G. Leopardi -
Il rapporto tra l'io e la natura
Alcune meditazioni sul ruolo della natura nella vita dell'uomo La souffrance della natura. L’infelicità come legge oggettiva dell’universo - Zibaldone, La souffrance di un giardino (1826) L’infelicità umana e la protesta contro la Natura che esclude dalla bellezza. Il suicidio eroico di Saffo - L'ultimo canto di Saffo ( 1822 ) Il vano tentativo umano di sottrarsi alla legge del dolore universale - Dialogo della Natura e di un Islandese (1824) La crudeltà e l’indifferenza della Natura: l’assurdità della morte - “Dialogo della Natura e di un Islandese” (1824) Le appassionate interrogazioni alla natura sul senso della vita - Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (1828 )
L’inesorabile,cieca forza del Vesuvio e la dignità
della debole ginestra - La ginestra o fiore del
deserto (1836) |
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Entrate in un giardino di piante, d'erbe, di fiori.
Sia pur quanto volete ridente. Sia nella più mite stagione dell'anno. Voi
non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del
patimento. Tutta quella famiglia di vegetali è in istato di
souffrance, qual individuo più, qual meno. Là quella rosa è offesa dal
sole, che gli ha dato la vita; si corruga, langue, appassiscè,- Là quel
giglio è succhiato crudelmente da un'ape, nelle sue parti più sensibili, più
vitali. II dolce mele non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone,
virtuose api senza indicibili tormenti di quelle fibre delicatissime,
senza strage spietata di teneri fiorellini. Quell'albero è infestato
da un formicaio, quell'altro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare;
questo è ferito nella scorza e cruciato dall'aria o dal sole che penetra
nella piaga; quello è offeso nel tronco, o nelle radici; quell'altro
ha più foglie secche; quest'altro è roso, morsicato nei fiori;
quello trafitto, punzecchiato nei frutti. Quella pianta ha troppo
caldo, questa troppo fresco; troppa luce, troppa ombra; troppo umido, troppo
secco. L'una patisce incomodo e trova ostacolo e ingombro nel crescere,
nello stendersi; l'altra non trova dove appoggiarsi, o si affatica e stenta
per arrivarvi. In tutto il giardino tu non trovi una pianticella sola in
istato di sanità perfetta. |
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L'Islandese è l'esempio paradigmatico dell'uomo che si confronta con le
dure leggi di natura ( sofferenza, noia, dolore, morte ), ma possiede anche
una moderna sensibilità e vive la paradossale esclusione dal consorzio
sociale, che persegue solo falsi obiettivi ed alimenta ricorrenti inutili
contrasti tra gli uomini.
ISLANDESE: Tu dei sapere che io fino nella prima gioventù, a poche esperienze, fui persuaso e chiaro della vanità della vita, e della stoltezza degli uomini; i quali combattendo continuamente gli uni cogli altri per l'acquisto di piaceri che non dilettano, e di beni che non giovano; sopportando e cagionandosi scambievolmente infinite sollecitudini, e infiniti mali, che affannano e nocciono in effetto, tanto più si allontanano dalla felicità, quanto più la cercano. L'abbandono del desiderio, l'isolamento, l'impossibile ricerca del piacere è sostituita dalla tentata fuga dal dolore ( sensismo ) Per queste considerazioni, deposto ogni altro desiderio, deliberai, non dando molestia a chicchessia, non procurando in modo alcuno di avanzare il mio stato, non contendendo con altri per nessun bene del mondo, vivere una vita oscura e tranquilla; e disperato dei piaceri, come di cosa negata alla nostra specie, non mi proposi altra cura che di tenermi lontano dai patimenti. Con che non intendo dire che io pensassi di astenermi dalle occupazioni e dalle fatiche corporali: che ben sai che differenza è dalla fatica al disagio, e dal viver quieto al vivere ozioso. E già nel primo mettere in opera questa risoluzione, conobbi per prova come egli è vano a pensare, se tu vivi tra gli uomini, di potere, non offendendo alcuno, fuggire che gli altri non ti offendano; e cedendo sempre spontaneamente, e contentandosi del menomo in ogni cosa, ottenere che ti sia lasciato un qualsivoglia luogo, e che questo menomo non ti sia contrastato. Ma dalla molestia degli uomini mi liberai facilmente, separandomi dalla loro società, e riducendomi in solitudine: cosa che nell'isola mia nativa si può recare ad effetto senza difficoltà. Tuttavia le leggi di natura rendono impossibile l'eliminazione del dolore e della noia Fatto questo, e vivendo senza quasi verun'immagine di piacere, io non poteva mantenermi però senza patimento: perché la lunghezza del verno, l'intensità del freddo, e l'ardore estremo della state, che sono qualità di quel luogo, mi travagliavano di continuo; e il fuoco, presso al quale mi conveniva passare una gran parte del tempo, m'inaridiva le carni, e straziava gli occhi col fumo; di modo che, né in casa né a cielo aperto, io mi poteva salvare da un perpetuo disagio. Né anche potea conservare quella tranquillità della vita, alla quale principalmente erano rivolti i miei pensieri: perché le tempeste spaventevoli di mare e di terra, i ruggiti e le minacce del monte Ecla, il sospetto degl'incendi, frequentissimi negli alberghi, come sono i nostri, fatti di legno, non intermettevano mai di turbarmi. L'isolamento forzoso del resto e l'abitudine ad una vita priva di stimoli, nella piena solitudine, risultano disagevoli. Così l'Islandese tenta di ritrovare la tranquillità mutando la sua sede di vita ( illusione del viaggio ) Tutte le quali incomodità in una vita sempre conforme a se medesima, e spogliata di qualunque altro desiderio e speranza, e quasi di ogni altra cura, che d'esser quieta; riescono di non poco momento, e molto più gravi che elle non sogliono apparire quando la maggior parte dell'animo nostro è occupata dai pensieri della vita civile, e dalle avversità che provengono dagli uomini. Per tanto veduto che più che io mi restringeva e quasi mi contraeva in me stesso, a fine d'impedire che l'esser mio non desse noia né danno a cosa alcuna del mondo; meno mi veniva fatto che le altre cose non m'inquietassero e tribolassero; mi posi a cangiar luoghi e climi, per vedere se in alcuna parte della terra potessi non offendendo non essere offeso, e non godendo non patire. Forse la natura ha previsto che solo in alcuni climi ( luoghi, situazioni ambientali ) gli uomini potessero vivere felicemente E a questa deliberazione fui mosso anche da un pensiero che mi nacque, che forse tu non avessi destinato al genere umano se non solo un clima della terra (come tu hai fatto a ciascuno degli altri generi degli animali, e di quei delle piante), e certi tali luoghi; fuori dei quali gli uomini non potessero prosperare né vivere senza difficoltà e miseria; da dover essere imputate, non a te, ma solo a essi medesimi, quando eglino avessero disprezzati e trapassati i termini che fossero prescritti per le tue leggi alle abitazioni umane. La ricerca di un luogo sereno ed adatto in cui vivere è comunque vana; ovunque la legge è quella della sofferenza e del dolore per l'uomo
Quasi tutto il mondo
ho cercato, e fatta esperienza di quasi tutti i paesi; sempre
osservando il mio proposito, di non dar molestia alle altre creature, se non
il meno che io potessi, e di procurare la sola tranquillità della vita.
Ma io sono stato arso dal caldo fra i tropici, rappreso dal freddo verso i
poli, afflitto nei climi temperati dall'incostanza dell'aria, infestato
dalle commozioni degli elementi in ogni dove. |
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Placida notte, e verecondo raggio
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella (....)
L'esclusione dalla bellezza sprofonda l'essere nella legge inesorabile e inspiegabile del dolore. Solo il suicidio, come volontaria protesta contro la Natura, è capace di annullare l'iniqua crudeltà del destino umano.
Move arcano consiglio. Arcano è tutto, |
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ISLANDESE: In fine, io non mi
ricordo aver passato un giorno solo della vita senza qualche pena;
laddove io non posso numerare quelli che ho consumati senza pure un'ombra di
godimento: mi avveggo che tanto ci è destinato e necessario il patire,
quanto il non godere; tanto impossibile il viver quieto in qual si sia modo,
quanto il vivere inquieto senza miseria: e mi
risolvo a conchiudere che tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri
animali, e di tutte le opere tue; che
ora c'insidii ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora
ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e che, per costume e per
instituto, sei carnefice della tua propria famiglia, de' tuoi figliuoli e,
per dir così, del tuo sangue e delle tue viscere. Per tanto
rimango privo di ogni speranza: avendo compreso che gli uomini finiscono di
perseguitare chiunque li fugge o si occulta con volontà vera di fuggirli o
di occultarsi; ma che tu, per niuna cagione, non
lasci mai d'incalzarci, finché ci opprimi. NATURA: Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l'intenzione a tutt'altro, che alla felicità degli uomini o all'infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n'avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei. Ancora una volta l'uomo si ribella alla crudeltà di tale legge. Perché dare la vita ad esseri condannati fin dalla nascita al dolore ed alla morte? ISLANDESE: Ponghiamo caso che uno m'invitasse spontaneamente a una sua villa, con grande instanza, e io per compiacerlo vi andassi. Quivi mi fosse dato per dimorare una cella tutta lacera e rovinosa, dove io fossi in continuo pericolo di essere oppresso; umida, fetida, aperta al vento e alla pioggia. Egli, non che si prendesse cura d'intrattenermi in alcun passatempo o di darmi alcuna comodità, per lo contrario appena mi facesse somministrare il bisognevole a sostentarmi; e oltre di ciò mi lasciasse villaneggiare, schernire, minacciare e battere da' suoi figliuoli e dall'altra famiglia. Se querelandomi io seco di questi mali trattamenti, mi rispondesse: forse che ho fatto io questa villa per te? o mantengo io questi miei figliuoli, e questa mia gente, per tuo servigio? e, bene ho altro a pensare che de' tuoi sollazzi, e di farti le buone spese; a questo replicherei: vedi, amico, che siccome tu non hai fatto questa villa per uso mio, così fu in tua facoltà di non invitarmici. Ma poiché spontaneamente hai voluto che io ci dimori, non ti si appartiene egli di fare in modo, che io, quanto è in tuo potere, ci viva per lo meno senza travaglio e senza pericolo? Così dico ora. So bene che tu non hai fatto il mondo in servigio degli uomini. Piuttosto crederei che l'avessi fatto e ordinato espressamente per tormentarli. Ora domando: t'ho io forse pregato di pormi in questo universo? o mi vi sono intromesso violentemente, e contro tua voglia? Ma se di tua volontà, e senza mia saputa, e in maniera che io non poteva sconsentirlo né ripugnarlo, tu stessa, colle tue mani, mi vi hai collocato; non è egli dunque ufficio tuo, se non tenermi lieto e contento in questo tuo regno, almeno vietare che io non vi sia tribolato e straziato, e che l'abitarvi non mi noccia? E questo che dico di me, dicolo di tutto il genere umano, dicolo degli altri animali e di ogni creatura. La distruzione e la riproduzione della materia e degli esseri viventi costituiscono le due fasi interconnesse e complementari di vita e di morte in un ciclo necessario per la stessa esistenza dell'universo.
NATURA: Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest'universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra se di maniera, che ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l'una o l'altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento. ISLANDESE. Cotesto medesimo odo ragionare a tutti i filosofi. Ma poiché quel che è distrutto, patisce; e quel che distrugge, non gode, e a poco andare è distrutto medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono? Le forze di Natura, incontrollabili e imprevedibili, possono annullare in un attimo l'esistenza umana, ignorando ogni argomentazione atta a rivendicare la dignità della vita, vissuta senza patimento.
Mentre
stavano in questi e simili ragionamenti è fama che sopraggiungessero due
leoni, così rifiniti e maceri dall'inedia, che appena ebbero la forza di
mangiarsi quell'Islandese; come fecero; e presone un poco di ristoro, si
tennero in vita per quel giorno. Ma sono alcuni che negano questo caso, e
narrano che un fierissimo vento, levatosi mentre che l'Islandese parlava, lo
stese a terra, e sopra gli edificò un superbissimo mausoleo di sabbia:
sotto il quale colui disseccato perfettamente, e divenuto una bella mummia,
fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale
città di Europa. |
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Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (1828 )
La luminosa sagoma della luna in un cielo notturno identifica una presunta purezza della Natura che nelle sue forme squaderna all'uomo un'immutabile e rassicurante presenza, ferma e pacata, capace di coinvolgere l'animo umano nella quiete appagante dell'atmosfera notturna. Invece l'animo dell'uomo è segnato dalla continua tensione e dall' inappagato desiderio di pienezza vitale, mentre un'inesausta tensione lo caratterizza per una meta smarrita o inesistente. L'uomo è del resto conscio dell'epilogo tragico e incomprensibile del suo viaggio doloroso: la morte. La luna, pura e lontana, fredda e ricca di una saggezza ignota al pastore, pare un oracolo da invocare e non solo una presenza confidente e muta. Anche la greggia - come la luna - del resto sembra godere di una condizione più invidiabile rispetto a quella umana. Il suo ozioso peregrinare nei prati o il suo giacere all'ombra degli alberi sembra parlare di una fiduciosa sosta sul presente, senza attesa nel domani, di un tranquillo riposo senza domande e senza risposte. La continua interrogazione sul senso dell'esistere rende invece ancora più angosciosa l'esistenza dell'uomo. La noia, il tedio - intesi come latente insoddisfazione della propria condizione - impediscono di fruire di qualsiasi quiete interiore. Tuttavia questo fronteggiarsi dell'uomo con le forse naturali - mute e in apparenza proficuamente inserite nelle leggi dell'universo - non ha alcun senso. Le leggi universali non distinguono la sorte degli esseri. Un'unica ottica nichilista accomuna l'intero universo. E' questa una legge di dolore cosmico che accomuna astri, animali, vegetali ed esseri umani. E' la legge della materia che riunisce inesorabile la vita alla morte di altri esseri.
La ginestra o fiore del deserto (1836) La ginestra è compagna di grandezze abbattute.... il suo dolcissimo profumo consola il deserto. La ginestra sorge sul pendio spoglio e sterile del Vesuvio. Essa abbelliva anche le solitarie campagne della città di Roma, ed è tuttora muta testimonianza di antiche glorie ormai scomparse. Un tempo Stabia, Ercolano e Pompei sorgevano sulle falde del monte, che devastò con i suoi fiumi di lava campi e città. La rovina avvolge quei luoghi, ma la ginestra con il suo profumo sembra compiangere le disgrazie umane.
Le magnifiche sorti e progressive. Il secolo
attuale ( l'Ottocento ) è considerato da Leopardi superbo e sciocco,
poiché non riconosce lo strapotere delle forze di Natura e cerca
consolazione nell'ottimismo progressista settecentesco o nel
provvidenzialismo cattolico. L'indifferenza della natura verso le sue creature è totale. L'eruzione del Vesuvio e simile alla distruzione di un formicaio con la sua vita operosa per la caduta di un frutto. Ugualmente la furia del vulcano erompe dalle viscere della terra e in pochi istanti sconvolge e seppellisce ricche città. La natura non rispetta dunque le opere umane. Si rinnova l'angoscia sempre risorgente da parte degli abitanti della zona vesuviana, ogni volta che il vulcano manda segni di minaccia. La Natura è perennemente giovane. I suoi lunghi cicli la rendono quasi immutabile. L'uomo è invece immerso nella caducità e si vanta ingenuamente di essere eterno.
La ginestra è docile si piega alla furia del
vulcano reclinando i suoi steli e soccombendo dignitosamente alla Natura.
L'uomo è invece ben più stolto e vanamente superbo, credendosi immortale.
Dignità, umiltà, saggezza della ginestra ( simbolo della Natura debole e
indifesa, ma suggestiva e bellissima nelle sue esigue forme ) e stoltezza
presuntuosa dell'uomo si fronteggiano. |
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La Natura è anche la fragranza della delicata ginestra; che si piega cedevole al destino amaro di distruzione sulle falde del Vesuvio. |
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L'uomo è arrogante, orgoglioso del suo sapere e crede di poter comandare facilmente le leggi di natura. |
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La solidarietà; degli uomini deve rivolgersi contro la Natura, la vera nemica dell'uomo. |