I conflitti a scuola
Elisabetta Nigris



 


La scuola, come tutti i sistemi sociali complessi, è attraversa da conflitti che, di volta in volta, interessano diversi soggetti e si presentano sotto varie forme.  Riconoscere questi conflitti, delinearne possibili sviluppi, gestirne costruttivamente gli andamenti e/o le conseguenze rappresentano alcuni dei compiti professionali di coloro che lavorano nella scuola e nei servizi educativi.  Allo stesso tempo tali compiti costituiscono la condizione sine qua non per costruire relazioni positive all'interno di contesti formativi, una didattica volta a favorire gli apprendimenti e scelte istituzionali condivise che vadano incontro il più possibile ai bisogni non solo dell'utenza ma anche di insegnanti ed educatori.  Le teorie del conflitto da un lato e i risultati della ricerca psicopedagogica dall'altro possono fornire alcuni interessanti strumenti di analisi per leggere e interpretare le situazioni conflittuali, offrendo inoltre alcune strategie o linee di intervento per la prevenzione e la gestione dei conflitti stessi.

Elisabetta Nigris insegna Didattica generale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Milano-Bicocca.  Ha scritto numerosi articoli su riviste del settore e vari testi nell'ambito della pedagogia e della didattica.  Fra gli altri: Scienze cognitive e educazione alla pace (Cuem, Milano 1991), Educazione ínterculturale ( Bruno Mondadori, Milano 1996), Ecologia della differenza (Junior, Bergamo 1996).
 


Indice
- Introduzione

1. I conflitti e la mediazione: teorie e pratiche a confronto
- La definizione del concetto di conflitto -  Mediazione, negoziazione e gestione del conflitto - Le diverse fasi/posizioni del "conflict management movement"

2. 1 conflitti fra pari: mediazioni e mediatori possibili -
"Scontrarsi per crescere": il ruolo del conflitto nella nascita della competenza sociale - Diverse teorie sull'aggressività - Il ruolo dell'adulto nella gestione dell'aggressività - Sviluppo sociale, conflitto socio-cognitivo e processi mentali: la mediazione didattica fra competizione e cooperazione - Il gruppo classe come gruppo con regole proprie: le teorie sociometriche - Modelli pedagogici e pratiche educativi che favoriscono la gestione costruttiva dei conflitti - I casi di violenza e di conflitti distruttivi fra coetanei - Conflitti fra pari ed esperienze internazionali di mediazione scolastica

 3. Conflitti fra insegnanti e alunni - Modelli educativi in conflitto: le antinomie dell'educazione - Il conflitto fra istruzione ed educazione: la mediazione pedagogica fra contenuti e relazione - I conflitti di ruolo: una "questione di stile" - La didattica "non verbale": una strategia di mediazione nei conflitti fra insegnanti e allievi - Conflitti e comunicazione verbale: la mediazione didattica della parola - Modelli didattici a confronto: il conflitto fra contenuti e metodi - Alcune considerazioni conclusive  

189     4. I conflitti fra scuola e famiglia: una nuova sfida didattica - Famiglia, famiglie e scuole: conflitto o díalogo? - Il rapporto fra scuola e famiglia: ruoli a confronto - Verso la collaborazione fra scuola e famiglia - La ricerca di una nuova mediazione fra scuola e famiglia: prospettive, rischi, potenzialítà - Strategie della scuola per incontrare la famiglia: una didattica della mediazione 

246     5. I conflitti degli insegnanti - L'insegnante di fronte ai destinatari della sua professione: chi sono "i bambini e i giovani d'oggi"? - I conflitti di ruolo: che cosa significa insegnare oggi - Conflitti degli insegnanti: il contesto istituzionale - Conflitti degli insegnanti: il ruolo del Capo d'istituto - Conflitti fra gli insegnanti: il ruolo della collegialità - Il conflitto fra quantità e qualità nella scuola odierna

Bibliografia - Indice dei nomi
 


Introduzione

Nella scuola, come in tutti i sistemi bio-sociali,  convivono e interagiscono soggetti appartenenti a gruppi generazionali e socio-culturali diversi fra loro - a diverse "nicchie ecologiche" -, che rivestono ruoli e funzioni differenti e che tendono verso finalità, interessi, risultati non sempre coincidenti o compatibili: la scuola è dunque teatro di confronto, di scambio e di progettualità educativa, ma anche di conflitti che si presentano sotto varie forme, che investono vari campi e che interessano di volta in volta soggetti e gruppi differenti.
Liti fra bambini nel gruppo dei pari per conquistare la leadership o per difendere una diversa appartenenza ideologica; disaccordi fra colleghi per l'organizzazione dell'orario o per la definizione di comuni criteri di progettazione dell'attività didattica all'interno del team / della sezione /del consiglio di classe; difficoltà di comunicazione fra insegnanti e allievi di carattere generazionale o conflitti legati invece ad aspetti didattici più concreti relativi per esempio alla condivisione dei criteri di valutazione, all'organizzazione di una gita scolastica, o alle modalità di interpretazione dei ruoli all'interno della relazione educativa; incomprensioni e fraintendimenti fra docenti e genitori relative al rendimento scolastico dei bambini, alle regole educative, oppure soltanto alle spese suppletive richieste alle famiglie per attività integrative.
Chi di noi non si ricorda le lotte per potersi conquistare uno spazio di relazione ed espressione vitale nel gruppo dei pari; il senso di impotenza dovuto al sentirsi giudicati o puniti ingiustamente dai propri insegnanti; la sofferenza nel sentirsi incompresi, sottostimati dagli adulti responsabili delle relazioni educative, oppure nel sentire di non poter soddisfare aspettative troppo alte di genitori o maestri.  Tutti i bambini e i ragazzi si  sono almeno una volta annoiati per proposte lontane dai loro interessi, o si sono trovati a dover fare i conti con linguaggi, contenuti, concetti, modalità comunicative scolastici che li allontanavano, demotivavano, rendevano diffidenti nei confronti della scuola e del mondo degli adulti.
Allo stesso modo, però, educatrici e insegnanti  si trovano tutti i giorni alle prese con bambini o ragazzi che non sempre accettano le frustrazioni inevitabili in ogni esperienza educativa o relazionale, che non sempre sono preparati alla fatica dell'imparare e della vita in collettività,  o che in altri casi sono comunque irraggiungibili da qualsiasi stimolo di tipo culturale.  Insegnanti ed  educatori devono rivolgersi e rispondere appunto a esigenze, mondi cognitivi, rappresentazionali e culturali a volte molto distanti fra loro.  Essi devono mediare e integrare il loro intervento educativo e formativo con diverse tipologie di famiglie - a volte incontentabili -, che incarnano modelli educativi differenti e spesso in contrasto con quelli della scuola - famiglie "fusionali" o "deleganti", protettive o esigenti, passive o aggressive, famiglie che si vogliono sostituire agli insegnanti o che per contro non osano mettere in discussione il loro operato, anche quando si ripercuote negativamente sui figli.
Sia insegnanti sia educatrici devono inoltre districarsi fra i conflitti che - di volta in volta - possono venire provocati dallo scontro con i vincoli istituzionali, dalla cecità dell'amministrazione centrale, dall'incoerenza fra le loro scelte e quelle dei colleghi, dagli scontri con i dirigenti scolastici. Spesso però la scuola, gli operatori scolastici, la letteratura specialistica o l'opinione pubblica tendono a leggere questi conflitti come incidenti di percorso o come ostacoli non previsti; come la ragione per cui si rinuncia a costruire progetti didattici ed educativi che vanno incontro alle esigenze dei ragazzi o che esprimono gli interessi e le passioni profondi degli insegnanti stessi; come la/le causa/e del degrado e della scuola e del lavoro di chi vi opera, la giustificazione in qualche modo del disagio di bambini, ragazzi, famiglie, insegnanti, presidi. Il più delle volte il mondo educativo tende a "negare" il conflitto, o a considerarlo appunto come una deviazione patologica dalla "norma", dalle "normali" relazioni educativi, dal "normale" andamento della didattica, dal "normale" assetto istituzionale del sistema scolastico e/o educativo. I diversi contesti educativi sono teatro di conflitti individuali e collettivi, più o meno espliciti, intensi, voluti, che - come sostiene Monted - possono diventare "fonti di disordine", contravvenendo all'ideale di armonia interiorizzata da chi lo esercita.
Dissidi tra insegnanti e allievi o fra pari, fra docenti e istituzione o fra scuola e famiglia,
che ogni giorno chiedono agli operatori un forte coinvolgimento e impiego di forze, volte alla decodifica, comprensione e risoluzione di essi. Questo lavoro vuole mostrare come la scuola non esuli dai processi storici e culturali, né dalle dinamiche intra e interpsichiche che si sviluppano nella società in cui si trova: ora ne rappresenta un ologramma che riproduce fedelmente meccanismi e conflitti, ora un caso specifico, in cui le dinamiche, i processi e i conflitti stessi prendono forma, si articolano o si stemperano in modo peculiare.
Tali controversie a volte sono dovute semplicemente a incompatibilità temperamentali, altre sono l'espressione di conflitti di interesse squisitamente personali come gli scontri che vertono sulla suddivisione dei compiti in un consiglio di classe o la distribuzione dei turni fra le educatrici di un asilo nido; più spesso, però, queste dinamiche apparentemente interpersonali chiamano in causa profonde scelte culturali e pedagogiche - si pensi alla questione del chador nelle scuole francesi o a quella più generale ma non meno complessa della valutazione scolastica.  Altre, possono rivelare infine disfunzioni del sistema scolastico: ne sono un esempio i conflitti tra famiglia, scuola e Provveditorato per l'alternarsi di supplenti all'inizio dell'anno.
Questo lavoro cercherà di illustrare e discutere come le riflessioni condotte in campo pedagogico volte ad analizzare queste controversie e queste dinamiche possano, a mio avviso, confrontarsi e integrarsi con le teorie del conflitto vere e proprie: entrambe hanno prodotto studi e ricerche che, invece di concentrarsi sugli aspetti devianti e patologici del conflitto stesso, hanno operato quella che Mitscherlich definisce la "ri-eticizzazíone del conflitto".


Nel primo capitolo, dunque, si mostrerà come, perché il conflitto si trasformi in un'opportunità di riflessione e/o cambiamento, sia necessario "prendersi cura del conflitto" stesso senza "volerlo curare", trasformandolo in fonte di confronto e díversificazione degli interventi operativi e dei comportamenti soggettivi.
Negli altri capitoli
, invece, sono stati presi in esame i diversi ambiti relazionali e istituzionali dove si presentano questi conflitti, integrando le teorie precedentemente analizzate con i risultati della ricerca psicopedagogia specifica.
Nel secondo capitolo si considerano e si analizzano i conflitti fra pari, che in alcuni casi rappresentano situazioni-limite legate a contesti di degrado ed emarginazione o che rivelano squilibri nello sviluppo socio-cognitivo: il ragazzo che ricatta i compagni, o il bambino che conosce - come unica forma di relazione con i compagni - l'attacco fisico.  Altre volte, invece, si tratta di conflitti che richiamano semplicemente processi e dinamiche che rientrano nelle diverse fasi dello sviluppo stesso o ne segnano alcune tappe: i bambini che si contendono gli oggetti in età prescolare, o quelli che lottano per avere il predominio decisionale nei giochi con i compagni nella seconda infanzia, o ancora le discussioni accese e movimentate fra gruppi contrapposti nelle scuole superiori.
A seconda dei casi, dunque, la riflessione ha fatto ricorso a concetti e teorie differenti, che in certi casi chiamano in causa la funzione mediatrice che ogni adulto assume in quanto educatore, mentre in altri fanno riferimento a specifiche metodologie di insegnamento e di organizzazione dei contesti e delle esperienze educative proposte agli alunni; o infine sono state illustrate particolari strategie di risoluzione dei conflitti, che ricorrono all'utilizzo e/o alla formazione specialistica di mediatori scelti fra i pari o fra adulti idonei per svolgerlo. A questo scopo si fa riferimento alla psicologia dello sviluppo e alla psicologia sociale, alle ricerche e alle teorie sull'aggressività, agli studi sui conflitti socio-cognitivi, alla pragmatica della comunicazione e alle più recenti ricerche sul bullismo, sull'educazione ai sentimenti e sulla mediazione fra pari.
Partendo dall'ipotesi esposta nel secondo capitolo, che cioè la gestione dei conflitti fra bambini e ragazzi dipenda sempre e comunque dallo stile educativo, comunicativo e didattico degli adulti responsabili della relazione educativa, dal clima che si viene a creare nelle diverse classi e sezioni o nei contesti educativi e scolastici, nel terzo capitolo sono stati discussi i conflitti che si generano fra insegnanti e allievi, fra adulti e bambini.
Come mostra la ricerca in questo campo, infatti, ancora troppo spesso la demotivazione, il disinteresse e la lontananza dei ragazzi dalla scuola sono imputabili ai disagi provocati da relazioni impersonali e burocratiche fra insegnanti e allievi, alla difficoltà degli insegnanti di considerare i bambini e ragazzi come persone a tutti gli effetti o al loro trincerarsi in ruoli e pratiche comunicative e didattiche tradizionali, che non rispondono ai reali bisogni relazionali e formativi dei soggetti in formazione.  (...)
Per educatrici e insegnanti, peraltro, non è facile rispondere alle richieste di soggetti portatori di bisogni, stili cognitivi e relazionali, così differenziati; non è facile individuare e mettere a punto strategie efficaci ad affrontare situazioni di pesante disagio e svantaggio socio-cognitivo e linguistico.  A queste difficoltà si aggiunge la fatica di rapportarsi e trovare modalità comunicative, relazionali e di mediazione idonee a costruire un rapporto di reciproca collaborazione fra scuola e famiglia, o meglio fra scuola e famiglie. (...)
Molti sono gli studiosi, infatti, che prendono in esame i cambiamenti della famiglia: alcuni rilevano la sua presunta crisi e il suo disgregarsi, tanto da far parlare di "crollo" della famiglia; altri invece mirano a descrivere l'evoluzione dinamica della famiglia, dimostrando che l'apparente crisi, in realtà, corrisponde alla differenziazione dei modelli familiari, tanto da far parlare di "famiglie", invece che di "famiglia". Molto meno numerosi gli studi sul rapporto che la famiglia instaura con la scuola e sul modo con cui la scuola e la famiglia condividono e contrattano i loro compiti educativi: in altre parole pochi sono i contributi, soprattutto in Italia, che prendono in esame la distinzione dei ruoli e delle funzioni di queste due istituzioni educative, le dinamiche che scaturiscono dal contatto fra di esse, la possibilità di dialogo e collaborazione come forma moltiplicatrice dell'efficacia degli interventi educativi dell'una e dell'altra agenzia educativa.
Partendo dall'analisi dell'evoluzione storica che ha subito il rapporto fra scuola e famiglia negli ultimi decenni (in relazione alle concezioni pedagogiche che si sono succedute e/o contrapposte nei diversi periodi storici), nel quarto capitolo si cercherà di delineare quali possibili strategie di mediazione fra scuola e famiglia possono essere utilizzate - a seconda dei contesti in cui si opera - per superare quella che viene da alcuni definita la "sindrome del primo passo", ossia la difficoltà di uscire dalla logica della contrapposizione e della reciproca colpevolizzazione.

Il lavoro degli insegnanti infine è anche attraversato da conflitti legati alla propria professione e alle forme contingenti che essa assume in questa epoca, derivanti dai quesiti e dai dilemmi che la caratterizzano.  Quale ruolo giocano oggi l'insegnante o l'educatrice di un servizio dell'infanzia?  Come è cambiato il loro ruolo nella scuola dell'autonomia?  Quale mandato la società oggi assegna alla scuola?  Quale funzione esercitano le istituzioni educative pubbliche nel mondo educativo attuale? Chi sono i "i bambini" e "i giovani" oggi?  Che cosa chiedono le famiglie?  Queste sono alcune delle domande a cui i professionisti dell'educazione si trovano oggi a rispondere, in relazione a conflitti che di volta in volta scuotono le coscienze individuali, i rapporti interpersonali e istituzionali fra insegnanti, le gerarchie all'interno delle istituzioni o il rapporto fra la singola scuola (e il singolo professionista) e l'amministrazione centrale.  Questi sono i conflitti che possono, se non risolti positivamente, spingere gli insegnanti a mettere in discussione la loro scelta professionale o la loro professionalità, fino a condurre a quello che è stato definito il "mal di scuola"' anche nei professionisti più preparati e motivati.  Il "mal di scuola" che, come verrà preso in esame nell'ultimo capitolo, deriva anche dalla forte burocratizzazione e dalla rigidità del sistema scolastico e dalla difficoltà di leggere e direzíonare in senso costruttivo anche le controversie e le conflittualità legate al rapporto con i colleghi e con l'amministrazione centrale. La riflessione che qui si propone vorrebbe quindi contribuire, seppur debolmente, a lenire il "mal di scuola" di bambini, ragazzi, genitori, insegnanti e di tutti coloro che operano in contesto educativo, fornendo alcu
ni strumenti per analizzare, riconoscere e interpretare i conflitti che via via si presentano nella quotidianità della vita scolastica, non per sottovalutare oppure per demonizzarli, ma per individuare forme concrete e possibili di mediazione pedagogica e didattica che traggano spunto, da un lato, dall'esperienza concreta di operatori, genitori e ragazzi e, dall'altro, dal risultato della ricerca psicopedagogica di questi ultimi decenni.
Infine, quello che si cercherà di dimostrare e discutere - nei prossimi capitoli, al di là delle modalità di gestione dei conflitti proposte, è che le controversie che possono sorgere in una scuola o in un servizio educativo il più delle volte rimandano a contraddizioni più generali: richiamano difficoltà relazionali e comunicative; il mandato del servizio erogato; la definizione di ruoli e funzioni degli operatori, o le disfunzioni organizzativi del sistema.  Allo stesso modo, i conflitti possono mettere in evidenza l'incompetenza degli operatori, o l'incoerenza e il non realismo delle richieste degli utenti.
Costruire strategie vincenti di mediazione di questi conflitti richiede proprio l'individuazione della tipologia del conflitto, la comprensione delle cause che vi hanno condotto (siano esse un'errata definizione di ruoli e di relazioni, o disfunzioni organizzative del sistema scolastico nel suo complesso) e l'assunzione di tutte le problematiche personali, pedagogiche e organizzative a esso legate.  Questo può contribuire a favorire una maggior consapevolezza dei modelli di riferimento assunti dai singoli insegnanti, e dalle singole scuole, generando istanze di cambiamento e producendo azioni innovativi.
In sintesi, occuparsi dei conflitti significa riflettere sul significato degli atti educativi che quotidianamente si concretizzano nei diversi contesti educativi, a volte in modo ripetitivo e non sufficientemente pensato a causa della pressione e dell'urgenza dell'agire quotidiano, nella prospettiva di costruire sia sempre maggiori competenza e consapevolezza di educatrici, insegnanti, dirigenti e operatori in generale, sia una sempre maggior coerenza - istituzionale, culturale e pedagogica - dei servizi educativi stessi.
Ci sembra necessaria a questo punto una precisazione. Nel testo si è scelto di non occuparsi direttamente e specificamente dei conflitti interculturali, se non come esempio delle tipologie di conflitti via via presi in esame: Questa scelta va fatta risalire a due ragioni: da un lato, come già espresso in altri testi dell'autrice, spesso i conflitti interculturali sono riconducibili a dinamiche, incomprensioni, difficoltà, rigidità che caratterizzano più in generale le relazioni umane (si pensi al tema dell'aggressività nelle diverse fasi dello sviluppo esaminato nel secondo capitolo), così come caratterizzano nel loro complesso un certo contesto educativo, un certo stile educativo e di insegnamento, una certa impostazione didattica a prescindere dalla presenza di bambini e famiglie appartenenti a culture minoritarie.
In secondo luogo, il tema dei conflitti di tipo culturale legati all'inserimento di bambini, ragazzi, famiglie appartenenti a minoranze etnico-culturali e religiose nelle scuole e nei servizi educativi del nostro paese, e le problematiche specifiche a esso connesse (per esempio la fenomenologia dei conflitti legata ai pregiudizi e al razzismo diffusi nella nostra società; oppure le tematiche legate ai conflitti provocati dalla presenza di ragazzi che provengono da sistemi scolastici ed educativi differenti e che parlano un'altra lingua) è stato ampiamente preso in esame e discusso nel testo edito da questa casa editrice ( E. Nigris, Educazione ínterculturale, Bruno Mondadori, 1996 ) a cui si rimanda per l'approfondimento di questi aspetti e per l'individuazione di strategie di mediazione educativa e didattica che si possono rivelare particolarmente efficaci in ambiti multiculturali.
Per quanto riguarda, invece, le tipologie di scuola a cui si fa riferimento nella presente trattazione, si è scelto volutamente di comprendere nella trattazione non solo tutti gli ordini e gradi di scuola, ma anche i servizi educativi dell'infanzia (rivolti a bambini fino ai 6 anni), proprio perché riteniamo che la demonizzazione dei conflitti come elemento "patologico' e la conseguente necessità di "rieticizzazione" dei conflitti siano da considerare un fenomeno che investe tutti i contesti educativi, a prescindere dalla loro destinazione e caratterizzazione specifica.  Inoltre la ricerca degli ultimi vent'anni ha mostrato come i risultati dell'esperienza e della riflessione condotte nell'ambito della scuola dell'infanzia si stiano rivelando preziosi spunti per il ripensamento di tutta la scuola italiana: in particolare, pensiamo al lavoro svolto in questi anni nei servizi dell'infanzia nel rapporto fra scuola e famiglia, oppure agli studi condotti sull'organizzazione degli spazi come risorsa per ridurre la conflittualità in ambiente educativo.
Allo stesso modo, gli effetti negativi della rigidità e della burocratizzazione delle forme istituzionali in cui educatrici e insegnanti operano riguardano appunto sia i servizi per bambini piccoli sia le scuole di diverso ordine e grado.
Nei capitoli si è però anche cercato di affrontare specificamente alcuni fenomeni, riflessioni ed esperienze che coinvolgono solo alcune fasi dello sviluppo (si pensi alla specificità della relazione insegnante-allievo nel periodo dell'adolescenza) o solo alcune tipologie di scuole o di contesti educativi.  Il fenomeno del bullismo per esempio, per fortuna, non interessa ancora la scuola dell'infanzia, così come la dispersione e l'abbandono scolastico interessano soprattutto la scuola superiore. In riferimento alle educatrici della scuola dell'infanzia (che in alcuni contesti vengono comunque definite insegnanti) si è deciso di usare il femminile perché la percentuale di donne in questo settore professionale è davvero schiacciante e, dunque, ci invita ad approfittare di questa occasione per contrastare l'abitudine di usare il maschile per entrambi i generi in tutti gli altri casi. Al di là delle differenze di genere o della specificità delle singole situazioni, vorrei ringraziare sinceramente tutte le educatrici, gli insegnanti, i dirigenti scolastici, gli operatori della scuola che hanno contribuito a questo lavoro, arricchendo le mie conoscenze della scuola e delle dinamiche che la caratterizzano, ma soprattutto fornendo esempi di conflitti o strategie che si sono rivelati efficaci nella costruzione di un dialogo fra le componenti della scuola, nella gestione costruttiva delle controversie che via via - fisiologicamente - si presentano nell'esperienza educativa quotidiana.

 

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