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Le antiche tecniche di coltivazione del riso
La sistemazione dei terreni agricoli e le varie fasi dell'attività agricola - L'agricoltura: aspetti tecnici e organizzativi

Per comprendere le condizioni di vita e di lavoro è importante partire da un fenomeno di lungo periodo: la cultura materiale. Sarebbe riduttivo focalizzare tutta l'attenzione solo sulle operazioni di monda e di raccolta poiché ad esse si aggiungevano le ordinarie mansioni per la sistemazione del terreno prima della semina e per le operazioni di trebbiatura, un ciclo di lavori che impegnava intere famiglie da marzo a ottobre. La lavorazione del riso esigeva cure supplementari non richieste dalle altre colture e presentava dunque per gli obbligati e gli avventizi d'entrambi i sessi un ventaglio abbastanza ampio di occupazioni che li coinvolgevano per una parte significativa dell'anno (si veda il calendario dei lavori agricoli). Appare evidente ruolo subalterno e complementare all'attività maschile che la donna rivestiva nell'organizzazione del lavoro agricolo;  le donne infatti erano impiegate stabilmente o stagionalmente nelle mansioni meno qualificate e più umili. Nell'organizzazione del lavoro agricolo locale si distinguevano i lavoratori obbligati, maschi e femmine, che abitavano in cascina ed avevano un contratto annuale, dai lavoratori avventizi, maschi e femmine, domiciliati in paese e per questo denominati "paisàn" (paesani)

La prima operazione da compiere sulla futura risaia era la concimazione: i bifolchi o i cavallanti scaricavano sul campo mucchi di letame, che le donne obbligate dovevano poi sparpagliare con le forche; in caso di concimazione chimica venivano trainati sul campo particolari spandiconcime oppure gli avventizi gettavano il concime a spaglio, come fosse semente.  Iniziavano poi i lavori di aratura: sul campo, oltre ai bifolchi con i buoi e l'aratro, erano presenti le donne. Dapprima si approfondiva il vecchio solco e le obbligate con le zappe intervenivano a ripulirlo e ad abbassarlo. Ciò era necessario in quanto sul solco dell'anno precedente, dopo l'aratura, si sarebbe venuto a trovare il colmo, cioè il cumulo di terra formato da due falde opposte di terreno sollevate dall'aratro, prima procedendo in un senso e poi nell'altro. Questa operazione femminile serviva a tener livellato il più possibile il campo

Dopo l'aratura bisognava costruire solidi argini tra una camera e l'altra della risaia, cioè tra le varie parti pianeggianti del campo, che difficilmente si presentava tutto allo stesso livello. Gli argini, che erano in genere preparati dagli avventizi con il badile, dovevano essere ben compressi per evitare smottamenti. Essi presentavano delle bocche di scolo, protette con cotiche erbose dalla eccessiva erosione, dovuta al passaggio di acqua tra una camera e l'altra. Gli argini che dovevano essere rifatti tutti gli anni erano quelli trasversali, cioè i perpendicolari ai solchi, mentre i longitudinali, paralleli alla linea di aratura, dovevano essere solo ritoccati
Il compito dell'aratura era affidato ai salariati fissi che si occupavano degli animali da tiro: i bifolchi con i buoi, sostituiti in seguito dai cavallanti con i cavalli. ( 1 )

 


Aratura con l'ausilio di buoi guidati dai bifolchi.-
Foto tratta da Borasio, Il Vercellese, 1929
 


Aratura meccanica nella seconda metà degli anni '20
Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937
 

L'aratura però non esauriva i lavori di preparazione del terreno in vista della semina: l'aratro lasciava in superficie zone troppo grosse che andavano sminuzzate, sia passando con l'erpice fisso, trainato da un cavallo guidato da un cavallante, sia con la zappatura ( smottatura ) che era affidata alle donne obbligate.



Scene di vita e di lavoro nelle campagne : la zappatura o smottatura - Fondo Tarchetti
 


La slottatura - Foto tratta da Borasio, Il Vercellese, 1929

Veniva poi immessa l'acqua che dava modo di evidenziare le parti di terreno affioranti, abbassate e spoltigliate
( slottatura ) con zappe dalle obbligate, mentre un cavallante livellava ulteriormente il terreno passando con una tavola di legno trainata dall'animale.
Questa operazione risultava particolarmente fastidiosa perché veniva compiuta a piedi nudi nell'acqua ancora fredda di marzo-aprile.
 


Lo spianone - Foto tratta da Borasio, Il Vercellese, 1929




Macchina stampatrice del terreno
Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937
 



Calpestamento dei terreni bibuli con rulli Tromellini ( 1920 circa )
http://www.enterisi.it/ilriso_i1g05.html




Sradicamento del riso dal semenzaio (Sistema per trapianto)http://www.enterisi.it/ilriso_i1g05.html
 

Molto gravoso era pure il lavoro di costipazione del terreno, attuato sulla risaia col ripetuto passaggio di mandrie, guidate in genere da giovinetti d'entrambi i sessi (figli di salariati fissi) che faticavano non poco a tener dietro agli animali nel fango; questa pratica veniva attuata nei terreni troppo permeabili all'acqua. A questo punto avveniva la semina, compiuta un tempo  da avventizi particolarmente esperti, e perciò meglio pagati, i seminatori.  Essi dovevano cadenzare il passo alla gettata, per seminare uniformemente e nella quantità voluta, tradizionalmente un'emina alla pertica. Il seminatore doveva porsi al centro del "pianón", lanciando la semente da un solco all'altro, compito particolarmente complicato in risaia dove l'acqua impediva un preciso orientamento. Si predisponevano perciò dei rami nei solchi, come punti di riferimento; una fila di sacchi di semi posti nell'acqua serviva, inoltre, per poter regolare la semente da gettare per unità di superficie.( 1 )
 


Semina manuale a spaglio .( Foto Ente Risi, Fondo Marabelli ) ( 3 )
 



Semina a righe colla seminatrice Cabrini e Mocchi
_.( Foto Ente Risi, Fondo Marabelli ) http://www.enterisi.it/ilriso_i1g05.html

 

  Dopo la semina iniziava un periodo di relativa stasi di lavoro in risaia. Dall'istituzione dell'imponibile di manodopera si cercò di utilizzare ugualmente i lavoratori: abbiamo raccolto la testimonianza di mondature ordinate a squadre di avventizi maschi, su risaie in cui il riso era appena germogliato, allo scopo di estirpare l'erba bianca, un'infestante precoce. In aprile, cioè prima dell'inizio dei lavori di monda, si rendevano spesso necessari interventi di manutenzione e di pulitura: temporali o venti forti potevano estirpare le piantine appena nate che venivano accumulate da una parte della risaia, lasciando intere zone scoperte, in questi casi bisognava ricorrere a piccoli trapianti.

Le obbligate venivano spesso mandate a ripulire coi rastrelli la superficie dell'acqua da paglie galleggianti ( frammenti di stoppie ) e dallo strato di alghe. Da quanto detto risulta evidente come la coltivazione del riso richiedesse l'impiego di molti lavoratori già prima della monda (anche se in questa fase vi era una maggior concentrazione di manodopera) e come si attuasse una accurata manutenzione della risaia.

Con il termine monda si sottintendono spesso lavori diversi: la monda vera e propria che avveniva da fine maggio a giugno e, sporadicamente, in luglio, ed il trapianto, che si eseguiva quaranta giorni dopo la nascita delle piantine nel vivaio.
Le operazioni di mondatura, in genere, avvenivano una sola volta nelle risaie trapiantate, ed erano appannaggio delle locali; due volte nelle risaie seminate dove intervenivano anche le migranti. Nella monda ogni squadra di mondine procedeva allineata in avanti, le erbe estirpate venivano fatte passare di mano in mano e depositate nei solchi dalle due lavoratrici che si trovavano ai lati del "pianón". L'allineamento favoriva la comunicazione e l'operazione era considerata meno faticosa di quella del trapianto dove era richiesto un ritmo incalzante, mentre nella mondatura potevano esserci momenti di relativo "riposo" quando si incontrava un tratto di risaia con poche erbacce. Tra l'altro, l'organizzazione del campo a "pianón" si spiegava proprio con gli spazi per le erbacce ( i solchi appunto ) rispetto a cui, soprattutto nell'Ottocento, si appuntarono le critiche degli igienisti e dei medici che consideravano la putrefazione delle infestanti lasciate nei solchi fonte di pericolose malattie. A luglio e ad agosto, le obbligate venivano mandate sia ad estirpare il riso crodo, un riso selvatico che maturava precocemente, sia a rivoltare le erbacce lasciate nei solchi, per evitare che riattecchissero; il lavoro era considerato dalle donne particolarmente disgustoso e faticoso: infatti, poiché il livello dell'acqua nei solchi era molto più alto, occorreva farsi "un'ariónda" fino all'inguine (nell'ariónda tradizionale la gonna veniva arrotolata e fermata col laccio del grembiule, quando si rivoltavano le erbacce era invece fissata sotto l'elastico delle mutande anche con l'aiuto di spille ). Le erbe erano maleodoranti, bisognava rivoltarle nell'acqua a mani nude, ad ogni donna era assegnato un solco. ( 1 )



Studio Villani Mondine al lavoro, 1940 ca.  (Archivi Alinari - archivio Villani, Firenze)
http://www.photographers.it/articoli/posadilavoro.htm


La tecnica del trapianto fu introdotta in Italia dal dottor Novello Novelli e si diffuse su vasta scala a partire dagli anni '20. Si seminava il vivaio ai primi di aprile se doveva fornire le piantine per il trapianto nei campi ove era stato coltivato il fieno, a fine aprile per quelli ove si era mietuto il grano. Nel primo caso il trapianto avveniva agli inizi di giugno, nel secondo tra la fine di giugno e gli inizi di luglio. Il trapianto manuale, attuato sin oltre gli anni '50 nonostante i ripetuti tentativi di meccanizzazione, richiedeva grandi quantità di manodopera poiché doveva essere realizzato in un tempo breve. Alle mondine locali toccava il compito di estirpare le piantine del vivaio e di legarle a mazzetti ( in genere quest'ultima mansione veniva svolta da donne anziane). Nella risaia poi, mentre un uomo o un ragazzo gettavano i mazzetti di riso nell'acqua, le donne si occupavano di impiantarli, procedendo anche qui a squadre allineate ma all'indietro. Le squadre potevano essere molto più numerose rispetto a quelle della monda. Era un lavoro faticoso in quanto si doveva arretrare velocemente, sempre curve, mentre con una mano si reggeva il mazzetto e con l'altra si conficcava la piantina nel terreno. Ogni lavoratrice indietreggiava badando di non perdere il ritmo imposto dalla caposquadra, questa situazione scoraggiava il canto e la comunicazione, che erano meno frequenti. Il trapianto, più della monda, si configurava come un lavoro parcellizzato in cui era determinante il ritmo e il tempo d'attuazione; secondo molti informatori divenne ben presto l'occupazione tipica delle mondine forestiere, preferite perché più svelte. Qui si doveva subire anche la concorrenza dei maschi: spesso i fittabili assoldavano squadre di trapiantini, lavoratori emigrati che scendevano dalla collina o venivano dai paesi circonvicini e trapiantavano in appalto, con ritmi molto alti. Alcuni padroni non esitavano a far lavorare insieme sullo stesso campo squadre di forestiere e di locali, per sfruttare al massimo le contraddizioni e le rivalità presenti all'interno del proletariato rurale femminile e diminuire i tempi di esecuzione. Nel trapianto ad ogni lavoratore era affidato un mazzetto, era importante l'allineamento delle pianticelle e anche la giusta distanza tra una e l'altra, per evitare che si creassero vuoti nel campo. Il maggior ritmo delle forestiere e dei trapiantini comportava spesso una esecuzione meno accurata, poiché le piantine venivano poste a dimora ad una distanza maggiore ( rispetto a quella attuata dalle locali ) e con una inclinazione tale da simulare un trapianto più fitto. Questo era un tradizionale motivo di lamentela da parte dei padroni perché quando veniva alzato il livello delle acque le piantine inclinate galleggiavano ed era necessario ritornare nel campo per ripiantarle. Il fatto stesso di lavorare a squadre poneva alle lavoratrici alcuni problemi che potevano essere risolti solo tramite la collaborazione ed il rispetto reciproco. Il riso, notoriamente, cresce più rigoglioso nelle parti centrali del "pianón" mentre è più rado lungo i solchi, e lo stesso avviene per le erbe infestanti. Così le donne che si trovavano nelle parti centrali ( sia nella monda che nella mietitura ) avevano un lavoro ben più pesante da svolgere che poteva essere alleviato solo con la cooperazione delle altre che stavano ai fianchi.
Anche per il trapianto ciò in un certo senso avveniva: per attuarlo in modo corretto occorreva pianificare i propri gesti, armonizzandoli con quelli delle mondine a lato, altrimenti accadeva che rimanessero parti del campo scoperte. Determinante era il ritmo imposto dalla caposquadra che spesso si piazzava lungo i solchi ( così aveva meno lavoro da svolgere e procedeva più velocemente ) ma anche la collaborazione tra mondine della squadra. Se alcuni elementi si mettevano al di fuori di queste tecniche collaborative, procedendo per conto loro, le mondine delle file centrali erano costrette a sopportare una fatica enorme e, il più delle volte, rimanevano indietro, formando "la coda". Alla base della solidarietà nel lavoro in risaia stava la capacità della squadra di instaurare un equilibrio tra i suoi componenti, equilibrio che fu sempre difficile da trovare, anche nelle epoche più moderne. In alcuni casi, la scarsa collaborazione poteva portare anche a seri inconvenienti. ( 1 )




Il trapianto del riso a file
Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937




Trapiantatori di riso giunti da Stroppiana - Il lavoro è fatto a cottimo
Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937



Il trapianto era la tecnica tradizionale che portava la piantina di riso dai semenzai alla risaia. Con il trapianto si poteva utilizzare il terreno per altre colture (per esempio foraggio) prima della creazione della risaia. Inoltre evitava una precoce lotta agli infestanti. Il trapianto era il primo dei due lavori stagionali affidati alle mondine.
(Foto Ente Risi Fondo Marabelli). (3)


Il trapianto eseguito con mezzi meccanici
(Foto Ente Risi Fondo Marabelli).



Sarchiatura meccanica del riso colla Sarchiatrice Cabrini e Mocchi - 1920 circa. La sarchiatura è un tipo di lavorazione del terreno posto fra le file di piantine di riso al fine di controllare le erbe infestanti - Foto Ente Risi -http://www.enterisi.it/ilriso_i1g05.html




Veduta generale di un'aia
http://www.enterisi.it/ilriso_i1g05.html


Nella mietitura, la donna che non riusciva a mantenere il ritmo, rischiava di infortunarsi poiché era costantemente incalzata dalla falce della compagna che le stava dietro. Per la mietitura erano impiegati sia uomini che donne del luogo e, in piccola parte, almeno in Lomellina, anche lavoratori immigrati. Per la trebbiatura invece bastavano quasi esclusivamente gli avventizi e le obbligate locali. ( 1 )

Oggi
è ugualmente affascinante la raccolta. Le mietitrebbiatrici tagliano veloci il riso e lo separano dalla paglia, concentrano su larghe superfici in tempi brevi una grande quantità di lavoro. Quando il cereale è avviato con rimorchi dai campi alle aziende, presenta un'umidità compresa fra il 20% e il 30%. Il riso greggio, o risone , è pertanto immesso negli impianti di essiccazione in modo che l'umidità scenda a 14-15° e che non si determinino processi di deterioramento.




Numerosi braccianti erano necessari anche al momento della mietitura.
In questo caso erano più richiesti gli uomini.( Foto Ente Risi, Fondo Marabelli )
 



La mietitura - Foto tratta dal sito web
 http://art.supereva.it/mondine.freeweb/culturamater.htm?p



Riso seminato a righe -  Il prodotto e la mietitrice
Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937



Il riso viene legato in covoni
Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937



Trasporto del riso dal campo
Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937
 



Scarico alla trebbiatrice
Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937
 



Rivoltamento del riso a mano
http://www.enterisi.it/ilriso_i1g05.html

 


Essiccatoio Germinarati e Guidetti - 1920 circa
http://www.enterisi.it/ilriso_i1g05.html
 

La tresca

"Arrivato quel prodotto a maturazione deve essere raccolto e preparato a sua volta per la futura semina con i più giusti riguardi per la conservazione completa dei germi della riproduzione ; ed appunto e più specialmente per questa necessità, è interesse del buon agricoltore di preparare il seme nella propria azienda. Oggi la pratica e la più giusta sperimentazione suggeriscono che la trebbiatura del seme debba farsi con il metodo antico della "tresca" e non con la trebbiatrice. Questo metodo non avrebbe bisogno di essere spiegato per gli agricoltori, ma lo deve essere per quelli che la coltivazione del riso non praticano o non conoscono. L'indicazione di "tresca" a tal genere di trebbiatura può forse essere stata data per la similitudine che ha la preparazione del riso e la sua battitura, fatta nel suo modo speciale, con il ballo saltereccio, il quale si fa muovendo mani e piedi e che per ciò viene appunto chiamato "tresca". ( 2 )
 




I cavalli trebbiano la " tresca " 




Trebbiatura con cavalli - 1920 circa - http://www.enterisi.it/ilriso_i1g05.html


"Quando dal campo si ritirano i covoni, questi vengono scaricati sull'aia e ai suoi margini. Quivi gli uomini e le donne scendono dalla trebbiatrice, vanno a riceverli e li preparano per la "tresca". La preparazione avviene in questo modo. Il covone viene preso in braccio ; il primo lo si pone nel centro dell'aia proprio sul colmo ; gli altri si dispongono contro il primo, girando sempre attorno in una infinità di cerchi fatti a spirale e pressati l'uno addosso all'altro, fino a che sia stato contenuto il completo fabbisogno. L'operaio nel preparare quella massa di covoni sui quali dovranno andare a girare i cavalli o altri animali, deve avere l'attenzione che la massa riesca più fitta che è possibile, affinché l'animale trebbiatore la trovi compatta come una strada e non abbia a sprofondare. Così che quando trasporta il covone, che è depositato ai margini dell'aia, lo prende in mano per la parte della spiga, lo porta al cerchio formantesi, lo avvicina con getto, lo tiene diritto con le spighe in alto, lo preme contro con il ginocchio e con il piede lancia un calcio alla base del covone. Tutti quei cerchi riuniti e pressati hanno la parvenza di un palchétto di ballo pubblico, sul quale alla sera andranno tutti i cavalli dell'azienda, condotti in pariglia dai propri cavallanti, a girare per far staccare il granello dalla spiga. Il granello staccato dalla spiga per il colpo del piede del cavallo sprofonda in mezzo al covone e discendendo in un punto soffice, sul quale non può aver azione il colpo, duro del piede, resta conservato immune e intero. Questo lavoro deve essere fatto di sera quando i cavalli hanno finito il trasporto del riso dai campi, affinché quella "tresca" sia pronta per essere levata al mattino
dagli stessi operai della trebbiatrice; deve essere pestata alla sera, e prima di cena I perché a quel tempo i cavalli sono completamente a corpo vuoto e non avverrà su quel palchetto di riso la loro defecazione.  
Il pestaggio non deve durare molto se la massa è ben compatta e aderenti  saranno i covoni di spighe. Al passaggio dei cavalli cadranno primi i granelli più maturi, più turgidi; e sono i migliori. Quelli alla base della spiga che saranno i più resistenti non devono interessare: o sono incompleti o sono prodotti da figli tardivi. Sono granelli che non avrebbero resistenza ed è quindi bene che restino attaccati alla propria spiga. Gli operai al mattino leveranno ancora tutti quei covoni dal punto dove la "tresca" è formata per portarli al margine dell'aia onde essere; ricaricati e portati alla trebbiatrice e qui essere completamente trebbiati. Il seme così ottenuto ha tutte le prerogative di un seme di alta facoltà germinativa. Il riso poi ha le sue esigenze di cura nella semina, nella irrigazione e nella sua preparata alimentazione".
( 2 )

 

L'essiccazione

L'essiccazione
un tempo avveniva nelle aie delle cascine, riempiendo tutti gli spazi dell'aia esposti al tiepido sole di inizio autunno con la marea di chicchi di riso ancora ricoperti dalla lolla. Oggi, si usano essiccatoi che immettono aria a temperatura variabile tra i 30 e i 45 gradi. Una volta essiccato, il riso viene immesso nei silos.

La lavorazione

Nei secoli passati il riso era consumato, in buona quantità, ridotto in farine, come avviene per il grano. Per questo esistevano mulini adatti alla completa polverizzazione dei chicchi. Nel tempo il riso ha finito per caratterizzarsi rispetto ai suoi parenti cereali. Non più consumato in farine, ma in chicchi integri. Così i mulini hanno lasciato spazio alle piste da riso, che utilizzavano la forza motrice degli stessi canali irrigui per togliere la lolla dai chicchi mediante rulli. Oggi, il procedimento è di tipo industriale. Le decorticatrici fanno passare i chicchi di risone tra speciali rulli in caucciù. In questo modo viene eliminata la lolla e il riso diventa commestibile. Con questo primo procedimento si ottiene il "riso integrale", cioè il riso non ancora bianco, perché ricoperto dal pericarpo. Questo riso ha oggi richieste maggiori sul mercato rispetto ai decenni passati: contiene molti principi nutritivi che, con i processi successivi, vanno persi, ma pone grandi problemi di conservazione delle sostanze contenute nel pericarpo: può essere conservato efficacemente a basse temperature o sottovuoto.
A partire dagli anni che precedono la seconda guerra mondiale vengono introdotti progressi nella lavorazione industriale con la preparazione di tipi speciali di riso come il "camolino" e il più conosciuto "riso brillato".

 

Repertorio fotografico
 


Macchine agricole  impegnate nelle  prove di aratura meccanica
 presso l'azienda di Sali Vercellese ( 1914 )
Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937


Un bilanciere al lavoro durante gli esperimenti di aratura meccanica in risaia
voluti dalla Stazione Sperimentale d Risicoltura ( 1914 )
Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937




Vinzaglio - Trebbiatoio, aia e magazzeni durante una fase di essiccazione del riso Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937




Tagliarisi a Vinzaglio
Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937




Vinzaglio - Il lavoro di essiccazione del riso sulle aie
Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937
 



Vinzaglio - Alla sera il riso si raccoglieva in cumuli
Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937
 


La semina del grano a righe
Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937
 


Mietitrice da grano
Foto tratta da E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937
 


Fonti bibliografiche:

- ( 1 ) M. Antonietta Arrigoni -  "Mondine di Lomellina. Riti, cultura, condizione femminile in risaia" in "Mondo Popolare in Lombardia - Pavia e il suo territorio" a cura di Roberto
  Leydi,  Bruno Pianta, Angelo Stella, 1990, Regione Lombardia, per gentile concessione dell'Autrice e della Direzione Generale Cultura della Regione Lombardia
 sito web:
 http://art.supereva.it/mondine.freeweb/culturamater.htm?p
- ( 2 ) E. Saviolo, Il dono del mio lavoro, Milano 1937
- ( 3 ) M. Borgia ( a cura di ) Le risaie del Vercellese, Guida al paesaggio, alla storia, alla natura delle terre d'acqua - Regione Piemonte
 

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