Introduzione
Nella scuola, come in tutti i sistemi bio-sociali, convivono e
interagiscono soggetti appartenenti a gruppi generazionali e socio-culturali
diversi fra loro - a diverse "nicchie ecologiche" -, che rivestono ruoli e
funzioni differenti e che tendono verso finalità, interessi, risultati non
sempre coincidenti o compatibili: la scuola è dunque teatro di confronto, di
scambio e di progettualità educativa, ma anche di conflitti che si
presentano sotto varie forme, che investono vari campi e che interessano di
volta in volta soggetti e gruppi differenti.
Liti fra bambini nel gruppo dei pari per conquistare la leadership o per
difendere una diversa appartenenza ideologica; disaccordi fra colleghi per
l'organizzazione dell'orario o per la definizione di comuni criteri di
progettazione dell'attività didattica all'interno del team / della sezione
/del consiglio di classe; difficoltà di comunicazione fra insegnanti e
allievi di carattere generazionale o conflitti legati invece ad aspetti
didattici più concreti relativi per esempio alla condivisione dei criteri di
valutazione, all'organizzazione di una gita scolastica, o alle modalità di
interpretazione dei ruoli all'interno della relazione educativa;
incomprensioni e fraintendimenti fra docenti e genitori relative al
rendimento scolastico dei bambini, alle regole educative, oppure soltanto
alle spese suppletive richieste alle famiglie per attività integrative.
Chi di noi non si ricorda le lotte per potersi conquistare uno spazio di
relazione ed espressione vitale nel gruppo dei pari; il senso di
impotenza dovuto al sentirsi giudicati o puniti ingiustamente dai propri
insegnanti; la sofferenza nel sentirsi incompresi, sottostimati dagli
adulti responsabili delle relazioni educative, oppure nel sentire di non
poter soddisfare aspettative troppo alte di genitori o maestri. Tutti i
bambini e i ragazzi si sono almeno una volta annoiati per proposte lontane
dai loro interessi, o si sono trovati a dover fare i conti con linguaggi,
contenuti, concetti, modalità comunicative scolastici che li allontanavano,
demotivavano, rendevano diffidenti nei confronti della scuola e del mondo
degli adulti.
Allo stesso modo, però, educatrici e insegnanti si trovano tutti i giorni
alle prese con bambini o ragazzi che non sempre accettano le frustrazioni
inevitabili in ogni esperienza educativa o relazionale, che non sempre
sono preparati alla fatica dell'imparare e della vita in collettività, o
che in altri casi sono comunque irraggiungibili da qualsiasi stimolo di tipo
culturale. Insegnanti ed educatori devono rivolgersi e rispondere appunto
a esigenze, mondi cognitivi, rappresentazionali e culturali a volte molto
distanti fra loro. Essi devono mediare e integrare il loro intervento
educativo e formativo con diverse tipologie di famiglie - a volte
incontentabili -, che incarnano modelli educativi differenti e spesso in
contrasto con quelli della scuola - famiglie "fusionali" o "deleganti",
protettive o esigenti, passive o aggressive, famiglie che si vogliono
sostituire agli insegnanti o che per contro non osano mettere in discussione
il loro operato, anche quando si ripercuote negativamente sui figli.
Sia insegnanti sia
educatrici devono inoltre districarsi fra i conflitti che - di volta in
volta - possono venire provocati dallo scontro con i vincoli istituzionali,
dalla cecità dell'amministrazione centrale, dall'incoerenza fra le loro
scelte e quelle dei colleghi, dagli scontri con i dirigenti scolastici.
Spesso però la scuola, gli operatori scolastici, la letteratura
specialistica o l'opinione pubblica tendono a leggere questi conflitti
come incidenti di percorso o come ostacoli non previsti; come la ragione
per cui si rinuncia a costruire progetti didattici ed educativi che vanno
incontro alle esigenze dei ragazzi o che esprimono gli interessi e le
passioni profondi degli insegnanti stessi; come la/le causa/e del degrado e
della scuola e del lavoro di chi vi opera, la giustificazione in qualche
modo del disagio di bambini, ragazzi, famiglie, insegnanti, presidi. Il
più delle volte il mondo educativo tende a "negare" il conflitto, o a
considerarlo appunto come una deviazione patologica dalla "norma", dalle
"normali" relazioni educativi, dal "normale" andamento della didattica,
dal "normale" assetto istituzionale del sistema scolastico e/o educativo. I
diversi contesti educativi sono teatro di conflitti individuali e
collettivi, più o meno espliciti, intensi, voluti, che - come sostiene
Monted - possono diventare "fonti di disordine",
contravvenendo all'ideale di armonia interiorizzata da chi lo esercita.
Dissidi tra insegnanti e allievi o fra pari, fra docenti e istituzione o fra
scuola e famiglia, che ogni giorno chiedono agli operatori un forte
coinvolgimento e impiego di forze, volte alla
decodifica, comprensione e risoluzione di essi. Questo lavoro
vuole mostrare come la scuola non esuli dai processi storici e culturali,
né dalle dinamiche intra e interpsichiche che si sviluppano nella società in
cui si trova: ora ne rappresenta un ologramma che riproduce fedelmente
meccanismi e conflitti, ora un caso specifico, in cui le dinamiche, i
processi e i conflitti stessi prendono forma, si articolano o si stemperano
in modo peculiare.
Tali controversie a volte sono dovute semplicemente a incompatibilità
temperamentali, altre sono l'espressione di conflitti di interesse
squisitamente personali come gli scontri che vertono sulla
suddivisione dei compiti in un consiglio di classe o la distribuzione dei
turni fra le educatrici di un asilo nido; più spesso, però, queste
dinamiche apparentemente interpersonali chiamano in causa profonde scelte
culturali e pedagogiche - si pensi alla questione del chador
nelle scuole francesi o a quella più generale ma non meno complessa della
valutazione scolastica. Altre, possono rivelare infine disfunzioni del
sistema scolastico: ne sono un esempio i conflitti tra famiglia, scuola e
Provveditorato per l'alternarsi di supplenti all'inizio dell'anno.
Questo lavoro cercherà di illustrare e discutere come le riflessioni
condotte in campo pedagogico volte ad analizzare
queste controversie e queste dinamiche possano, a mio avviso, confrontarsi e
integrarsi con le teorie del conflitto vere e proprie: entrambe
hanno prodotto studi e ricerche che, invece di concentrarsi sugli aspetti
devianti e patologici del conflitto stesso, hanno operato quella che
Mitscherlich definisce la "ri-eticizzazíone del
conflitto".
Nel primo capitolo, dunque, si mostrerà come, perché
il conflitto si trasformi in un'opportunità di
riflessione e/o cambiamento, sia necessario "prendersi cura del conflitto"
stesso senza "volerlo curare",
trasformandolo in fonte di confronto e
díversificazione degli interventi operativi e dei comportamenti soggettivi.
Negli altri capitoli,
invece, sono stati presi in esame i diversi ambiti relazionali e
istituzionali dove si presentano questi conflitti, integrando le teorie
precedentemente analizzate con i risultati della ricerca psicopedagogia
specifica.
Nel secondo capitolo si considerano e si analizzano i conflitti fra pari,
che in alcuni casi rappresentano situazioni-limite legate a contesti di
degrado ed emarginazione o che rivelano squilibri nello sviluppo
socio-cognitivo: il ragazzo che ricatta i compagni, o il bambino che
conosce - come unica forma di relazione con i compagni - l'attacco fisico.
Altre volte, invece, si tratta di conflitti che richiamano semplicemente
processi e dinamiche che rientrano nelle diverse fasi dello sviluppo stesso
o ne segnano alcune tappe: i bambini che si contendono gli oggetti in
età prescolare, o quelli che lottano per avere il predominio decisionale nei
giochi con i compagni nella seconda infanzia, o ancora le discussioni accese
e movimentate fra gruppi contrapposti nelle scuole superiori.
A seconda dei casi, dunque, la riflessione ha fatto ricorso a concetti e
teorie differenti, che in certi casi chiamano in causa la funzione
mediatrice che ogni adulto assume in quanto educatore, mentre in altri
fanno riferimento a specifiche metodologie di insegnamento e di
organizzazione dei contesti e delle esperienze educative proposte agli
alunni; o infine sono state illustrate particolari strategie di
risoluzione dei conflitti, che ricorrono all'utilizzo e/o alla
formazione specialistica di mediatori scelti fra i pari o fra adulti
idonei per svolgerlo. A questo scopo si fa riferimento alla psicologia
dello sviluppo e alla psicologia sociale, alle ricerche e alle teorie sull'aggressività,
agli studi sui conflitti socio-cognitivi, alla pragmatica della
comunicazione e alle più recenti ricerche sul bullismo, sull'educazione
ai sentimenti e sulla mediazione fra pari.
Partendo dall'ipotesi esposta nel secondo capitolo, che cioè la
gestione dei conflitti fra bambini e ragazzi dipenda sempre e comunque dallo
stile educativo, comunicativo e didattico degli adulti responsabili della
relazione educativa, dal clima che si viene a creare nelle diverse classi e
sezioni o nei contesti educativi e scolastici, nel terzo capitolo
sono stati discussi i conflitti che si generano fra insegnanti e allievi,
fra adulti e bambini.
Come mostra la ricerca in questo campo, infatti, ancora troppo spesso la
demotivazione, il disinteresse e la lontananza dei ragazzi dalla scuola sono
imputabili ai disagi provocati da relazioni impersonali e burocratiche fra
insegnanti e allievi, alla difficoltà degli insegnanti di considerare i
bambini e ragazzi come persone a tutti gli effetti o al loro trincerarsi in
ruoli e pratiche comunicative e didattiche
tradizionali, che non rispondono ai reali bisogni relazionali e formativi
dei soggetti in formazione. (...)
Per educatrici e insegnanti, peraltro, non è facile rispondere alle
richieste di soggetti portatori di bisogni, stili cognitivi e relazionali,
così differenziati; non è facile individuare e mettere a punto strategie
efficaci ad affrontare situazioni di pesante disagio e svantaggio
socio-cognitivo e linguistico. A queste difficoltà si aggiunge la
fatica di rapportarsi e trovare modalità comunicative, relazionali e di
mediazione idonee a costruire un rapporto di reciproca collaborazione fra
scuola e famiglia, o meglio fra scuola e famiglie. (...)
Molti sono gli studiosi, infatti, che prendono in esame i cambiamenti
della famiglia: alcuni rilevano la sua presunta crisi e il suo
disgregarsi, tanto da far parlare di "crollo" della famiglia; altri invece
mirano a descrivere l'evoluzione dinamica della famiglia, dimostrando
che l'apparente crisi, in realtà, corrisponde alla differenziazione dei
modelli familiari, tanto da far parlare di "famiglie", invece che di
"famiglia". Molto meno numerosi gli studi sul
rapporto che la famiglia instaura con la scuola e sul modo con cui la scuola
e la famiglia condividono e contrattano i loro compiti educativi:
in altre parole pochi sono i contributi, soprattutto in Italia, che prendono
in esame la distinzione dei ruoli e delle funzioni di queste due istituzioni
educative, le dinamiche che scaturiscono dal contatto fra di esse, la
possibilità di dialogo e collaborazione come forma moltiplicatrice
dell'efficacia degli interventi educativi dell'una e dell'altra agenzia
educativa.
Partendo dall'analisi dell'evoluzione storica che ha subito il rapporto fra
scuola e famiglia negli ultimi decenni (in relazione alle concezioni
pedagogiche che si sono succedute e/o contrapposte nei diversi periodi
storici), nel quarto capitolo si cercherà di delineare quali possibili
strategie di mediazione fra scuola e famiglia possono essere utilizzate
- a seconda dei contesti in cui si opera - per superare quella che viene da
alcuni definita la "sindrome del primo passo", ossia la difficoltà di uscire
dalla logica della contrapposizione e della reciproca colpevolizzazione.
Il lavoro degli insegnanti infine è anche attraversato da conflitti
legati alla propria professione e alle forme contingenti che essa assume
in questa epoca, derivanti dai quesiti e dai dilemmi che la caratterizzano.
Quale ruolo giocano oggi l'insegnante o l'educatrice di un servizio
dell'infanzia? Come è cambiato il loro ruolo nella scuola
dell'autonomia? Quale mandato la società oggi assegna alla scuola?
Quale funzione esercitano le istituzioni educative pubbliche nel mondo
educativo attuale? Chi sono i "i bambini" e "i giovani" oggi? Che cosa
chiedono le famiglie? Queste sono alcune delle domande a cui i
professionisti dell'educazione si trovano oggi a rispondere, in relazione a
conflitti che di volta in volta scuotono le coscienze individuali, i
rapporti interpersonali e istituzionali fra insegnanti, le gerarchie
all'interno delle istituzioni o il rapporto fra la singola scuola (e il
singolo professionista) e l'amministrazione centrale. Questi sono i
conflitti che possono, se non risolti positivamente, spingere gli insegnanti
a mettere in discussione la loro scelta professionale o la loro
professionalità, fino a condurre a quello che è stato definito il "mal di
scuola"' anche nei professionisti più preparati e motivati. Il "mal di
scuola" che, come verrà preso in esame nell'ultimo capitolo, deriva
anche dalla forte burocratizzazione e dalla rigidità del sistema scolastico
e dalla difficoltà di leggere e direzíonare in senso costruttivo anche le
controversie e le conflittualità legate al rapporto con i colleghi e con
l'amministrazione centrale. La riflessione che qui si propone vorrebbe
quindi contribuire, seppur debolmente, a lenire il "mal di scuola" di
bambini, ragazzi, genitori, insegnanti e di tutti coloro che operano in
contesto educativo, fornendo alcuni
strumenti per analizzare, riconoscere e
interpretare i conflitti che via via si presentano nella quotidianità della
vita scolastica, non per sottovalutare oppure per demonizzarli,
ma per individuare forme concrete e possibili di
mediazione pedagogica e didattica che traggano spunto, da un
lato, dall'esperienza concreta di operatori, genitori e ragazzi e,
dall'altro, dal risultato della ricerca psicopedagogica di questi ultimi
decenni.
Infine, quello che si cercherà di dimostrare e discutere - nei prossimi
capitoli, al di là delle modalità di gestione dei conflitti proposte, è che
le controversie che possono sorgere in una scuola o
in un servizio educativo il più delle volte rimandano a contraddizioni più
generali: richiamano difficoltà relazionali e comunicative;
il mandato del servizio erogato; la definizione di
ruoli e funzioni degli operatori, o le disfunzioni organizzativi del
sistema. Allo stesso modo, i conflitti possono mettere in
evidenza l'incompetenza degli operatori, o l'incoerenza e il non realismo
delle richieste degli utenti.
Costruire strategie vincenti di mediazione di questi conflitti richiede
proprio l'individuazione della tipologia del conflitto, la
comprensione delle cause che vi hanno condotto (siano esse
un'errata definizione di ruoli e di relazioni, o disfunzioni organizzative
del sistema scolastico nel suo complesso) e l'assunzione di tutte le
problematiche personali, pedagogiche e organizzative a esso legate. Questo
può contribuire a favorire una maggior consapevolezza dei modelli di
riferimento assunti dai singoli insegnanti, e dalle singole scuole,
generando istanze di cambiamento e producendo azioni innovativi.
In sintesi, occuparsi dei conflitti significa riflettere sul significato
degli atti educativi che quotidianamente si concretizzano nei diversi
contesti educativi, a volte in modo ripetitivo e non sufficientemente
pensato a causa della pressione e dell'urgenza dell'agire quotidiano,
nella prospettiva di costruire sia sempre maggiori competenza e
consapevolezza di educatrici, insegnanti, dirigenti e operatori in generale,
sia una sempre maggior coerenza - istituzionale, culturale e pedagogica -
dei servizi educativi stessi.
Ci sembra necessaria a questo punto una precisazione. Nel testo si è scelto
di non occuparsi direttamente e specificamente dei conflitti
interculturali, se non come esempio delle tipologie di conflitti via via
presi in esame: Questa scelta va fatta risalire a due ragioni: da un lato,
come già espresso in altri testi dell'autrice, spesso i conflitti
interculturali sono riconducibili a dinamiche, incomprensioni, difficoltà,
rigidità che caratterizzano più in generale le relazioni umane (si pensi al
tema dell'aggressività nelle diverse fasi dello sviluppo esaminato
nel secondo capitolo), così come caratterizzano nel loro complesso un certo
contesto educativo, un certo stile educativo e di insegnamento, una certa
impostazione didattica a prescindere dalla presenza di bambini e famiglie
appartenenti a culture minoritarie.
In secondo luogo, il tema dei conflitti di tipo culturale legati
all'inserimento di bambini, ragazzi, famiglie appartenenti a minoranze
etnico-culturali e religiose nelle scuole e nei servizi educativi del nostro
paese, e le problematiche specifiche a esso connesse (per esempio la
fenomenologia dei conflitti legata ai pregiudizi e al razzismo diffusi
nella nostra società; oppure le tematiche legate ai conflitti provocati
dalla presenza di ragazzi che provengono da sistemi scolastici ed educativi
differenti e che parlano un'altra lingua) è stato ampiamente preso in esame
e discusso nel testo edito da questa casa editrice (
E. Nigris, Educazione
ínterculturale, Bruno Mondadori, 1996 ) a cui si rimanda per
l'approfondimento di questi aspetti e per l'individuazione di strategie di
mediazione educativa e didattica che si possono rivelare particolarmente
efficaci in ambiti multiculturali.
Per quanto riguarda, invece, le tipologie di scuola a cui si fa riferimento
nella presente trattazione, si è scelto volutamente di comprendere nella
trattazione non solo tutti gli ordini e gradi di scuola, ma anche i servizi
educativi dell'infanzia (rivolti a bambini fino ai 6 anni), proprio perché
riteniamo che la demonizzazione dei conflitti come elemento "patologico' e
la conseguente necessità di "rieticizzazione" dei
conflitti siano da considerare un fenomeno che investe tutti i
contesti educativi, a prescindere dalla loro destinazione e
caratterizzazione specifica. Inoltre la ricerca degli ultimi vent'anni ha
mostrato come i risultati dell'esperienza e della riflessione condotte
nell'ambito della scuola dell'infanzia si stiano rivelando preziosi spunti
per il ripensamento di tutta la scuola italiana: in particolare, pensiamo al
lavoro svolto in questi anni nei servizi dell'infanzia nel rapporto fra
scuola e famiglia, oppure agli studi condotti sull'organizzazione degli
spazi come risorsa per ridurre la conflittualità in ambiente educativo.
Allo stesso modo, gli effetti negativi della rigidità e della
burocratizzazione delle forme istituzionali in cui educatrici e
insegnanti operano riguardano appunto sia i servizi per bambini piccoli sia
le scuole di diverso ordine e grado.
Nei capitoli si è però anche cercato di affrontare specificamente alcuni
fenomeni, riflessioni ed esperienze che coinvolgono solo alcune fasi dello
sviluppo (si pensi alla specificità della relazione insegnante-allievo nel
periodo dell'adolescenza) o solo alcune tipologie di scuole o di contesti
educativi. Il fenomeno del bullismo per esempio, per fortuna, non
interessa ancora la scuola dell'infanzia, così come la dispersione e
l'abbandono scolastico interessano soprattutto la scuola superiore. In
riferimento alle educatrici della scuola dell'infanzia (che in alcuni
contesti vengono comunque definite insegnanti) si è deciso di usare il
femminile perché la percentuale di donne in questo settore professionale è
davvero schiacciante e, dunque, ci invita ad approfittare di questa
occasione per contrastare l'abitudine di usare il maschile per entrambi i
generi in tutti gli altri casi. Al di là delle differenze di genere o della
specificità delle singole situazioni, vorrei ringraziare sinceramente tutte
le educatrici, gli insegnanti, i dirigenti scolastici, gli operatori della
scuola che hanno contribuito a questo lavoro, arricchendo le mie conoscenze
della scuola e delle dinamiche che la caratterizzano, ma soprattutto
fornendo esempi di conflitti o strategie che si sono rivelati efficaci nella
costruzione di un dialogo fra le componenti della scuola, nella gestione
costruttiva delle controversie che via via - fisiologicamente - si
presentano nell'esperienza educativa quotidiana.
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