Alcuni contesti significativi in cui compare
 l'occorrenza ombra nei testi di Torquato Tasso
Il motivo dell’ombra in Tasso - Mappa concettuale sul motivo dell'ombra in T.Tasso

 

* TASSO, T. Aminta. At.1, sc.2

   

      74 più fida compagnia

      76 non sarà mai, né fue.

      77 Congiunti eran gli alberghi,

      78 ma più congiunti i cori;

      79 conforme era l'etate,

      80 ma 'l pensier più conforme;

      81 seco tendeva insidie con le reti

      82 ai pesci ed agli augelli, e seguitava

      83 i cervi seco e le veloci damme:

      84 e 'l diletto e la preda era commune.

      85 Ma, mentre io fea rapina d'animali,

      86 fui non so come a me stesso rapito.

      87 A poco a poco nacque nel mio petto,

      88 non so da qual radice,

      89 com'erba suol che per se stessa germini,

      90 un incognito affetto,

      91 che mi fea desiare

      92 d'esser sempre presente

      93 a la mia bella Silvia;

      94 e bevea da' suoi lumi

      95 un'estranea dolcezza,

      96 che lasciava nel fine

      97 un non so che d'amaro;

      98 sospirava sovente, e non sapeva

      99 la cagion de' sospiri.

     100 Così fui prima amante ch'intendessi

     101 che cosa fosse Amore.

     102 Ben me n'accorsi al fin: ed in qual modo,

     103 ora m'ascolta, e nota. \
    
      TIRSI\ È da notare.
 

     104 \AMINTA\ A l'*ombra* d'un bel faggio Silvia e Filli

     105 sedean un giorno, ed io con loro insieme,

     106 quando un'ape ingegnosa, che, cogliendo

     107 sen' giva il mel per que' prati fioriti,

     108 a le guancie di Fillide volando,

     109 a le guancie vermiglie come rosa,

     110 le morse e le rimorse avidamente:

     111 ch'a la similitudine ingannata

     112 forse un fior le credette. Allora Filli

     113 cominciò lamentarsi, impaziente

     114 de l'acuta puntura:

     115 ma la mia bella Silvia disse: - Taci,

     116 taci, non ti lagnar, Filli, perch'io

     117 con parole d'incanti leverotti

     118 il dolor de la picciola ferita.

     119 A me insegnò già questo secreto

     120 la saggia Aresia, e n'ebbe per mercede

     121 quel mio corno d'avolio ornato d'oro. -

     122 Così dicendo, avvicinò le labra

     123 de la sua bella e dolcissima bocca

     124 a la guancia rimorsa, e con soave

     125 susurro mormorò non so che versi.

     126 Oh mirabili effetti! Sentì tosto

     127 cessar la doglia, o fosse la virtute

     128 di que' magici detti, o, com'io credo,

     129 la virtù de la bocca,

     130 che sana ciò che tocca.

 


 

* TASSO, T. Gerusalemme liberata.  Canto 4

   

          cavalier, né nobil arte apprese,

          nulla di pellegrino o di gentile

          gli piacque mai, né mai troppo alto intese;

          sotto diforme aspetto animo vile,

          e in cor superbo avare voglie accese:

          ruvido in atti, ed in costumi è tale

          ch'è sol ne' vizi a se medesmo eguale.

      45     Ora il mio buon custode ad uom sì degno

          unirmi in matrimonio in sé prefisse,

          e farlo del mio letto e del mio regno

          consorte; e chiaro a me più volte il disse.

          Usò la lingua e l'arte, usò l'ingegno

          perché 'l bramato effetto indi seguisse,

          ma promessa da me non trasse mai,

          anzi ritrosa ognor tacqui o negai.

      46     Partissi alfin con un sembiante oscuro,

          onde l'empio suo cor chiaro trasparve;

          e ben l'istoria del mio mal futuro

          leggergli scritta in fronte allor mi parve.

          Quinci i notturni miei riposi furo

          turbati ognor da strani sogni e larve,

          ed un fatale orror ne l'alma impresso

          m'era presagio de' miei danni espresso.

      47     Spesso l'*ombra* materna a me s'offria,

          pallida imago e dolorosa in atto,

          quanto diversa, oimè!, da quel che pria

          visto altrove il suo volto avea ritratto!

          «Fuggi, figlia,» dicea «morte sì ria

          che ti sovrasta omai, pàrtiti ratto,

          già veggio il tòsco e 'l ferro in tuo sol danno

          apparecchiar dal perfido tiranno.»

      48     Ma che giovava, oimè!, che del periglio

          vicino omai fosse presago il core,

          s'irresoluta in ritrovar consiglio

          la mia tenera età rendea il timore?

          Prender fuggendo volontario essiglio,

          e ignuda uscir del patrio regno fuore,

          grave era sì ch'io fea minore stima

          di chiuder gli occhi ove gli apersi in prima.

      49     Temea, lassa!, la morte, e non avea

          (chi 'l crederia?) poi di fuggirla ardire;

          e scoprir la mia tema anco temea,

          per non affrettar l'ore al mio morire.

          Così inquieta e torbida traea

          la vita in un continuo martìre,

          qual uom ch'aspetti che su 'l collo ignudo

          ad or ad or gli caggia il ferro crudo.

          de l'Asia ha le ricchezze absorte?


 

* TASSO, T. Gerusalemme liberata, Canto 8

   

          men che morte sia profondo e grave.

          Sono le interne sue virtù deluse

          e riposo dormendo anco non have,

          ché la furia crudel gli s'appresenta

          sotto orribili larve e lo sgomenta.

      60     Gli figura un gran busto, ond'è diviso

          il capo e de la destra il braccio è mozzo,

          e sostien con la manca il teschio inciso,

          di sangue e di pallor livido e sozzo.

          Spira e parla spirando il morto viso,

          e 'l parlar vien co 'l sangue e co 'l singhiozzo:

          - Fuggi, Argillan; non vedi omai la luce?

          Fuggi le tende infami e l'empio duce.

      61     Chi dal fero Goffredo e da la frode

          ch'uccise me, voi, cari amici, affida?

          D'astio dentro il fellon tutto si rode,

          e pensa sol come voi meco uccida.

          Pur, se cotesta mano a nobil lode

          aspira, e in sua virtù tanto si fida,

          non fuggir, no; plachi il tiranno essangue

          lo spirto mio co 'l suo maligno sangue.

      62     Io sarò teco, *ombra* di ferro e d'ira

          ministra, e t'armerò la destra e 'l seno. -

          Così gli parla, e nel parlar gli spira

          spirito novo di furor ripieno.

          Si rompe il sonno, e sbigottito ei gira

          gli occhi gonfi di rabbia e di veneno;

          ed armato ch'egli è, con importuna

          fretta i guerrier d'Italia insieme aduna.

      63     Gli aduna là dove sospese stanno

          l'arme del buon Rinaldo, e con superba

          voce il furore e 'l conceputo affanno

          in tai detti divulga e disacerba:

          - Dunque un popolo barbaro e tiranno,

          che non prezza ragion, che fé non serba,

          che non fu mai di sangue e d'or satollo,

          ne terrà 'l freno in bocca e 'l giogo al collo?

      64     Ciò che sofferto abbiam d'aspro e d'indegno

          sette anni omai sotto sì iniqua soma,

          è tal ch'arder di scorno, arder di sdegno

          potrà da qui a mill'anni Italia e Roma.

          Taccio che fu da l'arme e da l'ingegno

          del buon Tancredi la Cilicia doma,


 

* TASSO, T. Gerusalemme liberata,Canto 9

   

          a l'uso de l'arme si riserba,

          fugge, e libero al fin per largo calle

          va tra gli armenti o al fiume usato o a l'erba:

          scherzan su 'l collo i crini, e su le spalle

          si scote la cervice alta e superba,

          suonano i piè nel corso e par ch'avampi,

          di sonori nitriti empiendo i campi;

      76     tal ne viene Argillano: arde il feroce

          sguardo, ha la fronte intrepida e sublime;

          leve è ne' salti e sovra i piè veloce,

          sì che d'orme la polve a pena imprime,

          e giunto fra nemici alza la voce

          pur com'uom che tutto osi e nulla stime:

          - O vil feccia del mondo, Arabi inetti,

          ond'è ch'or tanto ardire in voi s'alletti?

      77     Non regger voi de gli elmi e de gli scudi

          sète atti il peso, o 'l petto armarvi e il dorso,

          ma commettete paventosi e nudi

          i colpi al vento e la salute al corso.

          L'opere vostre e i vostri egregi studi

          notturni son; dà l'*ombra* a voi soccorso.

          Or ch'ella fugge, chi fia vostro schermo?

          D'arme è ben d'uopo e di valor più fermo. -

      78     Così parlando ancor diè per la gola

          ad Algazèl di sì crudel percossa

          che gli secò le fauci, e la parola

          troncò ch'a la risposta era già mossa.

          A quel meschin sùbito orror invola

          il lume, e scorre un duro gel per l'ossa:

          cade, e co' denti l'odiosa terra

          pieno di rabbia in su 'l morire afferra.

      79     Quinci per vari casi e Saladino

          ed Agricalte e Muleasse uccide,

          e da l'un fianco a l'altro a lor vicino

          con esso un colpo Aldiazìl divide;

          trafitto a sommo il petto Ariadino

          atterra, e con parole aspre il deride.

          Ei, gli occhi gravi alzando a l'orgogliose

          parole, in su 'l morir così rispose:

      80     - Non tu, chiunque sia, di questa morte

          vincitor lieto avrai gran tempo il vanto;

          pari destin t'aspetta, e da più forte

          destra a giacer mi sarai steso a canto. -


 

* TASSO, T. Gerusalemme liberata, Canto 14

   

          Gange, Eufrate, Istro derivi,

          ond'esca pria la Tana; e non asconde

          gli occulti suoi princìpi il Nilo quivi.

          Trovano un rio più sotto, il qual diffonde

          vivaci zolfi e vaghi argenti e vivi;

          questi il sol poi raffina, e 'l licor molle

          stringe in candide masse e in auree zolle.

      39     E miran d'ogni intorno il ricco fiume

          di care pietre il margine dipinto;

          onde, come a più fiaccole s'allume,

          splende quel loco, e 'l fosco orror n'è vinto.

          Quivi scintilla con ceruleo lume

          il celeste zafiro ed il giacinto;

          vi fiammeggia il carbonchio, e luce il saldo

          diamante, e lieto ride il bel smeraldo.

      40     Stupidi i guerrier vanno, e ne le nove

          cose sì tutto il lor pensier s'impiega

          che non fanno alcun motto. Al fin pur move

          la voce Ubaldo e la sua scorta prega:

          - Deh, padre, dinne ove noi siamo ed ove

          ci guidi, e tua condizion ne spiega,

          ch'io non so se 'l ver miri o sogno od *ombra*,

          così alto stupore il cor m'ingombra. -

      41     Risponde: - Sète voi nel grembo immenso

          de la terra, che tutto in sé produce;

          né già potreste penetrar nel denso

          de le viscere sue senza me duce.

          Vi scòrgo al mio palagio, il qual accenso

          tosto vedrete di mirabil luce.

          Nacqui io pagan, ma poi ne le sant'acque

          rigenerarmi a Dio per grazia piacque.

      42     Né in virtù fatte son d'angioli stigi

          l'opere mie meravigliose e conte

          (tolga Dio ch'usi note o suffumigi

          per isforzar Cocito e Flegetonte),

          ma spiando me 'n vo da' lor vestigi

          qual in sé virtù celi o l'erba o 'l fonte,

          e gli altri arcani di natura ignoti

          contemplo, e de le stelle i vari moti.

      43     Però che non ognor lunge dal cielo

          tra sotterranei chiostri è la mia stanza,

          ma su 'l Libano spesso e su 'l Carmelo

          in aerea magion fo dimoranza;

          ivi spiegansi a me senza alcun velo

          Venere e Marte in ogni lor sembianza,

          e veggio come ogn'altra o presto o tardi


 

* TASSO, T. Gerusalemme liberata, Canto 14

   

          Gange, Eufrate, Istro derivi,

          ond'esca pria la Tana; e non asconde

          gli occulti suoi princìpi il Nilo quivi.

          Trovano un rio più sotto, il qual diffonde

          vivaci zolfi e vaghi argenti e vivi;

          questi il sol poi raffina, e 'l licor molle

          stringe in candide masse e in auree zolle.

      39     E miran d'ogni intorno il ricco fiume

          di care pietre il margine dipinto;

          onde, come a più fiaccole s'allume,

          splende quel loco, e 'l fosco orror n'è vinto.

          Quivi scintilla con ceruleo lume

          il celeste zafiro ed il giacinto;

          vi fiammeggia il carbonchio, e luce il saldo

          diamante, e lieto ride il bel smeraldo.

      40     Stupidi i guerrier vanno, e ne le nove

          cose sì tutto il lor pensier s'impiega

          che non fanno alcun motto. Al fin pur move

          la voce Ubaldo e la sua scorta prega:

          - Deh, padre, dinne ove noi siamo ed ove

          ci guidi, e tua condizion ne spiega,

          ch'io non so se 'l ver miri o sogno od *ombra*,

          così alto stupore il cor m'ingombra. -

      41     Risponde: - Sète voi nel grembo immenso

          de la terra, che tutto in sé produce;

          né già potreste penetrar nel denso

          de le viscere sue senza me duce.

          Vi scòrgo al mio palagio, il qual accenso

          tosto vedrete di mirabil luce.

          Nacqui io pagan, ma poi ne le sant'acque

          rigenerarmi a Dio per grazia piacque.

      42     Né in virtù fatte son d'angioli stigi

          l'opere mie meravigliose e conte

          (tolga Dio ch'usi note o suffumigi

          per isforzar Cocito e Flegetonte),

          ma spiando me 'n vo da' lor vestigi

          qual in sé virtù celi o l'erba o 'l fonte,

          e gli altri arcani di natura ignoti

          contemplo, e de le stelle i vari moti.

      43     Però che non ognor lunge dal cielo

          tra sotterranei chiostri è la mia stanza,

          ma su 'l Libano spesso e su 'l Carmelo

          in aerea magion fo dimoranza;

          ivi spiegansi a me senza alcun velo

          Venere e Marte in ogni lor sembianza,

          e veggio come ogn'altra o presto o tardi


 

* TASSO, T. Gerusalemme liberata, Canto 17

   

          perdente e vincente, e ne le averse

          fortune fu maggior che quando vinse.

          Poi che la grave età più non sofferse

          de l'armi il peso, alfin la spada scinse;

          ma non depose il suo guerriero ingegno,

          e d'onor il desio vasto e di regno.

       8     Ancor guerreggia per ministri, ed have

          tanto vigor di mente e di parole

          che de la monarchia la soma grave

          non sembra a gli anni suoi soverchia mole.

          Sparsa in minuti regni Africa pave

          tutta al suo nome e 'l remoto Indo il cole,

          e gli porge altri volontario aiuto

          d'armate genti ed altri d'or tributo.

       9     Tanto e sì fatto re l'arme raguna,

          anzi pur adunate omai l'affretta

          contra il sorgente imperio e la fortuna

          franca, ne le vittorie omai sospetta.

          Armida ultima vien: giunge opportuna

          ne l'ora a punto a la rassegna eletta.

          Fuor de le mura in spazioso campo

          passa dinanzi a lui schierato il campo.

      10     Egli in sublime soglio, a cui per cento

          gradi eburnei s'ascende, altero siede;

          e sotto l'*ombra* d'un gran ciel d'argento

          porpora intesta d'or preme co 'l piede,

          e ricco di barbarico ornamento

          in abito regal splender si vede:

          fan torti in mille fascie i bianchi lini

          alto diadema in nova forma a i crini.

      11     Lo scettro ha ne la destra, e per canuta

          barba appar venerabile e severo;

          e da gli occhi, ch'etade ancor non muta,

          spira l'ardire e 'l suo vigor primiero,

          e ben da ciascun atto è sostenuta

          la maestà de gli anni e de l'impero.

          Apelle forse o Fidia in tal sembiante

          Giove formò, ma Giove allor tonante.

      12     Stannogli, a destra l'un, l'altro a sinistra,

          due satrapi, i maggiori: alza il più degno

          la nuda spada, del rigor ministra,

          l'altro il sigillo ha del suo ufficio in segno.

          Custode un de' secreti, al re ministra

          opra civil ne' grandi affar del regno,

          ma prence de gli esserciti e con piena

          possanza è l'altro ordinator di pena.

      13     Sotto, folta corona al seggio fanno


 

 * TASSO, T. Gerusalemme liberata, Canto 16
 

          l'iride sì bella indora e inostra

          il curvo grembo e rugiadoso al lume.

          Ma bel sovra ogni fregio il cinto mostra

          che né pur nuda ha di lasciar costume.

          Diè corpo a chi non l'ebbe; e quando il fece,

          tempre mischiò ch'altrui mescer non lece.

      25     Teneri sdegni, e placide e tranquille

          repulse, e cari vezzi, e liete paci,

          sorrise parolette, e dolci stille

          di pianto, e sospir tronchi, e molli baci:

          fuse tai cose tutte, e poscia unille

          ed al foco temprò di lente faci,

          e ne formò quel sì mirabil cinto

          di ch'ella aveva il bel fianco succinto.

      26     fine alfin posto al vagheggiar, richiede

          a lui commiato, e 'l bacia e si diparte.

          Ella per uso il dì n'esce e rivede

          gli affari suoi, le sue magiche carte.

          Egli riman, ch'a lui non si concede

          por orma o trar momento in altra parte,

          e tra le fère spazia e tra le piante,

          se non quanto è con lei, romito amante.

      27     Ma quando l'*ombra* co i silenzi amici

          rappella a i furti lor gli amanti accorti

          traggono le notturne ore felici

          sotto un tetto medesmo entro a quegli orti.

          Ma poi che vòlta a più severi uffici

          lasciò Armida il giardino e i suoi diporti,

          i duo, che tra i cespugli eran celati,

          scoprìrsi a lui pomposamente armati.

      28     Qual feroce destrier ch'al faticoso

          onor de l'arme vincitor sia tolto,

          e lascivo marito in vil riposo

          fra gli armenti e ne' paschi erri disciolto,

          se 'l desta o suon di tromba o luminoso

          acciar, colà tosto annitrendo è vòlto,

          già già brama l'arringo e, l'uom su 'l dorso

          portando, urtato riurtar nel corso;

      29     tal si fece il garzon, quando repente

          de l'arme il lampo gli occhi suoi percosse.

          Quel sì guerrier, quel sì feroce ardente

          suo spirto a quel fulgor tutto si scosse,

          benché tra gli agi morbidi languente,

          e tra i piaceri ebro e sopito ei fosse.

          Intanto Ubaldo oltra ne viene, e 'l terso

          adamantino scudo ha in lui converso.


 

* TASSO, T. Rime, 59

    

    Lontano da la sua donna dice di non esser più quel

     ch'egli era, ma l'ombra sua.

       1     Lunge da voi, ben mio,

       2 non ho vita né core e non son io.

       3 Non sono, oimè!, non sono

       4 quel ch'altra volta fui, ma un'*ombra* mesta,

       5 un lagrimevol suono,

       6 una voce dolente; e ciò mi resta

       7 solo per vostro dono;

       8 ma resta il male onde morir desio.


 

 * TASSO, T. Rime,  108

    

    Mostra d'accorgersi del suo inganno e di

     manifestarlo.

       1     Non più crespo oro o d'ambra tersa e pura

       2 stimo le chiome che 'l mio laccio ordiro,

       3 e nel volto e nel seno altro non miro

       4 ch'*ombra* de la beltà che poco dura.

       5    Fredda la fiamma è già, sua luce oscura,

       6 senza grazia de gli occhi il vago giro:

       7 deh, come i miei pensier tanto invaghiro,

       8 lasso, e chi la ragione o sforza o fura?

       9    Fero inganno d'Amor, l'inganno ornai

      10 tessendo in rime sì leggiadri fregi

      11 a la crudel ch'indi più bella apparve.

      12    Ecco, i' rimovo le mentite larve:

      13 or ne le proprie tue sembianze omai

      14 ti veggia il mondo e ti contempli e pregi!


 

* TASSO, T. Rime,  377

    

       1    A l'*ombra* de le piante

       2 fur le prime parole

       3 de' fidi amanti, e non li udiva il sole,

       4 ma nel silenzio de l'amica luna

       5 la notte oscura e bruna.

       6 Così fur testimoni a' nostri amori

       7 in ciel le vaghe stelle e 'n terra i fiori.

       8 Stelle, io giuro per voi, fiori, erbe e foglie,

       9 che più son le mie voglie.


 

 

* TASSO, T. Rime.  385

    

       1    Empia Circe crudel gran tempo m'have

       2 con fallaci speranze e certo danno

       3 tenuto oppresso in così lungo affanno

       4 ch'a rammentarlo ancor l'anima pave.

       5    Or che ritratto ho il cor dal giogo grave,

       6 a ragion lei disprezzo e 'l mio error danno,

       7 né temo che nov'arte o novo inganno

       8 o nova forza più la prema o grave,

       9    perché da gli occhi de la mente insana

      10 l'oscura nebbia è via sparita e sgombra,

      11 e l'amoroso foco in tutto è spento;

      12    e veggio omai che false larve ed *ombra*

      13 di vero bene e sol bellezza vana

      14 fu la indegna cagion del mio tormento.


 

 

* TASSO, T. Rime,     443

    

    [Ad istanza del signor Curzio Ardizio.]

       1     Questa vita è la selva, il verde e l'*ombra*

       2 son fallaci speranze, e son le reti

       3 piacer dolci e secreti,

       4 e sono ispidi dumi

       5 crude voglie e costumi;

       6 la fera è la mia donna, Amor l'arciero,

       7 il veltro il mio pensiero.

       8 Ella ratta se 'n va senza ritegno,

       9 né fugge per timor ma per disdegno,

      10 non servitù ma pace;

      11 e quanto è più superba è più fugace.


 

 

* TASSO, T. Rime,     517

   

      11 dì 'l tu, ch'altronde

      13 tanti mai non udisti aspri lamenti,

      14 né l'iterasti in sì pietosi accenti.

      15    Ma ne l'alma città ch'inonda il Tebro,

      16 com'ella maggior parte ebbe nel danno,

      17 così di duolo maggior segno apparse,

      18 qual mostrò allor che 'l suo fiero tiranno,

      19 di furore e di sdegno insano ed ebro,

      20 lei di voraci fiamme intorno sparse

      21 e le colonne e gli archi e i templi le arse,

      22 e ciò che prima alzar gli antichi Augusti,

      23 ché memoria del fatto anco non langue;

      24 e sol poscia col sangue

      25 forse bramò de gl'innocenti e giusti

      26 (ahi, più crudel d'ogni angue!)

      27 spegner l'incendio rio, che 'n un sol punto

      28 l'opre di tanti lustri avea consunto.

      29    Or nel danno comun, nel novo lutto

      30 de l'umil plebe e de gli eccelsi padri,

      31 fra querele e sospir sì spesse e tanti,

      32 dentro premendo i pensier foschi ed adri

      33 sol mostra il gran Francesco il ciglio asciutto

      34 ed assai men turbati atti e sembianti.

      35 Ma pur, benché di nero il mondo ammanti

      36 l'*ombra* che fuor del terren grembo sorge,

      37 e 'l ciel spieghi i bei lumi in lui contesti,

      38 egli tien gli occhi desti,

      39 né quiete a le membra afflitte porge

      40 ned a gli spirti mesti;

      41 e, mentre pensa a l'aspre sue sventure,

      42 ondeggia in ampio mar d'acerbe cure.

      43    Al fin quando ogni lampa in cielo appare

      44 più fosca, quasi lume a cui già manche

      45 il nutritivo umor che lo mantiene,

      46 gli serpe a forza il sonno entro le stanche

      47 luci e i sogni n'apporta, onde gli pare

      48 d'esser translato in parti alte e serene.

      49 Ed ecco quivi intanto a lui ne viene

      50 il sacro Alcide: oh, come gli occhi e 'l volto

      51 venerando ed altero, e come queto

      52 vista! oh, come lieto

      53 in atti! oh, come in quei dimostra sciolto

      54 del suo core il secreto!

      55 Cinto ha d'ostro le membra e 'l crin di stelle,

      56 e quinci e quindi sparge auree fiammelle.

      57    Repente un novo orror per l'ossa scorre

      58 al saggio suo nipote e gli s'agghiaccia


* TASSO, T. Rime,   517

   

      98 armerà Dio di folgori tremendi

     100 la forte destra a ciò che i sacri tempi

     101 securi sian da questi iniqui e stolti.

     102 Ecco, io tonar già t'odo; ecco già gli empi

     103 smarriti al fiammeggiar de' lampi orrendi;

     104 eccoli già percossi e in fuga volti.

     105 Saran tra le ruine altri sepolti

     106 de le gran moli a danno lor composte;

     107 fian da le fiamme in polve altri conversi,

     108 altri n'andran dispersi;

     109 altri, con l'alme al ben oprar disposte,

     110 da lo stuol de' perversi

     111 si ridurran sotto tue fide scorte,

     112 e tu loro aprirai del ciel le porte.

     113    Ma, pria che questo avvenga, al tuo destino

     114 tu medesmo un sentier largo prepara

     115 e 'n sino ad or t'infiamma a nobil guerra;

     116 e perché possi ogni superba avara

     117 voglia sprezzar, tien giù lo sguardo chino

     118 e vedrai quanto è angusta e vil la terra,

     119 e in quanto breve giro in lei si serra

     120 la vostra gloria e la potenza umana,

     121 che così par ch'ogni mortale apprezze.

     122 Deh! saran sempre avvezze

     123 le vostre menti in seguir l'*ombra* vana

     124 del ben, fama e ricchezze,

     125 ch'acquistate in molti anni e ch'in brev'ora

     126 l'ingordo tempo al fin strugge e divora?

     127    Vedi come la terra in cinque cerchi

     128 distinta giace, e che ne son due sempre

     129 per algente pruina orridi e inculti;

     130 deserto è il terzo ancora, e che si stempri

     131 pare e si sfaccia ne gli ardor soverchi.

     132 Restan sol quelli frequentati e culti,

     133 ma sono a l'un de l'altro i fatti occulti.

     134 Quante interposte in loro e vaste e nude

     135 solitudini scorgi, e 'n ogni parte,

     136 quasi macchie cosparte,

     137 lor come isole il mare intorno chiude!

     138 E quel che 'n voce e 'n carte

     139 è oceano chiamato ed ampio e magno,

     140 che sembra or se non un picciol stagno?

     141    Omai dunque da l'ime a le supreme

     142 parti il cor volgi e lieto al ciel aspira,

     143 onde l'animo nostro origin prende

     144 ché questo, il qual de' globi intorno gira

     145 ordin meraviglioso unito insieme

     146 per man del Mastro eterno, in sé t'attende.

     147 E questa, che del cielo il moto rende


 

 * TASSO, T. Rime,  573

    

    [Si duole de la propria fortuna e confida nel duca

     d'Urbino.]

       1     O del grand'Apennino

       2 figlio picciolo sì, ma glorioso

       3 e di nome più chiaro assai che d'onde,

       4 fugace peregrino

       5 a queste tue cortesi amiche sponde

       6 per sicurezza vengo e per riposo.

       7 L'alta Quercia che tu bagni e feconde

       8 con dolcissimi umori, ond'ella spiega

       9 i rami sì ch'i monti e i mari ingombra,

      10 mi ricopra con l'*ombra*.

      11 L'ombra sacra, ospital, ch'altrui non niega

      12 al suo fresco gentil riposo e sede,

      13 entro al più denso mi raccoglia e chiuda,

      14 sì ch'io celato sia da quella cruda

      15 e cieca dea, ch'è cieca e pur mi vede,

      16 ben ch'io da lei m'appiatti in monte o 'n valle,

      17 e per solingo calle

      18 notturno io mova e sconosciuto il piede;

      19 e mi saetta sì che ne' miei mali

      20 mostra tanti occhi aver quanti ella ha strali.

      21    Oimè! dal dì che pria

      22 trassi l'aure vitali e i lumi apersi

      23 in questa luce a me non mai serena,

      24 fui de l'ingiusta e ria

      25 trastullo e segno, e di sua man soffersi

      26 piaghe che lunga età risalda a pena.

      27 Sassel la gloriosa alma sirena,

      28 appresso il cui sepolcro ebbi la cuna:

      29 così avuto v'avessi o tomba o fossa

      30 a la prima percossa!

      31 Me dal sen de la madre empia fortuna

      32 pargoletto divelse. Ah! di quei baci,

      33 ch'ella bagnò di lagrime dolenti,

      34 con sospir mi rimembra e de gli ardenti

 

 


* TASSO, T. Rime, 650

    

    Sopra la bellezza.

       1     Questa, che tanto il cieco volgo apprezza,

       2 sol piacer de le donne e sola cura,

       3 caduca e fragilissima bellezza

       4 un vil impedimento è di natura.

       5 Misero amante, cui folle vaghezza

       6 dà in preda ad un'angelica figura,

       7 misero, ch'assai meglio entro a le porte

       8 de l'inferno placar potria la morte!

       9    Come in bel prato tra' fioretti e l'erba

      10 giace sovente angue maligno ascoso;

      11 come in bel vaso d'or vivanda acerba

      12 si cela od empio succo e velenoso;

      13 come in bel pomo spesso anco si serba

      14 putrido verme ond'egli è infetto e roso;

      15 così voglie e pensier malvagi ed opre

      16 sotto vel di bellezza altri ricopre.

      17    Dove bellezza appar cortesia parte,

      18 l'umiltà, la pietà, la bontà fugge;

      19 dov'è bellezza, come a propria parte,

      20 superbia e ingratitudine rifugge;

      21 il seme, il fior d'ogni virtù, d'ogni arte

      22 l'*ombra* malvagia di bellezza adugge:

      23 bellezza è mostro infame, è mostro immondo,

      24 sferza del ciel con che flagella il mondo.

      25    Sì come o noce acerba o pomo amaro

      26 meglio ch'altro maturo o dolce frutto

      27 condir si puote, ed è bramato e caro

      28 quando quell'altro è già guasto e distrutto;

      29 così ne le dolcezze del suo chiaro

      30 nettare Amor meglio condisce il brutto

      31 ch'acerbetto è per sé, che non fa il bello

      32 d'ogni esterno dolcior schivo e rubello.

      33    Sia brutta la mia donna ed abbia il naso

      34 grande che le faccia ombra sino al mento;

      35 sia la sua bocca sì capace vaso

      36 che star vi possa ogni gran robba drento;

      37 sian rari i denti e gli occhi posti a caso,

      38 d'ebano i denti e gli occhi sian d'argento;

      39 e ciò ch'appare e ciò che si nasconda

      40 a queste degne parti corrisponda.

      41    Non temerò ch'ella sia da altri amata,

      42 ch'altri la segua, o pur ch'altri la miri;

      43 non temerò s'ella alcun altro guata

      44 o se mesta talor par che sospiri;

 

 

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