Nel primo articolo di questa
serie (si veda Psicologia e Scuola n. 101) abbiamo presentato
le caratteristiche del comportamento assertivo, passando in rassegna i
motivi che rendono auspicabile l'insegnamento di questo modello nella
scuola. Concludevamo proponendo uno strumento di autoanalisi, ad uso degli
insegnanti, finalizzato a rafforzare la consapevolezza del proprio
modus operandi sociale. Vorremmo
ora illustrare, come anticipato, un metodo di screening delle abilità
sociali degli allievi. Prima di fare questo, però, ci sembra opportuno
approfondire il discorso sulla nascita e sull'evoluzione del modello
assertivo.
Lo sviluppo del
modello
Dopo Salter, nel
1949, e Wolpe, negli anni Cinquanta, gli psicologi si sono impegnati
nella ricerca e nello studio delle applicazioni dell'assertività a diversi
livelli e secondo differenti prospettive teoriche. I filoni di ricerca
sviluppati sono stati sopratutto due: quello clinico e quello pedagogico. Il
filone clinico riguarda essenzialmente la pratica psicoterapeutica e
comprende diversi interventi mirati alla crescita personale e quindi, in
ultima analisi, alla soluzione dei problemi relazionali. Il filone
pedagogico, che ci interessa maggiormente in questa sede, ha riguardato
più spesso l'ambito del lavoro ponendosi lo scopo di formare i gruppi
alla cooperazione e quindi, in definitiva, di far raggiungere una
maggiore efficienza produttiva. E opportuno rimarcare, però, che non sempre
sono stati ottenuti i risultati sperati, poiché, come afferma Ajmone
(1999): «[ ... ] molte persone che frequentano corsi di questo tipo cercano
di applicare meccanicamente quanto appreso, senza prima cambiare se stessi e
riflettere sul significato e sull'opportunità degli strumenti da usare. Si
confonde così l'efficienza tecnica con il risultato da conseguire, il mezzo
con il fine [... ]». Questi rischi andrebbero allora scongiurati fin
dall'inizio, stabilendo come obiettivo primario dell'intervento il
raggiungimento di una maggiore consapevolezza, da anteporre alla ricerca di
un comportamento "socialmente perfetto". Quanto detto è tanto più vero
quanto più giovani sono le persone da educare.
Ma come raggiungere, concretamente, questo obiettivo? Semplicemente
introducendo, accanto al concetto di "abilità sociale" fin qui
delineato, un nuovo parametro: quello di "competenza
sociale".
Se, infatti, per abilità sociale si intende generalmente la capacità di
attuare un determinato repertorio comportamentale socialmente accettato,
la competenza sociale consiste nel saper scegliere
il comportamento più adeguato rispetto alla situazione che si sta vivendo.
Così, ad esempio, se Mario si confonde nel rispondere all'interrogazione,
Luigi può intervenire dando la risposta esatta; in questo caso Luigi ha
dimostrato di essere socialmente abile. Se invece Luigi, pur conoscendo la
risposta esatta, non interviene per dare il tempo a Mario di riflettere, si
sarà dimostrato, oltre che socialmente abile, socialmente competente.
Da quanto detto possiamo trarre delle importanti deduzioni:
l'insegnamento delle sole abilità sociali non è di
per sé sufficiente a livello educativo, in aggiunta a queste occorre fornire
all'allievo una chiave di lettura del contesto, in modo che egli possa
produrre dei comportamenti consapevoli anche alla luce delle conseguenze che
porteranno (sia per lui, sia per gli altri attori coinvolti). In
definitiva, senza la competenza sociale, l'abilità posseduta può rivelarsi
persino inutile se non dannosa; l'abilità sociale, d'altra parte, è
condizione indispensabile per arrivare ad una piena maturità comunicativa.
Emerge così, nel nostro discorso, un altro concetto basilare che rappresenta
il punto di riferimento per ogni intervento formativo in ambito sociale:
il concetto di "contesto".
Con questo termine intendiamo tutti gli elementi
che fanno da sfondo al nostro agire con gli altri; il contesto in pratica è
rappresentato dalla scenografia e dall'antefatto della "drammatizzazione"
che siamo chiamati a svolgere quotidianamente.
Vediamo così che un
intervento educativo serio non può prescindere dalla valutazione dei vari
attori coinvolti all'interno della loro "scena". Per fare questo abbiamo
bisogno di alcuni costrutti che fungano da "punti di riferimento" per la
nostra osservazione.
Una valutazione tridimensionale
Da quanto fin qui affermato
possiamo evincere almeno due cose:
1) ogni comportamento da
valutare va rapportato a quell'insieme dinamico di elementi rappresentato
dal contesto;
2) secondo il concetto di competenza sociale non esistono comportamenti
giusti o sbagliati in senso assoluto.
I "punti di riferimento" di cui abbiamo parlato poc'anzi sono rappresentati
dai tre stili comunicativi cui abbiamo già accennato nel precedente
articolo: lo stile passivo, lo stile aggressivo e quello assertivo.
Tab. 1 - Parametri generali per la
valutazione dello stile affermativo
A.
Sa esprimere le proprie esigenze in modo comprensibile alla maggior
parte dei suoi interlocutori |
1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
B. Raggiunge i suoi obiettivi
restando in buoni rapporti con gli altri.
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1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
C. Difende i propri diritti non
mostrando ansia eccessiva.
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1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
D. E' in
grado di ingaggiare una discussione spiegando la propria
posizione ma, allo stesso tempo, facendo in modo
di evitare il conflitto. |
1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
E. Sa
tollerare le frustrazioni cercando soddisfazioni alternative, senza
attuare comportamenti passivi o aggressivi. |
1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
F. Si
trova a suo agio durante le relazioni con gli altri.
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1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
G.
Accetta le critiche costruttive utilizzandole per migliorare il
proprio
comportamento. |
1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
H. E'
sicuro di sé e sa lavorare in autonomia così come in gruppo.
|
1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
Legenda: 1 = molto raramente; 2 =
raramente; 3 = talvolta; 4 = spesso; 5 = molto spesso.
A questo punto si
comprende come non esistano, in assoluto, persone assertive, passive o
aggressive. Potremmo, al limite, parlare di individui prevalentemente
passivi, aggressivi, ecc.; inoltre, secondo il principio della
competenza sociale, possiamo affermare che non sempre lo stile assertivo
sia quello migliore. Si pensi ad una situazione in cui un uomo forzuto,
ubriaco e fuori di sé ci tagli la strada con la sua auto: fargli
assertivamente le nostre rimostranze riguardo al diritto di precedenza
negatoci ci esporrebbe a rischi decisamente sovradimensionati rispetto ai
possibili benefici. In questo caso sarebbe più socialmente competente, ad
esempio, una passiva ritirata (magari avvisando poi le forze dell'ordine).
Così, nel valutare un allievo non basta conoscere il suo stile
comunicativo prevalente. Per prima cosa dovremo accertarci se egli
sappia attuare tutti e tre gli stili, in seconda battuta cercheremo
di determinare quale stile utilizza di più (auspicabilmente quello
assertivo) e quando.
Inoltre, ogni individuo ha un suo personale modo di reagire alle diverse
situazioni: alcuni sono passivi ove altri sono assertivi e viceversa.
Uno strumento per valutare la classe
E importante quindi, nell'attuare un intervento di educazione
all'assertività, avere un'idea del livello di abilità sociali possedute
dal gruppo target. Il modello che presentiamo si basa su una
valutazione delle differenti sottoabilità assertive dell'allievo (tab. 1).
Già attraverso la tab. 1 si potrebbe delineare un giudizio sintetico
sulla qualità comunicativa dell'allievo, anche se sarebbe preferibile
assegnare i punteggi insieme all'interessato, facendogli simulare,
magari, le varie situazioni. In questo modo diventa possibile unire il
momento della valutazione a quello educativo offrendo un'occasione di
crescita al discente.
Si potrebbe, ad esempio, proporre una discussione in gruppo (5 o 6
partecipanti) su un argomento scelto dagli allievi e sul quale essi abbiano
opinioni differenti. Al termine della discussione, l'insegnante
potrebbe invitare la classe a commentarne lo svolgimento proponendo i
parametri che abbiamo illustrato, e magari intervenire sugli errori
comunicativi assegnando degli esercizi quali, ad esempio,
"l'immedesimazione nell'altro". Questo esercizio consiste nel far
illustrare ad ognuno dei partecipanti alla discussione il punto di vista
dell'altro come se fosse il proprio. Si facilitano così l'empatia e
l'accettazione, anche quando alla fine ognuno resta sulle proprie posizioni.
Per effettuare un monitoraggio dei progressi di ogni allievo, si possono
riportare i dati su un grafico del tipo raffigurato nella fig. I.
Questo permette di osservare non solo il progredire in senso assoluto delle
abilità, ma anche di raffrontare tra loro le diverse sottoabilità. Questo
quadro dinamico può fornire all'insegnante un'idea delle abilità mancanti,
emergenti o acquisite dall'allievo, indirizzandolo nella scelta degli
interventi da effettuare.
Esempio di grafo riassuntivo
Classe: I I I A
Allíevo: Piero Bianchi
Legenda: linea continua ( _______) = 1^ valutazione in data
14/3/1999
linea tratteggiata ( _ _ _ )= 2^ valutazione in data 20/05/1999
Gli obiettivi
E'
possibile che dai profili di una classe emergano
delle difficoltà ricorrenti in vari allievi, così come potrebbero
verificarsi dei problemi più complessi. Riguardo ai problemi
comuni,
l'insegnante può considerarli come situazioni da affrontare in gruppo
ridefinendo, magari, la meta in positivo. Ad esempio, se rilevasse
un'alta litigiosità, potrebbe dire: «Abbiamo visto che nella classe
esistono difficoltà nell'espressione delle proprie opinioni (tab. 1, punto
D): che ne direste se ci impegnassimo a migliorare la capacità di discutere
in gruppo?». Relativamente al problemi complessi, che
potrebbero scaturire da situazioni particolari, la soluzione consiste nel
suddividere il problema in sottoproblemi da affrontare uno alla volta.
Infatti, una situazione difficoltosa può essere causata dalla carenza di più
abilità sociali.
Bibliografia
AIMONE T. (1999), «Assertività:
la triade comportamentale»,Antropos & Iatria, 3,3.
MEAZZINI P. (1980), Il comportamentismo: una storia culturale,
vol. 1, Erip, Pordenone.
MEAZZINI P. (2000), L'insegnante di qualità, Giunti, Firenze.
SALTER A.(1949), Conditioned reflex therapy, Creative Age
Press, New Jork.
WOLPE J., LAZARUS
A.A.
(1966), Behavior therapy tecniques, Pergamon Press, New York.
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