Flegetonte), ma spiando me 'n vo da' lor vestigi qual in sé virtù celi o l'erba o 'l fonte, e gli altri arcani di natura ignoti contemplo, e de le stelle i vari moti. 43 Però che non ognor lunge dal cielo tra sotterranei chiostri è la mia stanza, ma su 'l Libano spesso e su 'l Carmelo in aerea magion fo dimoranza; ivi spiegansi a me senza alcun velo Venere e Marte in ogni lor sembianza, e veggio come ogn'altra o presto o tardi
* TASSO, T. Gerusalemme liberata, Canto 17
perdente e vincente, e ne le averse fortune fu maggior che quando vinse. Poi che la grave età più non sofferse de l'armi il peso, alfin la spada scinse; ma non depose il suo guerriero ingegno, e d'onor il desio vasto e di regno. 8 Ancor guerreggia per ministri, ed have tanto vigor di mente e di parole che de la monarchia la soma grave non sembra a gli anni suoi soverchia mole. Sparsa in minuti regni Africa pave tutta al suo nome e 'l remoto Indo il cole, e gli porge altri volontario aiuto d'armate genti ed altri d'or tributo. 9 Tanto e sì fatto re l'arme raguna, anzi pur adunate omai l'affretta contra il sorgente imperio e la fortuna franca, ne le vittorie omai sospetta. Armida ultima vien: giunge opportuna ne l'ora a punto a la rassegna eletta. Fuor de le mura in spazioso campo passa dinanzi a lui schierato il campo. 10 Egli in sublime soglio, a cui per cento gradi eburnei s'ascende, altero siede; e sotto l'*ombra* d'un gran ciel d'argento porpora intesta d'or preme co 'l piede, e ricco di barbarico ornamento in abito regal splender si vede: fan torti in mille fascie i bianchi lini alto diadema in nova forma a i crini. 11 Lo scettro ha ne la destra, e per canuta barba appar venerabile e severo; e da gli occhi, ch'etade ancor non muta, spira l'ardire e 'l suo vigor primiero, e ben da ciascun atto è sostenuta la maestà de gli anni e de l'impero. Apelle forse o Fidia in tal sembiante Giove formò, ma Giove allor tonante. 12 Stannogli, a destra l'un, l'altro a sinistra, due satrapi, i maggiori: alza il più degno la nuda spada, del rigor ministra, l'altro il sigillo ha del suo ufficio in segno. Custode un de' secreti, al re ministra opra civil ne' grandi affar del regno, ma prence de gli esserciti e con piena possanza è l'altro ordinator di pena. 13 Sotto, folta corona al seggio fanno
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TASSO, T. Gerusalemme liberata, Canto 16 l'iride sì bella indora e inostra il curvo grembo e rugiadoso al lume. Ma bel sovra ogni fregio il cinto mostra che né pur nuda ha di lasciar costume. Diè corpo a chi non l'ebbe; e quando il fece, tempre mischiò ch'altrui mescer non lece. 25 Teneri sdegni, e placide e tranquille repulse, e cari vezzi, e liete paci, sorrise parolette, e dolci stille di pianto, e sospir tronchi, e molli baci: fuse tai cose tutte, e poscia unille ed al foco temprò di lente faci, e ne formò quel sì mirabil cinto di ch'ella aveva il bel fianco succinto. 26 fine alfin posto al vagheggiar, richiede a lui commiato, e 'l bacia e si diparte. Ella per uso il dì n'esce e rivede gli affari suoi, le sue magiche carte. Egli riman, ch'a lui non si concede por orma o trar momento in altra parte, e tra le fère spazia e tra le piante, se non quanto è con lei, romito amante. 27 Ma quando l'*ombra* co i silenzi amici rappella a i furti lor gli amanti accorti traggono le notturne ore felici sotto un tetto medesmo entro a quegli orti. Ma poi che vòlta a più severi uffici lasciò Armida il giardino e i suoi diporti, i duo, che tra i cespugli eran celati, scoprìrsi a lui pomposamente armati. 28 Qual feroce destrier ch'al faticoso onor de l'arme vincitor sia tolto, e lascivo marito in vil riposo fra gli armenti e ne' paschi erri disciolto, se 'l desta o suon di tromba o luminoso acciar, colà tosto annitrendo è vòlto, già già brama l'arringo e, l'uom su 'l dorso portando, urtato riurtar nel corso; 29 tal si fece il garzon, quando repente de l'arme il lampo gli occhi suoi percosse. Quel sì guerrier, quel sì feroce ardente suo spirto a quel fulgor tutto si scosse, benché tra gli agi morbidi languente, e tra i piaceri ebro e sopito ei fosse. Intanto Ubaldo oltra ne viene, e 'l terso adamantino scudo ha in lui converso.
* TASSO, T. Rime, 59
Lontano da la sua donna dice di non esser più quel ch'egli era, ma l'ombra sua. 1 Lunge da voi, ben mio, 2 non ho vita né core e non son io. 3 Non sono, oimè!, non sono 4 quel ch'altra volta fui, ma un'*ombra* mesta, 5 un lagrimevol suono, 6 una voce dolente; e ciò mi resta 7 solo per vostro dono; 8 ma resta il male onde morir desio.
* TASSO, T. Rime, 108
Mostra d'accorgersi del suo inganno e di manifestarlo. 1 Non più crespo oro o d'ambra tersa e pura 2 stimo le chiome che 'l mio laccio ordiro, 3 e nel volto e nel seno altro non miro 4 ch'*ombra* de la beltà che poco dura. 5 Fredda la fiamma è già, sua luce oscura, 6 senza grazia de gli occhi il vago giro: 7 deh, come i miei pensier tanto invaghiro, 8 lasso, e chi la ragione o sforza o fura? 9 Fero inganno d'Amor, l'inganno ornai 10 tessendo in rime sì leggiadri fregi 11 a la crudel ch'indi più bella apparve. 12 Ecco, i' rimovo le mentite larve: 13 or ne le proprie tue sembianze omai 14 ti veggia il mondo e ti contempli e pregi!
* TASSO, T. Rime, 377
2 fur le prime parole 3 de' fidi amanti, e non li udiva il sole, 4 ma nel silenzio de l'amica luna 5 la notte oscura e bruna. 6 Così fur testimoni a' nostri amori 7 in ciel le vaghe stelle e 'n terra i fiori. 8 Stelle, io giuro per voi, fiori, erbe e foglie, 9 che più son le mie voglie.
* TASSO, T. Rime. 385
1 Empia Circe crudel gran tempo m'have 2 con fallaci speranze e certo danno 3 tenuto oppresso in così lungo affanno 4 ch'a rammentarlo ancor l'anima pave. 5 Or che ritratto ho il cor dal giogo grave, 6 a ragion lei disprezzo e 'l mio error danno, 7 né temo che nov'arte o novo inganno 8 o nova forza più la prema o grave, 9 perché da gli occhi de la mente insana 10 l'oscura nebbia è via sparita e sgombra, 11 e l'amoroso foco in tutto è spento; 12 e veggio omai che false larve ed *ombra* 13 di vero bene e sol bellezza vana 14 fu la indegna cagion del mio tormento.
* TASSO, T. Rime, 443
[Ad istanza del signor Curzio Ardizio.] 1 Questa vita è la selva, il verde e l'*ombra* 2 son fallaci speranze, e son le reti 3 piacer dolci e secreti, 4 e sono ispidi dumi 5 crude voglie e costumi; 6 la fera è la mia donna, Amor l'arciero, 7 il veltro il mio pensiero. 8 Ella ratta se 'n va senza ritegno, 9 né fugge per timor ma per disdegno, 10 non servitù ma pace; 11 e quanto è più superba è più fugace.
* TASSO, T. Rime, 517
11 dì 'l tu, ch'altronde 13 tanti mai non udisti aspri lamenti, 14 né l'iterasti in sì pietosi accenti. 15 Ma ne l'alma città ch'inonda il Tebro, 16 com'ella maggior parte ebbe nel danno, 17 così di duolo maggior segno apparse, 18 qual mostrò allor che 'l suo fiero tiranno, 19 di furore e di sdegno insano ed ebro, 20 lei di voraci fiamme intorno sparse 21 e le colonne e gli archi e i templi le arse, 22 e ciò che prima alzar gli antichi Augusti, 23 ché memoria del fatto anco non langue; 24 e sol poscia col sangue 25 forse bramò de gl'innocenti e giusti 26 (ahi, più crudel d'ogni angue!) 27 spegner l'incendio rio, che 'n un sol punto 28 l'opre di tanti lustri avea consunto. 29 Or nel danno comun, nel novo lutto 30 de l'umil plebe e de gli eccelsi padri, 31 fra querele e sospir sì spesse e tanti, 32 dentro premendo i pensier foschi ed adri 33 sol mostra il gran Francesco il ciglio asciutto 34 ed assai men turbati atti e sembianti. 35 Ma pur, benché di nero il mondo ammanti 36 l'*ombra* che fuor del terren grembo sorge, 37 e 'l ciel spieghi i bei lumi in lui contesti, 38 egli tien gli occhi desti, 39 né quiete a le membra afflitte porge 40 ned a gli spirti mesti; 41 e, mentre pensa a l'aspre sue sventure, 42 ondeggia in ampio mar d'acerbe cure. 43 Al fin quando ogni lampa in cielo appare 44 più fosca, quasi lume a cui già manche 45 il nutritivo umor che lo mantiene, 46 gli serpe a forza il sonno entro le stanche 47 luci e i sogni n'apporta, onde gli pare 48 d'esser translato in parti alte e serene. 49 Ed ecco quivi intanto a lui ne viene 50 il sacro Alcide: oh, come gli occhi e 'l volto 51 venerando ed altero, e come queto 52 vista! oh, come lieto 53 in atti! oh, come in quei dimostra sciolto 54 del suo core il secreto! 55 Cinto ha d'ostro le membra e 'l crin di stelle, 56 e quinci e quindi sparge auree fiammelle. 57 Repente un novo orror per l'ossa scorre 58 al saggio suo nipote e gli s'agghiaccia * TASSO, T. Rime, 517
98 armerà Dio di folgori tremendi 100 la forte destra a ciò che i sacri tempi 101 securi sian da questi iniqui e stolti. 102 Ecco, io tonar già t'odo; ecco già gli empi 103 smarriti al fiammeggiar de' lampi orrendi; 104 eccoli già percossi e in fuga volti. 105 Saran tra le ruine altri sepolti 106 de le gran moli a danno lor composte; 107 fian da le fiamme in polve altri conversi, 108 altri n'andran dispersi; 109 altri, con l'alme al ben oprar disposte, 110 da lo stuol de' perversi 111 si ridurran sotto tue fide scorte, 112 e tu loro aprirai del ciel le porte. 113 Ma, pria che questo avvenga, al tuo destino 114 tu medesmo un sentier largo prepara 115 e 'n sino ad or t'infiamma a nobil guerra; 116 e perché possi ogni superba avara 117 voglia sprezzar, tien giù lo sguardo chino 118 e vedrai quanto è angusta e vil la terra, 119 e in quanto breve giro in lei si serra 120 la vostra gloria e la potenza umana, 121 che così par ch'ogni mortale apprezze. 122 Deh! saran sempre avvezze 123 le vostre menti in seguir l'*ombra* vana 124 del ben, fama e ricchezze, 125 ch'acquistate in molti anni e ch'in brev'ora 126 l'ingordo tempo al fin strugge e divora? 127 Vedi come la terra in cinque cerchi 128 distinta giace, e che ne son due sempre 129 per algente pruina orridi e inculti; 130 deserto è il terzo ancora, e che si stempri 131 pare e si sfaccia ne gli ardor soverchi. 132 Restan sol quelli frequentati e culti, 133 ma sono a l'un de l'altro i fatti occulti. 134 Quante interposte in loro e vaste e nude 135 solitudini scorgi, e 'n ogni parte, 136 quasi macchie cosparte, 137 lor come isole il mare intorno chiude! 138 E quel che 'n voce e 'n carte 139 è oceano chiamato ed ampio e magno, 140 che sembra or se non un picciol stagno? 141 Omai dunque da l'ime a le supreme 142 parti il cor volgi e lieto al ciel aspira, 143 onde l'animo nostro origin prende 144 ché questo, il qual de' globi intorno gira 145 ordin meraviglioso unito insieme 146 per man del Mastro eterno, in sé t'attende. 147 E questa, che del cielo il moto rende
* TASSO, T. Rime, 573
[Si duole de la propria fortuna e confida nel duca d'Urbino.] 1 O del grand'Apennino 2 figlio picciolo sì, ma glorioso 3 e di nome più chiaro assai che d'onde, 4 fugace peregrino 5 a queste tue cortesi amiche sponde 6 per sicurezza vengo e per riposo. 7 L'alta Quercia che tu bagni e feconde 8 con dolcissimi umori, ond'ella spiega 9 i rami sì ch'i monti e i mari ingombra, 11 L'ombra sacra, ospital, ch'altrui non niega 12 al suo fresco gentil riposo e sede, 13 entro al più denso mi raccoglia e chiuda, 14 sì ch'io celato sia da quella cruda 15 e cieca dea, ch'è cieca e pur mi vede, 16 ben ch'io da lei m'appiatti in monte o 'n valle, 17 e per solingo calle 18 notturno io mova e sconosciuto il piede; 19 e mi saetta sì che ne' miei mali 20 mostra tanti occhi aver quanti ella ha strali. 21 Oimè! dal dì che pria 22 trassi l'aure vitali e i lumi apersi 23 in questa luce a me non mai serena, 24 fui de l'ingiusta e ria 25 trastullo e segno, e di sua man soffersi 26 piaghe che lunga età risalda a pena. 27 Sassel la gloriosa alma sirena, 28 appresso il cui sepolcro ebbi la cuna: 29 così avuto v'avessi o tomba o fossa 30 a la prima percossa! 31 Me dal sen de la madre empia fortuna 32 pargoletto divelse. Ah! di quei baci, 33 ch'ella bagnò di lagrime dolenti, 34 con sospir mi rimembra e de gli ardenti
* TASSO, T. Rime, 650
Sopra la bellezza. 1 Questa, che tanto il cieco volgo apprezza, 2 sol piacer de le donne e sola cura, 3 caduca e fragilissima bellezza 4 un vil impedimento è di natura. 5 Misero amante, cui folle vaghezza 6 dà in preda ad un'angelica figura, 7 misero, ch'assai meglio entro a le porte 8 de l'inferno placar potria la morte! 9 Come in bel prato tra' fioretti e l'erba 10 giace sovente angue maligno ascoso; 11 come in bel vaso d'or vivanda acerba 12 si cela od empio succo e velenoso; 13 come in bel pomo spesso anco si serba 14 putrido verme ond'egli è infetto e roso; 15 così voglie e pensier malvagi ed opre 16 sotto vel di bellezza altri ricopre. 17 Dove bellezza appar cortesia parte, 18 l'umiltà, la pietà, la bontà fugge; 19 dov'è bellezza, come a propria parte, 20 superbia e ingratitudine rifugge; 21 il seme, il fior d'ogni virtù, d'ogni arte 22 l'*ombra* malvagia di bellezza adugge: 23 bellezza è mostro infame, è mostro immondo, 24 sferza del ciel con che flagella il mondo. 25 Sì come o noce acerba o pomo amaro 26 meglio ch'altro maturo o dolce frutto 27 condir si puote, ed è bramato e caro 28 quando quell'altro è già guasto e distrutto; 29 così ne le dolcezze del suo chiaro 30 nettare Amor meglio condisce il brutto 31 ch'acerbetto è per sé, che non fa il bello 32 d'ogni esterno dolcior schivo e rubello. 33 Sia brutta la mia donna ed abbia il naso 34 grande che le faccia ombra sino al mento; 35 sia la sua bocca sì capace vaso 36 che star vi possa ogni gran robba drento; 37 sian rari i denti e gli occhi posti a caso, 38 d'ebano i denti e gli occhi sian d'argento; 39 e ciò ch'appare e ciò che si nasconda 40 a queste degne parti corrisponda. 41 Non temerò ch'ella sia da altri amata, 42 ch'altri la segua, o pur ch'altri la miri; 43 non temerò s'ella alcun altro guata 44 o se mesta talor par che sospiri;
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