Lo spleen è una forma particolare di disagio
esistenziale, che si traduce - a livello espressivo - in una fertile
creatività poetica, capace di oggettivizzare le
sensazioni e gli stati d'animo in numerose immagini visionarie,
prodotte dall' inconscio baudleriano. Lo spleen è una
particolare caratterizzazione dell'inettitudine,
che indubbiamente include elementi di debolezza psicologica e di mancato
adeguamento al reale, ma che - a differenza della noia leopardiana -
non produce argomentazione e pensiero, riflessività sulla condizione umana,
ma si gioca tutta a livello artistico nella resa
espressionistica degli effetti devastanti, allucinatori dell'angoscia
esistenziale.
Leggendo la poesia rimangono impresse soprattutto le
immagini di chiusura opprimente, materializzate simbolicamente dalla
strana analogia del coperchio / cielo che pesa sull'anima gemente o delle
strisce di pioggia assimilate alle sbarre di una prigione. Infine
gli effetti di questa angoscia devastante non sono il
perdurare di uno stato d'animo riflessivo e pronto ad accettare questa
condizione mentale e psicologica, ed a sfruttarla come foriera di
nuovi approfondimenti concettuali. Quanto piuttosto
un'abdicazione definitiva della Speranza ( personificata appunto )
che sembra ridurre il soggetto in preda ad un'oppressione crescente e
davvero capace di neutralizzare le energie creative del poeta.
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Spleen
Quando come un coperchio il cielo pesa
grave e basso sull'anima
gemente
in preda a lunghi affanni, e quando versa
su noi, dell'orizzonte tutto il giro
abbracciando, una luce nera e triste
più delle notti; e quando si è mutata
la terra in una cella umida, dove
se ne va su pei muri la Speranza
sbattendo la sua timida ala, come
un pipistrello che la testa picchia
su fradici soffitti; e quando imita
la pioggia, nel mostrare le sue striscie
infinite, le sbarre di una vasta
prigione, e quando un popolo silente
di infami ragni tende le sue reti
in fondo ai cervelli nostri, a un tratto
furiosamente scattano campane,
lanciando verso il cielo un urlo atroce
come spiriti erranti, senza patria,
che si mettano a gemere ostinati.
E lunghi funerali lentamente
senza tamburi sfilano né musica
dentro l'anima: vinta, la Speranza
piange, e l'atroce Angoscia sul mio cranio
pianta, despota, il suo vessillo nero.
Da "I fiori del male" |
Nelle affollate strade di Parigi di metà Ottocento ci imbattiamo in una
varietà diversa di inettitudine : quella di
Baudelaire,
l'artista che si misura direttamente con l'ambigua, moderna violenza della
città. Essa sottende inadeguatezza e disadattamento ai valori borghesi, ma anche
inconscia attrazione per le sue fuggevoli parvenze di
vita. Dalla violenza del reale ( lo choc , lo spavento come lo
definisce il critico Benjamin ) il poeta tenta di proteggersi con la sua
arte, "dando all'evento un esatto posto temporale nella sua coscienza".
L'arte poetica è definita da Baudelaire come un duello in cui l'artista,
prima di soccombere, grida di spavento e si riabilita.
La parola poetica,
frutto della riflessione, diviene energica ed aggressiva, provocatoria e
simbolica, capace di trasformare in eventi psicologici, ambigui e profondi
gli stimoli del reale, da cui l'artista cerca di difendersi.
E' difficile isolare un'argomentazione lineare sul disagio del poeta che si
confronta con la massa anonima ed indifferente del suo pubblico, con la
folla tumultuosa guidata dagli stimoli dell'utile e del consumo.
Ennui
(tedio) e spleen ( angoscia disperante ) sono le formule
linguistiche di tale condizione, l'albatros ( l'albatro, l'uccello marino
che segue le navi che solcano il mare aperto, volando a sfidare il sole, ma
che si adagia anche goffamente sulla tolda dell'imbarcazione provocando
l'ilarità dei marinai.. ) è il simbolo che meglio caratterizza l'immagine
del poeta incapace di farsi accettare nel mondo, svilito e sbeffeggiato,
vilipeso e condannato, vittima della sua stessa grandezza :
.....Come
il principe dei nembi
è il Poeta; che, avvezzo alla tempesta,
si ride dell'arciere: ma esiliato
sulla terra, fra scherni, camminare
non può per le sue ali di gigante.
Baudelaire, L'albatro
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