Pietro Longhi, Lesione di danza, 1741
|
Pietro Longhi, Visita a una dama, 1746
|
La locandiera
- ( 1750 )
Mirandolina viene
corteggiata da ogni uomo che frequenta la sua locanda, e in modo particolare
dal marchese
di Forlipopoli, un aristocratico decaduto e dal
conte d'Albafiorita,
un mercante che, arricchitosi, è entrato a far parte della nuova nobiltà. I
due personaggi rappresentano gli estremi dell'alta società veneziana del
tempo. Il marchese, avvalendosi esclusivamente del suo onore è convinto che
basti elargire la sua protezione per conquistare il cuore della donna. Al
contrario, il conte, crede che così come ha comperato il blasonato titolo,
possa procurarsi l'amore di Mirandolina acquistandole numerosi regali.
L'astuta locandiera, da buona mercante, non si concede a nessuno dei due,
lasciando intatta l'illusione di una possibile conquista.
L'arrivo del
Cavaliere di Riprafratta,
un aristocratico altezzoso e misogino che disprezza ogni donna, sconvolge il
fragile equilibrio instauratosi nella locanda. Il Cavaliere, ancorato alle
sue nobili origini, lamentandosi del servizio scadente della locanda, detta
ordini a Mirandolina, e rimprovera il conte ed il marchese di essersi
abbassati a corteggiare una popolana.
Mirandolina, ferita nel suo orgoglio femminile e non essendo abituata ad
essere tratta come una serva, si ripromette di far sì che il cavaliere
s'innamori di lei. In breve tempo, riesce nel suo intento: il
Cavaliere
cede, e tutto il sentimento d'odio che provava si tramuta in un appassionato
amore che lo tormenta.
Mirandolina, però, lo rifiuta appena vede che il suo gioco le stava
sfuggendo di mano: il marchese ed il conte, notando le speciali attenzioni
di Mirandolina rivolte al cavaliere, bruciano di gelosia e vogliono
vendicarsi del loro comune rivale in amore. Il cavaliere dilaniato dai due
sentimenti contrastanti, non vuole far sapere che è caduto vittima dei lacci
di una donna, ma freme di avere la locandiera per sé, ed è disposto perfino
a usare la violenza per realizzare il suo fine.
Mirandolina, con un abile stratagemma riappacifica i nobili, si sposa con il
cameriere
Fabrizio, che l'aveva sempre amata e che mirava a lei anche
per diventare il padrone della locanda, e si ripromette di non giocare più
con il cuore degli uomini.
|
La bottega del caffè
- Commedia in tre atti di
Carlo Goldoni ( 1707-1793 ), rappresentata la prima volta nel 1750. È commedia
di carattere e, insieme, di intrigo.
Eugenio, carattere buono ma debole,
accecato dalla passione del giuoco trascura la moglie, che tuttavia ama
sinceramente, per lasciarsi truffare da
Flaminio il quale,
sotto il nome di
conte Leandro, vive
barando e cerca frattanto di cattivarsi le grazie della ballerina
Lisaura.
Le vicende dei due sono poi movimentate dai continui pettegolezzi e
maldicenze di
don Marzio ; finché, con i buoni uffici dell'onesto
caffettiere
Ridolfo, tutto si accomoda: Eugenio torna all'affetto di
Vittoria
rinunziando al giuoco;
Leandro si ravvede e
si riconcilia con sua moglie,
Placida, da cui era
fuggito; il biscazziere
Pandolfo viene
arrestato e
don Marzio svergognato da tutti.
Questa commedia, che si svolge tutta su una piazzetta
veneziana, è di quelle che più vivacemente rispecchiano una vita ricca di
colori, di toni e di affetti cara al Goldoni. Il piccolo dramma
coniugale di Eugenio e Vittoria ha un calore inconsueto nel teatro
goldoniano e ci mostra in Vittoria un personaggio femminile che esce
alquanto dalla sobria formula del commediografo veneziano per sentire e
soffrire più profondamente. Ma vero protagonista è il
caffè, di cui don Marzio è l'anima ciarliera, sfaccendata e
allegramente pettegola. |
La casa nuova.
Una delle più importanti commedie di Carlo Goldoni (1707-1793). Scritta in
dialetto veneziano, in tre atti, fu rappresentata la prima volta nel 1761.
Ritorna in questa commedia uno dei motivi prediletti del Goldoni:
il piccolo dramma della nuova generazione in contrasto
con l'antica. Se non che l'antica, tante volte sopraffatta, trova qui
la sua rivincita.
Anzoletto e
Cecilia,
giovani sposi, preparano la loro nuova casa; ma
Cecilia, viziata
dall'educazione ricevuta, ha idee di lusso, e
Anzoletto, troppo
condiscendente, non ha il coraggio di rivelarle le sue strettezze e si
indebita per compiacerla. Intanto matura l'incompatibilità fra
Cecilia
e Meneghina,
sorella di
Anzoletto, che si vede costretta a subire la supremazia della
cognata. Aiutata da
Checca e da
Rosina,
Meneghina
cerca di riconciliarsi con il ricco zio
Cristofolo il quale,
disapprovando il matrimonio di Anzoletto con una ragazza pretenziosa e senza
dote quale è Cecilia, non vuol più saperne dei nipoti. E a stento riesce a
ottenere il suo appoggio e la sua protezione per
Lorenzino che la ama.
Ma gli eventi precipitano: gli operai che arredano la casa nuova vogliono
esser pagati, i mobili vengono ipotecati,
Anzoletto non è più
sicuro nemmeno della sua libertà personale. Allora si risvegliano in
Cecilia
le sue risorse di buon senso e di femminilità; essa corre da
Cristofolo,
gli chiede perdono delle follie commesse e fatte commettere al marito,
riesce a rabbonirlo e a ottenere il suo aiuto:
Lorenzino e
Meneghina
si sposano,
Cristofolo paga i debiti di Anzoletto e
la casa nuova viene sacrificata alla necessaria economia che dovrà guidare
la nuova vita. Come in molte delle migliori commedie del Goldoni
anche in questa il vero protagonista è un ambiente: la
casa nuova, che questa volta, però, è ostile, respinge i personaggi
sbigottiti, è insensibile al loro dramma. E questo dramma rimane
soffocato quasi in secondo piano, ma, appunto per questo, più intenso.
L'attrito fra Cecilia e Meneghina, la condiscendenza stordita di Anzoletto,
l'ansia con cui egli segue il formarsi della nuova casa, la sicurezza un
po'esaltata di Cecilia, propria di una sposa novellina, la bonarietà
avveduta e saccente di Checca e Rosina, Lucietta pettegola, Cristofolo
bonario, diffidente e brontolone, formano un mondo completo:
il piccolo mondo quotidiano con tutte le sue miserie,
le sue follie e la sua intima e inconsapevole bontà.
|
Le baruffe chiozzotte.
Commedia in tre atti di Carlo Goldoni , in dialetto veneziano con
alterazioni chioggiotte, rappresentata nel 1762. È una
commedia di movimento, tutta sostenuta dal vivace spettegolare delle donne,
espressione completa e matura di quel teatro corale, caro al Goldoni, che
dai Pettegolezzi delle donne , alle Massere, al Campiello fino a
questa, segue una decisa linea ascendente raggiungend sempre più a fondo lo
spirito e il dramma della collettività. Siamo in una piccola colonia
di pescatori, gente dalla vita e dall'animo rude, ma schietta, limpida,
essenzialmente sana.
Toffolo offre della
zucca cotta a
Lucietta, fidanzata di
Titta-Nane, e da
questo semplice gesto tutta la vicenda si sviluppa in una serie di
chiacchiere e di gelosie fra
Checca, che ama
Toffolo,
e Lucietta,
da una parte, e fra
Titta-Nane e
Toffolo
dall'altra. Nello spirito elementare di questi personaggi, la chiacchiera
non si può esaurire in se stessa e presto diventa gesto e dramma: balenano
coltelli, la saggezza di
paron Toni, capo
spirituale della colonia, non è più sufficiente, deve intervenire la
pubblica autorità. Poi tutto si placa, torna la pace negli animi agitati e
due matrimoni la suggellano. Vero protagonista di
queste commedie, e di questa particolarmente, è il contrappunto dei valori
umani. Altrove, come nella Casa nova e nel Ventaglio, il
movimento, corale si svolge attorno a un oggetto inanimato che ne è causa, e
assume così un arguto ed elegante tono umoristico; qui, invece,
l'elemento animatore è negli uomini stessi, nelle loro
doti e nei loro difetti, nelle loro capacità di benevolenza e di rancore, di
ingenuità e di scaltrezza, in una parola nella loro universale
umanità che soffre e gioisce ed è sempre in buona fede. Di qui un senso
tragico che non esplode mai né mai raggiunge la consapevolezza, ma rimane
costantemente alla base del teatro goldoniano e ne costituisce l'elemento
per eccellenza inimitabile. |
Il ventaglio
- Commedia in tre atti di Carlo Goldoni
(1707-1793), e forse il suo capolavoro -
rielaborata da una precedente da lui scritta in francese, L'éventail - e
rappresentata la prima volta nel 1765. È commedia
d'insieme, di quelle più care al Goldoni, fondata sulla
vivacità dell'intreccio e del movimento collettivo,
piuttosto che sul predominio di un personaggio:
Candida, parlando dal
balcone con
Evaristo, che ama e da cui è amata, lascia cadere il suo
ventaglio, che va in pezzi. Evaristo compra un ventaglio nuovo dalla
merciaia
Susanna e incarica la contadina
Giannina di
consegnarlo a
Candida. È questo il principio di una
serie di malintesi: il calzolaio
Crespino e l'oste
Coronato,
innamorati di
Giannina, danno in smanie credendo che Evaristo sia loro
rivale; Candida, pensando la stessa cosa, offende Giannina, quando va a
portarle il ventaglio, e si corruccia con Evaristo promettendo la sua mano
al barone del
Cedro, che gliela chiede per mezzo del conte di Rocca Marina,
nobile spiantato e presuntuoso. Intanto il ventaglio passa di mano in mano
complicando i malintesi e i bisticci finché tutto viene in chiaro:
Candida ed Evaristo si conciliano, Giannina si
promette a Crespino, e la vicenda termina nella serenità generale. Il
vero protagonista di questa commedia è dunque il
ventaglio; i vari personaggi non hanno caratteristiche spiccate, a
eccezione di
Giannina che, con la sua rudezza, rappresenta un tipo insolito
nella ricca tavolozza goldoniana, e del
conte di Rocca Marina
che ripete un po'la figura del marchese di Forlimpopoli della Locandiera,
vecchio nobile decaduto che cerca opporre la forza della protezione a
quella, molto più reale, del denaro. Ma il valore della vicenda consiste
nell'umana vivacità con cui i vari affetti si intrecciano, nella
perfetta musicalità del loro gioco, nella loro
capacità di rievocare il senso della folla.
Nobili, cittadini, mercanti, contadini e artigiani trovano nell'arguto
folleggiare del ventaglio la loro conciliazione, si riconoscono nell'uguale
ansia che quello procura, colmando le distanze che li separano. E
nella sua più matura espressione l'arte del Goldoni giunge qui a innalzarsi
a poesia. |
Le smanie per la villeggiatura.
Commedia in tre atti di Carlo Goldoni
(1707-1793), prima della trilogia dedicata alla villeggiatura ( Le avventure
della villeggiatura e Il ritorno dalla villeggiatura), rappresentata la
prima volta nel 1761. Comincia qui lo svolgimento di un tema a lungo
meditato e che aveva avuto quattro anni prima, con La villeggiatura,
un'anticipazione.
Filippo, con la figlia
Giacinta,
e Leonardo,
con la sorella
Vittorina, stanno per
partire per la villeggiatura.
Leonardo, innamorato
di Giacinta,
vorrebbe partire nella carrozza di lei, ma
Filippo,
distrattamente, invita
Guglielmo, altro
innamorato di Giacinta; di qui gelosie, arrabbiature e
smanie di Giacinta che vede la villeggiatura compromessa. Finalmente
il vecchio
Fulgenzio, amico comune, riesce ad accomodare le cose e
Leonardo
ottiene in sposa
Giacinta. Il fervore
con cui Giacinta e Vittorina preparano il loro corredo per la villeggiatura,
la vivace pittura dell'ambiente e dei costumi, la
garbata satira di una moda, che cominciava allora nella società borghese e
che, allora come oggi, costringeva a spese eccessive, fanno di questa
commedia uno dei capolavori dell'arte goldoniana. Vera protagonista
ne è l'imperiosa frivolezza femminile rappresentata particolarmente da
Giacinta; ma, più drammaticamente, si agitano nel fondo il clima e la
mentalità del momento, l'ansia di evadere dalla vita di tutti i giorni,
l'attesa di cose nuove, che, alla fine della trilogia, troveranno una
conclusione rassegnata e approssimativa. Le tre commedie, come afferma lo
stesso Goldoni, sono state concepite insieme e formano un ciclo unico, una
piccola epopea dell'evasione estiva.
|
I rusteghi
- Andata in scena a Venezia nel 1760, I rusteghi
costituisce uno dei vertici assoluti della drammaturgia goldoniana. Come
ebbe modo di spiegare Goldoni nelle Memorie, “rusteghi”
sono «uomini di rigida maniera ed insociabili, seguaci degli usi antichi, e
nemici terribili delle mode, del divertimento e delle conversazioni del
secolo». Si tratta di esseri burberi e irosi, esempio estremo di come
l’uomo borghese, per sua natura attento alle sorti economiche e alla
rispettabilità della famiglia, possa degenerare, divenendo gretto e
prepotente.
La vicenda si svolge a Venezia ed ha per protagonisti quattro rusteghi:
Lunardo,
Canciano,
Simone
e Maurizio.
Quando
Lunardo
decide di combinare il matrimonio della figlia
Lucietta
con Filippetto,
figlio di Maurizio, senza che gli sposi vengano
avvisati, le donne decidono di ribellarsi.
Margarita, matrigna di Lucietta – aiutata da
Felice,
moglie di Canciano e
Marina, moglie di
Simone – all’insaputa dei rusteghi, riesce a far sì
che i due giovani possano, prima delle nozze, almeno incontrarsi. I quattro
uomini, saputa la cosa, montano su tutte le furie, ma è Felice, nel corso
della splendida scena finale, a dimostrare
quanto assurdo sia il comportamento dei rusteghi; questi, seppure di
malavoglia, riconoscono i loro torti e si rassegnano ad accettare la nuova
situazione.
Scritta in dialetto veneziano, I rusteghi costituisce
uno dei più raffinati punti d’arrivo della riforma
goldoniana. Dopo aver tolto dalla scena le maschere, Goldoni diede
vita a una serie di commedie ciascuna incentrata sullo
studio di un carattere. Senza dubbio quello del rustego trova
l’origine più lontana nella commedia antica, ma la maschera di
Pantalone,
mercante veneziano, padre di famiglia brontolone, uomo misurato sino
all’avarizia, costituisce il precedente più immediato.
La peculiarità è aver portato sulla scena, simultaneamente, quattro
personaggi, ritratto del medesimo carattere; con grande abilità a ogni
rustego sono conferite sfumature differenti, per cui ciascuno conserva una
forte individualità. Ma, oltre a ciò, la commedia si caratterizza per una
analisi psicologica particolarmente attenta, che trova riflesso anche sul
piano linguistico, laddove il dialogo brioso e spumeggiante delle donne si
contrappone a quello cupo e iroso degli uomini.
I rusteghi mette in scena lo scontro tra il nuovo e
l’antico, tra una concezione di vita rigida e una più moderna, fondata sul
dialogo e sulla reciproca comprensione. E viene affrontato anche il
nodo dell’educazione dei figli e del matrimonio,
un tempo sottoposti alla tirannica autorità paterna, ora - in sintonia con
le prospettive dell’illuminismo - poggiati sull’amore sul rispetto. La
commedia analizza anche la condizione femminile e la sua nascente
emancipazione, laddove l’uomo rappresenta il passato, e la donna – in un
gioco di specchi che si ritrova anche altrove nel teatro goldoniano –
l’equilibrio, la serenità e il progresso.
|
La famiglia dell’antiquario, ossia La suocera
e la nuora.
Una delle più importanti commedie di Carlo Goldoni (1707-1793) in tre atti,
rappresentata la prima volta nel 1749. È commedia di carattere,
nell'intreccio un po'romanzesco, risente della tradizione pregoldoniana e,
nel ricco contrappunto dei personaggi, si avvicina alle commedie di più
ampio respiro. Tra i suoi precedenti vi è La suocera e la nuora del Nelli.
Mentre il conte Anselmo Terrazzani, tutto dedito alla
sua collezione di illusorie antichità, manda in rovina la famiglia e
sperpera la dote della nuora lasciandosi derubare da Brighella
e da Arlecchino , infuria l'antagonismo di Isabella e Doralice, suocera e
nuora, fomentato dai pettegolezzi di Colombina. Isabella cerca dimenticare
nell'orgoglio di casta il rammarico della gioventù perduta; Doralice,
giovane e ricca, le oppone la resistenza passiva ma costante della borghesia
da cui esce. Finalmente il vecchio e assennato mercante Pantalone riesce a
ristabilire la pace e a salvare la situazione finanziaria di Anselmo
divenendo amministratore della casa. Sono qui a contrasto la gioventù e la
vecchiaia, la nobiltà decadente e la sana borghesia, i tempi vecchi e i
tempi nuovi: elementi tutti che il Goldoni ritrae dal suo tempo senza
preoccuparsi, al suo solito, di cavarne conseguenze ideologiche. Ne nascono
una ricca vivacità di contrasti, una trama di osservazioni psicologiche che
fanno intravedere il dramma, un senso della realtà talora perfino eccessivo.
|